Un universo in laboratorio

Secondo la teoria più accreditata, l’Universo sarebbe nato da una particella quantistica comparsa all’improvviso dal nulla: essa è detta quantistica perché la sua esistenza è prevista da una particolare teoria, la meccanica quantistica, che spiega il comportamento delle particelle subatomiche. La particella iniziale può essere immaginata come un “grumetto” indistinto di materia e di energia estremamente compatto e unico nel suo genere. Tale entità dalle dimensioni estremamente ridotte e dal contenuto eccezionale si sarebbe successivamente ingrandita spontaneamente riempiendosi di materia e di energia ordinaria. Immaginare un Universo nato dal nulla sotto forma di una strana e improbabile particella che si gonfia da sola è ipotesi difficile da accettarsi, tuttavia è bene precisare che non si tratta di una trovata bizzarra di qualche pseudo-scienziato ma di un modello scientifico, che trae origine dalle più recenti scoperte in campo fisico.

Se questa teoria fosse vera dovrebbe essere possibile, almeno in linea di principio, ricreare le condizioni primordiali e quindi costruire un Universo in laboratorio: basterebbe infatti comprimere energicamente una certa quantità di materia, fino a farle raggiungere la densità della particella primordiale e il gioco sarebbe fatto, perché il resto verrebbe da solo. L’operazione tuttavia non è per nulla semplice, giacché si calcola che quella particella primordiale avrebbe dovuto avere la rispettabile densità di 1076 g/cm3; comprimere la materia fino a farle raggiungere quella densità non è cosa da poco. Si tratterebbe di ridurre la massa di una stella più grande del Sole a dimensioni più piccole di un atomo. Come si fa a costruire una macchina in grado di prendere fra le sue potenti ganasce una stella e comprimerla fino a ridurla a un corpuscolo invisibile, ma contemporaneamente pesantissimo? Basta solo questo dato per capire che la costruzione di un Universo in laboratorio non è nemmeno ipotizzabile. Tuttavia non è fuor di luogo analizzare il problema nell’ambito della ricerca scientifica se non altro per capire quali avrebbero potuto essere le condizioni iniziali del nostro Universo.

Intanto bisogna dire subito che anche qualora si riuscisse effettivamente a produrre un altro Universo, nessuno se ne accorgerebbe, giacché nessuno potrebbe entrare in contatto diretto con esso. Ciò è conseguenza del fatto che l’Universo è chiuso su sé stesso e quindi nulla può uscire da esso, né sotto forma di materia né sotto forma di energia. Un segnale qualsiasi, ad esempio un raggio di luce, che venisse lanciato in una determinata direzione non troverebbe in nessun caso la strada per uscire dall’Universo, perché i corpi materiali presenti in esso lo devierebbero in continuazione fino a farlo ritornare al punto di partenza. Per lo stesso motivo non potrebbe entrare nel nostro un segnale che provenisse dall’interno di un altro Universo.

 

IL VUOTO E LA MECCANICA QUANTISTICA

Per poter approfondire l’argomento è indispensabile un’analisi accurata della nuova teoria, la quale consiste in un’estensione e un arricchimento della classica teoria del Big Bang sulla formazione dell’Universo. Abbiamo detto che tutto sarebbe nato dall’espansione di una particella comparsa improvvisamente dal nulla, o dal vuoto, come i fisici preferiscono chiamare il nulla. Vediamo quindi, innanzitutto, di capire che cosa si intenda, oggi, con il termine “vuoto”.

Fino ad un secolo fa non vi erano dubbi: il vuoto era il nulla. Si credeva che quando da un luogo fosse stata tolta ogni cosa, quindi in pratica tutta la materia che vi era contenuta, non rimanesse più nulla e vi fosse, per l’appunto, il vuoto. Ora, con l’avvento di una nuova teoria, detta “meccanica quantistica”, il nulla in assoluto non esisterebbe più e quindi nemmeno il vuoto sarebbe più tale. La meccanica quantistica è una teoria escogitata per spiegare alcuni fatti sperimentali che le vecchie teorie non erano in grado di chiarire.

