Quando inizia la vita un nuovo individuo

Sempre più spesso, e sempre con maggiore insistenza, si sente invocare il “diritto alla vita” da parte dei movimenti cattolici che ritengono l’esistenza umana qualche cosa di sacro e inviolabile ed allora è lecito chiedersi: “Quando ha inizio la vita?” La risposta è semplice e sorprendente allo stesso tempo: “Mai!” La vita infatti ha avuto inizio una sola volta circa tre miliardi e mezzo di anni fa e da allora non si sono più realizzate le condizioni perché il fenomeno si ripetesse: la vita stessa ha distrutto i presupposti necessari alla propria origine. Possiamo quindi affermare che attraverso la riproduzione la vita non inizia: viene semplicemente trasmessa da un individuo ad altri individui.

Forse allora è più corretto porsi un’altra domanda: “Quando ha inizio la vita di un nuovo individuo?” In questo caso il biologo risponderebbe che, se la riproduzione è di tipo sessuato, un nuovo individuo nasce nel momento stesso in cui il gamete maschile (spermatozoo) penetra in quello femminile (cellula uovo o ovulo) formando una cellula a doppio contenuto cromosomico (cioè con il DNA completo), detta zigote. Questa prima cellula si dividerà successivamente producendo molti miliardi di cellule che andranno a costituire il corpo adulto. Quasi tutte queste nuove cellule sono simili alla prima, cioè diploidi; non lo sono invece i gameti, ossia le cellule deputate alla riproduzione che sono aploidi e pertanto contengono metà dei cromosomi presenti in tutte le altre. Per la scienza non vi sono quindi dubbi: fin dal momento del concepimento esiste un nuovo individuo che, senza discontinuità, si svilupperà per stadi successivi fino ad assumere la struttura definitiva. Ma il problema vero, come chiariremo meglio in seguito, non è quello di stabilire quando inizia la vita di un individuo qualsiasi, bensì decidere quando un individuo assume caratteristiche umane.

Per quale motivo è così importante e urgente stabilire il momento esatto in cui inizia la vita di un uomo? Tutto nasce in seguito alla pratica (che va sempre più diffondendosi) della cosiddetta “procreazione assistita”, una tecnica tesa a favorire la riproduzione umana che crea però il problema etico e legale della conservazione e della manipolazione degli embrioni e che richiede, come vedremo, una soluzione politica, non biologica.

 

LA RIPRODUZIONE ASSISTITA

In una società in cui con sempre maggiore frequenza si sente invocare l’esigenza di “naturalità” non ci si rende conto che nella vita di ciascuno di noi di naturale non c’è proprio niente. Gli ospedali, le automobili, i farmaci, la luce elettrica e mille altri beni di cui dispongono soprattutto i cittadini che vivono nei paesi industrializzati, non sono prodotti naturali. Ed oggi nemmeno il processo riproduttivo è più naturale: da un lato vi sono le pratiche contraccettive, che consentono di separare la sessualità dalla riproduzione e dall’altro esistono nuove tecniche riproduttive, che rendono possibile la riproduzione senza sessualità.

Nella società moderna è sempre meno frequente fra le giovani coppie il desiderio di avere un figlio immediatamente dopo il matrimonio. L’età della procreazione tende quindi a spostarsi sempre più in avanti nel tempo preferendo molti giovani (soprattutto se di sesso femminile) dedicare le loro energie al lavoro e alla carriera, al consolidamento della situazione economica, alla ricerca di una abitazione confortevole e al migliore utilizzo del tempo libero.

Avviene però di frequente che quando gli sposi non più giovani decidono finalmente di mettere al mondo un figlio, si accorgano, non senza stupore, che ciò non avviene con la facilità immaginata in precedenza ed allora nascono due sentimenti contrapposti. Da un lato l’angoscia, i sensi di colpa e la depressione e dall’altro la scoperta che anche senza figli si può vivere felicemente. Una coppia di sposi che si convince di non potere avere figli e che non ne fa un dramma apprende che esistono tante altre coppie nella sua stessa situazione da molti anni pur vivendo serenamente la loro vita. Inoltre vengono anche a conoscenza di una lunga serie di inchieste condotte in mezzo mondo che dimostrano come le coppie senza figli invecchino meglio di quelle prolifiche, abbiano rapporti sociali, lavorativi e personali più vivaci, più attivi e come queste relazioni interpersonali si protraggano lungamente nel tempo.

In molte coppie però la condizione di infertilità determina ansia, frustrazione, disadattamento: una situazione amplificata ulteriormente da una pressione sociale ancora molto forte verso i giovani sposi. Anche se le nascite sono in calo ci si aspetta da chi si sposa almeno un figlio, perché si ritiene che la presenza dei figli mantenga unito il legame e assicuri la stabilità del matrimonio. La convinzione largamente diffusa che una famiglia sia tale solo se ci sono dei figli crea quindi in alcuni il problema serio dell’infertilità. Occorre pertanto comprendere quali siano i motivi per i quali alcune coppie non riescono ad avere figli.

