L’energia oscura forse non esiste?

Una decina d’anni fa gli astronomi hanno scoperto come l’Universo anziché rallentare accelerasse la sua espansione. Cosa è che provoca questa imprevista spinta del Cosmo verso l’esterno? La soluzione più ovvia è quella di pensare che esista una forza la quale si oppone alla gravità accelerando la corsa delle galassie. A questa forza misteriosa che spinge l’Universo ad espandersi fu dato il nome di “energia oscura”.

 

IL MODELLO CLASSICO DI UNIVERSO

Sapevamo che l’Universo si espande perché all’inizio aveva ricevuto una spinta tremenda conseguente al big bang: ma sapevamo anche che questa espansione andava rallentando. Possiamo paragonare questo fenomeno a quello del calciatore molto famoso che incontra i tifosi della nuova società assiepati sulle gradinate dello stadio quando, alla fine della presentazione da parte dei dirigenti della squadra, per dimostrare la sua abilità e potenza, calcia il pallone in alto con tutta la forza che ha in corpo. Il pallone all’inizio viaggia velocissimo poi rallenta la sua corsa, quindi si ferma e ridiscende.

In forza della teoria si può immaginare che l’Universo funzioni allo stesso modo: dopo la botta iniziale l’espansione rallenta sempre più, fino a fermarsi. A questo punto il Cosmo incomincerebbe a contrarsi sotto l’azione della forza di gravità creata dalle masse in esso contenute, come accade al pallone che, dopo il volo, ridiscende verso terra. La contrazione e il conseguente riscaldamento dell’Universo proseguirebbero fino ad un terrificante big crunch, ossia ad un big bang rovesciato.

Ma c’è anche un’altra possibilità relativa alla sorte che attende l’Universo. Riprendendo il nostro esempio sportivo immaginiamo che il bravo giocatore di calcio colpisca il pallone con una violenza tale da farlo sfuggire al campo gravitazionale terrestre: pur rallentando esso conserverebbe una frazione della spinta iniziale sufficiente a fargli continuare il volo nello spazio senza più tornare sulla Terra. Si pensa che a sua volta l’Universo potrebbe comportarsi in questo modo, cioè espandersi a velocità sempre più ridotta ma senza mai fermarsi e tornare indietro.

A prescindere dalle sorti dell’Universo, sia che esso finisse con un big crunch o che continuasse ad espandersi per sempre, i cosmologi tuttavia concordavano nel ritenere che la costante di Hubble, così come la velocità del pallone calciato verso l’alto, non fosse costante nel tempo. La costante di Hubble (che si indica con il simbolo H0) esprime la relazione fra la velocità e la distanza di una galassia. In simboli: H0 = km/s/Mpc. I km/s (kilometri al secondo) indicano la velocità (che è stata calcolata in 72 km al secondo) e i Mpc (megaparsec, pari a circa 3,26 milioni di anni luce) indicano la distanza. Se una galassia dista da un’altra di un megaparsec si allontana da noi ad una velocità di 72 km/s superiore a quella della galassia a noi più vicina. Quindi più una galassia è lontana più velocemente si allontana da noi.

È opportuno, a questo punto, chiarire che una costante se è veramente tale non dovrebbe mai cambiare ma in questo caso H0 si riferisce alla velocità di espansione attuale dell’Universo (lo zero posto ad indice di H esprime proprio questo). In realtà la velocità delle galassie, come quella del pallone calciato con forza, cambia nel tempo. Nel passato H doveva essere stata maggiore di quanto non sia attualmente, così come il pallone alla fine della sua corsa verso l’alto è più lento rispetto alla velocità che possedeva subito dopo aver ricevuto il calcio.

La scoperta che l’Universo stava accelerando e non rallentando la sua espansione, come si era sempre ritenuto, scaturiva dalla osservazione di alcune particolari supernove, dette “Ia”, di cui fu possibile stimare la distanza misurandone la luminosità apparente e confrontarla con lo spostamento verso il rosso (il famoso red shift) delle stesse. Lo spostamento verso il rosso, come è noto, misura l’entità dell’espansione dello spazio: più è grande lo spostamento verso il rosso della luce di supernove lontane, tanto più piccole sono le dimensioni dell’Universo al momento dell’esplosione di quelle stelle.

Le supernove di tipo Ia da una decina di anni a questa parte sono diventate degli indicatori di distanza grazie al fatto che esse hanno tutte la stessa luminosità assoluta. Oggi pertanto svolgono la stessa funzione che ai tempi di Hubble svolgevano le variabili Cefeidi le quali hanno la particolarità di aumentare e diminuire la loro luminosità ad intermittenza regolare. Fu individuata quindi una relazione precisa tra luminosità e durata del ciclo: si scoprì infatti che più è lungo il ciclo, maggiore è la luminosità al massimo della brillantezza.