Essa venne messa a punto negli anni Venti del secolo scorso ma le basi erano state gettate già all’inizio di quel secolo quando ci si rese conto che alcuni fenomeni, come ad esempio il moto dell’elettrone attorno al nucleo atomico, non erano descrivibili per mezzo delle teorie della gravitazione di Newton e dell’elettromagnetismo di Maxwell, cioè attraverso quelle che oggi chiamiamo “teorie classiche”. Gli stessi fenomeni risultavano invece chiari e coerenti se venivano spiegati utilizzando i concetti contenuti nella teoria della meccanica quantistica. I concetti della nuova teoria, tuttavia, appaiono piuttosto lontani dai fatti dell’esperienza quotidiana e per tale motivo non sono facilmente accettabili dai non addetti ai lavori.

Uno dei concetti fondamentali della meccanica quantistica è quello che afferma che negli oggetti di dimensioni molto piccole alcune grandezze fisiche non sono misurabili con la precisione che si desidera. Ora, la cosa interessante è che questa mancanza di precisione nelle operazioni di misurazione non dipendono dalle imperfezioni dei metodi di misura, o dalla mancanza di strumenti adeguati, ma proprio da un problema connesso con la costituzione su piccola scala della materia stessa la quale non si lascia indagare nelle sue parti intime. Questa osservazione va sotto il nome di «principio di indeterminazione», una legge di natura che venne scoperta nel 1927 dal fisico tedesco Werner Heisenberg. A causa delle restrizioni imposte da questa legge non è possibile misurare su di un corpo materiale, con assoluta precisione, una determinata grandezza fisica e contemporaneamente, con altrettanta precisione, una ad essa collegata. Così ad esempio di un atomo o di una piccola molecola non è possibile misurare contemporaneamente, con la precisione desiderata, posizione e velocità: conviene accontentarsi di valori approssimati perché, se tentassimo di misurare con grande precisione una delle due grandezze, risulterebbe poi molto imprecisa l’altra.

Ciò porta ad una serie di conseguenze interessanti che cercheremo di spiegare ricorrendo ad un esempio. Immaginiamo allora di abbassare gradualmente la temperatura di un gas: a mano a mano che la temperatura scende, si noterebbe una contrazione progressiva del suo volume tale da lasciar prevedere la sua completa scomparsa alla temperatura di 273 gradi sotto lo zero: così suggerisce la teoria. In realtà noi non vedremo mai scomparire materialmente il gas perché prima di arrivare a quella temperatura lo stesso si trasformerebbe in liquido e poi in solido. La temperatura di -273 °C rimane tuttavia una temperatura limite, una temperatura al di sotto della quale non si è mai scesi e nemmeno teoricamente sarebbe possibile farlo perché al di sotto di quella temperatura perdono di validità le leggi fisiche. Essa pertanto viene chiamata zero assoluto (o zero gradi kelvin).

Ora, però, poiché la temperatura di un gas è legata direttamente alla velocità delle sue molecole la quale diminuisce a mano a mano che il gas si raffredda, allo zero assoluto dovremmo vedere le molecole del nostro gas fermarsi e quindi rimanere immobili, prive di energia. Però se ciò si realizzasse realmente allo zero assoluto, dovrebbe essere possibile misurare contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella elementare con la massima precisione ed in questo modo verrebbe contraddetto il principio di indeterminazione. Per non cadere in contraddizione dobbiamo quindi ammettere che anche alla temperatura di zero gradi kelvin l’energia non sia del tutto inesistente e un piccolo soffio di essa dovrebbe comunque emergere dal nulla per spostare leggermente la particella sotto osservazione e rendere incerta la determinazione della sua posizione. Ciò vuol dire che nulla al mondo può essere ritenuto veramente a contenuto energetico zero.

 

NULLA E’ VERAMENTE IMPOSSIBILE

Oggi alla luce della nuova teoria si ritiene che anche quando, in un determinato luogo, non vi fossero oggetti materiali di alcun genere, né energia sotto qualsiasi forma, e quindi vi fosse il vuoto più assoluto, in quel luogo potrebbe sempre comparire all’improvviso e senza motivo qualche cosa, come ad esempio un fiotto di energia o un frammento di materia, anche se di piccolissime dimensioni. Pertanto la meccanica quantistica, e il principio di indeterminazione che essa contiene, lasciano intravedere che nell’Universo non debba esistere nulla di veramente impossibile e potrebbe accadere anche la cosa più inverosimile. Naturalmente, quanto più strano fosse il fatto di cui ci si aspetta l’evento, tanto più bassa dovrebbe anche essere la probabilità che quel fatto possa effettivamente accadere. Ma questa probabilità, in ogni caso, non sarebbe mai uguale a zero. Anche vincere al Superenalotto è un fatto piuttosto improbabile, ma non del tutto impossibile.