Le cause possono essere svariate e dipendere dalla donna, dall’uomo o da entrambi. In un tempo non molto lontano la donna era ritenuta unica responsabile della sterilità e quindi era sempre lei ad essere sottoposta ad accertamenti e terapie. Oggi invece si parla di “coppia infertile” perché i sistemi riproduttivi del maschio e della femmina devono lavorare correttamente e all’unisono per potere procreare. Non è sufficiente ad esempio che uno dei due abbia già avuto un figlio per sottrarsi alle indagini.

L’aumento della sterilità, o per meglio dire della infertilità (perché la prima è una condizione veramente rara) è un problema che investe soprattutto il mondo occidentale ed una delle cause più evidenti è l’innalzamento dell’età media in cui si cerca il primo figlio. La donna raggiunge il massimo della fertilità intorno ai 25 anni, età oltre la quale comincia una riduzione fisiologica del sistema riproduttivo il quale si annulla del tutto con la menopausa. Per l’uomo le cose vanno diversamente in quanto egli non arriva mai ad una cessazione completa della fertilità, ma anche per il maschio dopo i 50 anni le possibilità di procreare sono molto ridotte.

Fra le altre cause di infertilità sono da annoverare sicuramente l’aumento delle infezioni genitali sia maschili che femminili e il peggioramento del liquido seminale determinato dall’inquinamento ambientale (estrogeni utilizzati in zootecnia, pesticidi, gas di scarico) e dall’uso di farmaci, droghe, caffè, alcool e fumo; la sterilità femminile in particolare può essere determinata da aborti o dall’uso prolungato di anticoncezionali e infine pure dallo stress. I segnali che provocano la liberazione della cellula uovo dall’ovaia partono infatti dal cervello e di conseguenza uno stress nervoso può alterare un meccanismo fisiologico già di per sé molto delicato.

Non sono da trascurare nemmeno i fattori psicologici. Non è infatti raro il caso di una coppia che dopo anni di attesa e dopo essere stata sottoposta a diverse terapie in centri specialistici di infertilità, decida di adottare un bambino: si verifica spesso che appena avuto il bambino in adozione la donna rimanga incinta.

Quando si sono percorse tutte le strade, diciamo così “naturali”, per avere un figlio non rimane che il ricorso alla “procreazione artificiale”.

Svariate sono le tecniche di procreazione artificiale (o assistita) dalle più semplici e banali alle strategie più incredibili, tanto che nella realtà odierna nessun atto naturale è più considerato strettamente necessario per avere un figlio perché questo può venire concepito in laboratorio. In termini più espliciti oggi non è più indispensabile che il maschio attraverso l’atto sessuale deponga il proprio liquido seminale nella vagina della donna per mettere al mondo un bambino in quanto questa operazione può essere fatta artificialmente iniettando, al momento dell’ovulazione, lo sperma attraverso una cannula direttamente in prossimità del collo dell’utero della donna.

Ma si può fare molto di più e di meglio. Oggi si possono portare fuori dal corpo umano i gameti maschili e soprattutto quelli femminili e quindi favorirne l’incontro in vitro o, come si dice in termini giornalistici, “in provetta”, e quindi trasferire l’embrione appena formato nell’utero della donna. Si può anche conservare lo sperma di un donatore in contenitori detti “banche del seme” alla temperatura costante di 196 gradi sotto lo zero grazie all’impiego di azoto liquido. Questa tecnica consentirebbe all’uomo di procreare anche quando la sua fertilità dovesse venire meno a causa di qualche trattamento medico o chirurgico irreversibile e addirittura in caso di morte. È successo effettivamente che una donna francese sia stata inseminata con lo sperma del marito deceduto ed abbia quindi messo al mondo un bambino il quale da grande è venuto a sapere di essere orfano di padre già da alcuni anni prima della sua nascita.

Oggi paradossalmente è possibile, grazie alle donazioni, che due persone possano generare un figlio senza essersi mai viste. La donna impossibilitata ad ovulare può infatti ricorrere ad ovuli di una donatrice oppure una donna in grado di ovulare ma priva di utero o con utero malformato può fare fecondare i propri ovuli in vitro (anche da spermatozoi di un donatore sconosciuto) e quindi trasferire l’embrione nell’utero di una donna che porti a termine la gravidanza. In questo caso il bambino nato sarebbe biologicamente figlio delle persone che hanno fornito i gameti ma si sarebbe sviluppato nell’utero di una “balia” sui generis.