Spieghiamo ora con un esempio che cosa è un indicatore luminoso di distanza. Supponiamo allora di vedere in lontananza i fari di un’automobile e di dover decidere quanto quell’automobile è distante da noi. Potrebbe trattarsi di un’auto vecchia con i fari poco luminosi posta a poca distanza o di un’auto moderna con i fari molto luminosi posta a grande distanza. Potremo decidere a quale distanza si trova l’automobile solo se avessimo a disposizione un faro di riferimento di cui fosse nota l’intensità luminosa.

Se disponessimo di una torcia elettrica di cui si conosce la luminosità assoluta si noterebbe che la sua luce diventa sempre più debole a mano a mano che si allontana da noi nel rispetto di una precisa legge fisica. Posta quindi a fianco dell’automobile con i fari accesi questa fornirebbe la distanza dell’auto.

Confrontando le distanze con i rispettivi spostamenti spettrali i cosmologi furono in grado di scoprire che l’espansione non rallenta affatto, anzi accelera. È come se si vedesse il pallone calciato verso l’alto che, spinto da una misteriosa forza antigravitazionale, invece che rallentare, fermarsi e tornare indietro, aumenta la sua velocità a mano a mano che sale.

 

LA SOLUZIONEALTERNATIVA

La presenza dell’energia oscura è la logica conseguenza del modello di Universo accettato da tutti i cosmologi. Esso deriva dal cosiddetto “principio cosmologico” il quale prevede che la Terra non sia sistemata in un luogo speciale dell’Universo né tanto meno al centro di esso. All’interno di quel modello il nostro pianeta è considerato un semplice granellino di sabbia che gira intorno ad una comunissima stella, collocata alla periferia di uno dei tanti miliardi di galassie che popolano lo spazio cosmico. Se rinunciassimo a questo dogma la soluzione relativa all’espansione accelerata dell’Universo potrebbe avere una soluzione diversa da quella che invoca la presenza dell’energia oscura.

Se la Terra, invece che trovarsi in una posizione qualsiasi, occupasse una posizione speciale nell’Universo, il mistero dell’energia oscura verrebbe svelato. Supponiamo quindi che il nostro pianeta si trovi entro un gigantesco vuoto cosmico, cioè in una regione in cui la densità media di materia sia molto inferiore rispetto a quella del resto dello spazio. Come abbiamo detto, è la materia presente nell’Universo che frena la corsa delle galassie quindi, se la materia fosse poca essa si opporrebbe in misura ridotta alla spinta conseguente al big bang, facendo prevalere quest’ultima sulla gravità. Per questo motivo il tasso di espansione locale, all’interno della regione quasi vuota, è più rapido che altrove.

In un contesto del genere porzioni differenti dello spazio si espanderebbero a velocità diverse e quindi l’Universo si dilaterebbe in modo non uniforme, come capita ad alcuni palloncini delle feste che non si gonfiano in modo regolare. Con questo espediente si spiegherebbe il fatto che le supernove molto lontane appaiono meno luminose del previsto: la loro luce, che arriva fino a noi, sarebbe costretta ad attraversare uno spazio molto rarefatto entro il quale lo spostamento verso il rosso della radiazione luminosa e la stessa luminosità della stella risultano modificati.

Ora il problema è quello di vedere se questo vuoto gigantesco in cui viviamo esiste veramente. Quali osservazioni potranno dirci se l’espansione accelerata dell’Universo è guidata dall’energia oscura o se è conseguenza del fatto che viviamo in un luogo speciale?

Per essere indistinguibile dall’energia oscura il vuoto dovrebbe avere proprietà peculiari. Per esempio, allontanandosi da noi in ogni direzione, la densità media di energia e di materia dovrebbe aumentare considerevolmente nel momento che dallo spazio semi-vuoto si entrasse in quello a densità generale.

Però esiste anche una soluzione alternativa: se invece che un grande spazio a densità molto bassa vi fosse una serie di piccole regioni di bassissima densità, distribuite con regolarità come lo sono i buchi nel formaggio svizzero, queste riprodurrebbero collettivamente gli stessi effetti dell’energia oscura. Quindi, complessivamente, l’Universo rispetterebbe il principio cosmologico sia nel caso di un unico vuoto sia nel caso di tante regioni di bassa densità: ma lo farebbe in generale, non localmente.

Solo le osservazioni potranno risolvere la controversia fra energia oscura e i modelli di vuoto cosmico. Oggi sono in allestimento alcune apparecchiature molto sofisticate e precise che dovrebbero chiarire la storia dell’espansione cosmica. Fra queste vi è un gigantesco radiotelescopio che entrerà in funzione nel 2020; esso fornirà il rilevamento di tutte le galassie presenti all’interno dell’orizzonte osservabile.

Prof. Antonio Vecchia

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