Con la meccanica quantistica è stato eliminato il determinismo insito nelle leggi della fisica classica. Secondo le vecchie leggi fisiche infatti l’Universo avrebbe dovuto funzionare come un grande meccanismo ad orologeria, governato da leggi immutabili e rigorose. In esso gli eventi non sarebbero mai accaduti per caso, ma sempre come conseguenza di qualche cosa che li determinava. Ad esempio il Sole deve sorgere la mattina, ad un’ora precisa, perché la Terra gira su sé stessa in modo regolare; un corpo deve cadere a terra quando viene lasciato libero ad una certa altezza dal suolo, perché attratto dalla gravità e così via. Esisteva sempre una correlazione molto stretta fra causa ed effetto.

La meccanica quantistica cambiò profondamente l’interpretazione dei fenomeni naturali: poiché per definire lo stato futuro di un sistema è necessario conoscere con precisione sia la posizione che la velocità delle particelle che lo compongono, il principio di indeterminazione esclude a priori la possibilità che il presente possa determinare esattamente il futuro. Oggi pertanto non si può più parlare di fatti che si verificheranno con assoluta certezza, né di fatti che mai potranno verificarsi, ma solo di probabilità. Per chiarire questo concetto si usa citare l’esempio delle “scimmie dattilografe” le quali, battendo casualmente sui tasti della macchina per scrivere, finiscono per far comparire sul foglio l’enunciato del teorema di Pitagora. Naturalmente le probabilità di un evento del genere, come del Sole che non dovesse sorgere al mattino, sono molto scarse. Tuttavia non nulle.

 

IL PERICOLO DEL “FALSO VUOTO”

Torniamo ora al nostro Universo da prodursi in laboratorio. Poiché la meccanica quantistica afferma che anche le cose più strane possono sempre realizzarsi, non è da escludere che all’interno dell’Universo in cui viviamo, non possano comparire dal nulla, e subito dopo svanire nel nulla, corpuscoli, fiotti di energia, canalicoli, protuberanze e altri strani elementi, senza lasciare il tempo per la loro rilevazione. La scomparsa delle entità che compaiono all’improvviso dal nulla è indispensabile per garantire il rispetto di un’altra legge fondamentale della fisica che si chiama “conservazione della massa-energia”: materia ed energia non possono essere create dal nulla o sparire nel nulla, tutt’al più possono trasformarsi l’una nell’altra.

Alcune di queste strane entità tuttavia dopo essere comparse potrebbero anche perdurare anziché svanire immediatamente nel nulla, se fosse disponibile l’energia sufficiente per farle sopravvivere. E allora non è nemmeno da escludere che l’oggetto comparso dal nulla non possa avere delle caratteristiche particolari adatte per diventare un nuovo Universo. Ma quali sarebbero queste caratteristiche?

Ebbene, quello che abbiamo esposto è proprio il contenuto di una recente teoria che prevede la nascita di nuovi Universi all’interno di quelli già esistenti. Secondo questa teoria, per la verità molto originale, condizioni di temperatura estreme come quelle che potrebbero realizzarsi in prossimità dei buchi neri, renderebbero lo spazio instabile e quindi produttore di “bolle”. Queste bolle, o escrescenze, si separerebbero successivamente dall’Universo nel quale si sono formate per dar vita ad entità indipendenti. Anche il nostro Universo, produttore instancabile di Universi figli, sarebbe a sua volta figlio di un “Universo madre”.

Le bolle di cui si parla non sarebbero altro che grumi di energia ultraconcentrata in condizioni di estrema instabilità. E come una bolla potrebbe comparire spontaneamente nel nostro Universo in una zona a condizioni energetiche straordinarie, così non è da escludere che l’uomo, avendo a disposizione la tecnologia adeguata, non possa creare egli stesso queste condizioni, al fine di concentrare energia in uno spazio estremamente ridotto.

L’idea che un Universo potrebbe anche venire creato in laboratorio venne, per la prima volta, al fisico americano Alan Guth, l’ideatore della teoria detta dell’Universo inflazionario, cioè di quella teoria che prevede una forte espansione dell’Universo subito dopo essere emerso dal nulla sotto forma di particella quantistica. Lo scienziato faceva osservare che la creazione di un Universo dal nulla non doveva essere necessariamente legata al passato perché una tale condizione si sarebbe potuta verificare in ogni momento.

Guth si convinse di ciò facendo il seguente ragionamento: poiché il vuoto in assoluto non esiste, in quanto piccole quantità di energia possono sempre fluttuare qua e là in ogni luogo e in ogni tempo, anziché parlare di vuoto in assoluto sarebbe più corretto parlare di zone a contenuto energetico più o meno basso. Naturalmente – egli faceva notare – più è basso il contenuto energetico di una determinata zona, più quella zona è stabile. Le zone a contenuto energetico più basso vengono dette di “vero vuoto”, mentre quelle a contenuto energetico più alto vengono dette di “falso vuoto”.

Ora, poiché il nostro Universo appare molto stabile, esso dovrebbe trovarsi in una situazione di vero vuoto quindi a basso contenuto energetico. Non si può escludere, tuttavia, che possa esistere (o magari possa formarsi casualmente), all’interno del nostro Universo, una zona a contenuto energetico ancora più basso. In tal caso il nostro Universo si verrebbe a trovare in una situazione non di vero, ma di falso vuoto. E stare in una posizione del genere non è per nulla piacevole e rassicurante perché essa rappresenta una condizione di grande instabilità e si correrebbe continuamente il rischio di finire nella zona a più basso contenuto energetico. Basterebbe infatti che la barriera energetica che separa le due situazioni di vero e di falso vuoto venisse perforata anche in un punto molto limitato, per esempio da parte di una minuscola particella, perché si generasse la catastrofe: il vero vuoto invaderebbe allora, in un attimo, la zona di falso vuoto inglobando e sistemando ogni cosa su regioni a contenuto energetico più basso.

In realtà, abbiamo la prova che il vuoto in cui viviamo presenta un contenuto energetico effettivamente molto basso e quindi se esistesse una zona a contenuto energetico ancor più basso questa sarebbe molto difficile da raggiungere, perché risulterebbe separata dall’altra da una barriera energetica molto elevata. I raggi cosmici, ad esempio, che sono costituiti di particelle altamente energetiche non sarebbero in grado di perforare questa eventuale barriera che divide i due tipi di vuoto, altrimenti l’avrebbero già fatto. Se però i futuri acceleratori riuscissero a produrre particelle ad energia superiore a quella dei raggi cosmici, potrebbe anche succedere l’irreparabile.

 

LA “BOLLA” SCOPPIA E SI FORMA L’UNIVERSO

Il nostro Universo – spiega Guth – potrebbe essere scaturito proprio da una situazione di falso vuoto. Pochi istanti dopo il tempo zero (per la precisione al tempo 10-43 secondi dall’inizio), il cosmo occupava una porzione di spazio incredibilmente piccola: 10-72 cm3, ossia era miliardi di miliardi di miliardi… di volte più piccolo del nucleo di un atomo. Quell’oggetto infinitamente piccolo aveva però un peso enorme in rapporto alle sue dimensioni: la sua massa era di una decina di kilogrammi. Naturalmente non si trattava di 10 kilogrammi di materia ordinaria, cioè del tipo di quella di cui abbiamo esperienza diretta, ma di un amalgama indifferenziato che conteneva le potenzialità di quelle che sarebbero diventate le particelle elementari di materia, e le forze che attualmente le tengono unite. Esso rappresentava cioè una struttura altamente simmetrica e molto instabile, trovandosi, per l’appunto, in una situazione di falso vuoto.

In realtà il nostro Universo, quando comparve dal nulla, sotto forma di particella quantistica, era ancora più piccolo e più denso di quello considerato da Guth. Si calcola che prima del tempo 10-43 s dal Big Bang esso fosse costituito da un centesimo di milligrammo di materia concentrata in una sferetta del volume di 10-99 cm3. Naturalmente anche in questo caso non si tratterebbe di materia nel vero senso del termine perché quando la materia ordinaria viene compressa oltre ogni limite le particelle che la costituiscono si schiacciano le une contro le altre e si compenetrano fino a perdere la loro identità. Anche le forze che tengono legati i costituenti fondamentali della materia finiscono per fondersi intimamente con il resto in un amalgama indistinto. Queste dovevano essere le condizioni dell’Universo quando comparve dal nulla come fluttuazione quantistica del vuoto.

Questa particolare particella, però, a causa della forte instabilità in cui si trovava, scoppiò improvvisamente quando la forza di gravità si separò dal resto del sistema, e si accrebbe di peso e di volume, rimanendo tuttavia di dimensioni ancor molto ridotte rispetto a quelle alle quali siamo abituati dall’esperienza di tutti i giorni. A questo punto avvenne l’evento fondamentale che portò alla creazione vera e propria dell’Universo: l’inflazione. La simmetria che caratterizzava ancora in larga misura la “bolla” di falso vuoto si ruppe una seconda volta, liberando però in questo caso, in un attimo, enormi quantità di energia. Questa in parte si materializzò nelle particelle elementari di materia che conosciamo (quark ed elettroni) e in parte servì per far procedere l’espansione al ritmo che oggi possiamo osservare.

Il nostro Universo sarebbe quindi nato da una particella di dimensioni insignificanti posta in una situazione energetica particolare. In teoria, come abbiamo detto all’inizio, questa particella potrebbe anche venire preparata in laboratorio. Si tratterebbe, come abbiamo detto, di comprimere la materia fino a farle raggiungere la densità di circa 1076 grammi per centimetro cubo: il che equivale a comprimere una stella fino a farle raggiungere dimensioni ancor più piccole di quelle di un protone (a mo’ di confronto si consideri che la densità di un buco nero, la più alta densità che si conosca, è di 1027 g/cm3, corrispondente alla nostra Terra ridotta alle dimensioni di una pallina da ping-pong). In seguito alla contrazione le particelle di materia e quelle che caratterizzano le forze che le tengono insieme si compenetrerebbero e si rimescolerebbero fino a perdere la loro identità. Si otterrebbe quindi proprio quella bolla instabile di falso vuoto la quale evolverebbe poi spontaneamente, attraverso l’inflazione, verso la formazione di un nuovo Universo.

 

FIGLI DI UN FOLLE

Certo, sarebbe necessario disporre di macchinari e di energie enormi, attualmente nemmeno immaginabili, tuttavia non è da escludere che un giorno non si possa entrare in possesso di una tecnologia in grado di produrre prodigi del genere. Parimenti non è da escludere che qualche civiltà tecnologicamente più avanzata della nostra, presente su di un altro Universo, una quindicina di miliardi di anni fa, non possa essersi cimentata essa stessa, nei propri laboratori, in un’impresa del genere.

Questi esseri intelligenti di una civiltà lontana nel tempo e nello spazio avrebbero potuto prendere una decina di kilogrammi di materia e comprimerli energicamente. Essi avrebbero allora visto formarsi, sotto i propri occhi, prima un buco nero di dimensioni infime, ma poi, continuando a comprimere, non avrebbero visto più nulla (in realtà nemmeno il buco nero è visibile). Quando quei dieci kilogrammi di materia da cui erano partiti fossero stati ridotti alle dimensioni di un puntino di miliardi e miliardi di volte più piccolo di un elettrone, si sarebbero trovati in una situazione di forte instabilità e si sarebbero staccati dall’Universo nel quale erano stati sottoposti a quella tremenda compressione. La bollicina di materia ed energia, resasi indipendente, si sarebbe allora espansa, improvvisamente, al ritmo previsto dalla teoria di Guth. E il nuovo Universo avrebbe preso forma. Noi stessi potremmo quindi essere il prodotto di un esperimento di laboratorio di una lontana civiltà tecnologicamente molto avanzata … e poco verosimile.

Ritornando con i piedi per terra, e lasciando perdere esperimenti molto improbabili di qualche scienziato squilibrato vissuto miliardi di anni fa in qualche lontano Universo, vediamo invece che cosa potrebbe succedere nell’Universo in cui viviamo. Oggi sappiamo che ogni volta che esplode una supernova, ciò che resta da questa immane deflagrazione cosmica, collassa formando un buco nero: all’interno del quale potrebbero crearsi le condizioni per la formazione di un nuovo Universo.

Un Universo che si formasse nel modo che abbiamo detto conterrebbe in sé tutti gli attributi tipici del nostro: spazio, tempo e materia. Naturalmente noi non potremmo accorgerci della formazione e della successiva evoluzione della nuova realtà perché il puntino di energia superconcentrata, a parte le dimensioni, sarebbe più “nero” del buco nero e quindi inaccessibile all’osservazione. Naturalmente anche il nuovo Universo una volta staccatosi dal vecchio non potrebbe più, in alcun modo, mettersi in contatto col corpo da cui ha preso origine.

Prof. Antonio Vecchia

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