 

L’UTILIZZO DEGLI EMBRIONI

Martedì 10 febbraio 2004 è stata varata definitivamente, dopo un lungo iter parlamentare, la legge che regola la procreazione medicalmente assistita. All’interno di quella stessa legge è stata anche risolta l’annosa questione volta a definire lo status dell’embrione: se cioè a tutti gli effetti esso debba o no essere considerato persona umana, con i diritti che ne conseguono, primo fra tutti quello alla vita.

Non vi è dubbio che la vita umana debba essere più degna di riguardi e di diritti rispetto a quella di un qualsiasi altro essere vivente, come ad esempio di un batterio che può essere distrutto con un antibiotico o di una fastidiosa zanzara, che può essere schiacciata senza pietà contro il muro. Il problema è stabilire quale sia il momento in cui un embrione assume caratteristiche umane. Per i credenti la persona umana è un essere vivente in possesso dell’anima la quale verrebbe donata da Dio al momento stesso del concepimento: quindi dal punto di vista della Chiesa già lo zigote avrebbe dignità di persona umana. Non tutti però, nemmeno fra i cattolici, sono d’accordo nel fissare l’inizio della vita umana nel momento immediatamente successivo alla fecondazione dell’ovulo.

Per san Tommaso ad esempio l’anima verrebbe immessa nel corpo del nascituro alcuni mesi dopo che la donna è stata fecondata: prima di quel momento – egli argomentava – la materia non è abbastanza formata per ricevere l’anima. Tuttavia sussistono in merito anche opinioni intermedie, così ad esempio secondo alcuni esponenti del mondo cattolico l’embrione diviene un essere umano nel momento del suo impianto, cioè quando attaccandosi alla parete della cavità uterina esso acquisisce la reale possibilità di svilupparsi e generare una nuova vita: una possibilità quest’ultima che prima di quell’evento è solo teorica. Se si accettasse questa proposta l’aborto non dovrebbe essere consentito mentre sarebbe lecita la fecondazione assistita che prevede anche il congelamento degli embrioni (o crioconservazione, dal termine greco crýos = freddo, gelo) e il loro utilizzo per la ricerca.

Per la tradizione filosofica occidentale una persona è un essere dotato di autocoscienza, di ragione e sentimento in grado quindi di compiere libere scelte in modo responsabile. Sulla base di questa definizione molti sarebbero i soggetti privi delle caratteristiche di persona umana menzionate in precedenza, tuttavia questo non vuole dire che tutti coloro che non rientrano nella definizione debbano essere soppressi. L’accettazione di una tale definizione comporterebbe però che l’embrione non è una persona come non lo è ad esempio l’agnello o il pollo e quindi non dovrebbe nemmeno possedere i diritti riservati alle persone. Ora – fanno notare i laici – proprio perché non si dispone di verità assolute e di dogmi si evita ad esempio di praticare l’aborto su di un feto all’ultimo stadio di gravidanza, così come si evita di condannare al carcere chi non è nelle piene facoltà di intendere e di volere: vi è sempre il dubbio, in questi casi limite, che si tratti di esseri umani in grado di provare dei sentimenti e delle sensazioni che fra l’altro forse sono presenti perfino in alcuni animali come cani, delfini e scimmie antropomorfe.

La nuova legge, che accetta in pieno le proposte dei cattolici integralisti, è stata giudicata crudele e ingiusta dai partiti della sinistra e più in generale dai laici (in verità anche da alcuni parlamentari di area cattolica che tuttavia l’hanno votata) i quali hanno evidenziato che essa non rispetta i diversi orientamenti etici, culturali e religiosi presenti nella società multietnica e multiconfessionale quale ormai è divenuta la nostra ed hanno altresì ritenuto che vengano disattesi gli stessi principi costituzionali garantiti da uno Stato che si definisce laico e pluralista. Vediamo allora quali sono gli aspetti più significativi di questa nuova legge.

Essa innanzitutto consente il ricorso alla procreazione assistita solo quando sia accertata l’impossibilità, certificata da un medico, di rimuovere terapeuticamente le cause di sterilità e infertilità. Quindi la normativa stabilisce che al trattamento possano essere ammesse solo le coppie di sesso diverso, sposate o conviventi ma in età potenzialmente fertile ed entrambe viventi; di conseguenza non sono previsti i single, le nonne-mamma, le coppie gay e la fecondazione post mortem. La nuova legge vieta inoltre la conservazione degli embrioni ed impone che una volta fecondato l’uovo debba essere impiantato entro sette giorni e non possa esserci ripensamento da parte della donna.

In seguito a quest’ultima ingiunzione non viene però indicato in che modo si debba procedere per costringere la donna che non lo voglia a farsi impiantare l’ovulo fecondato. Per la verità, proprio a causa del dissenso sollevato intorno a questo articolo di legge, è stato ad esso allegato un ordine del giorno che impegna il Governo, quando dovrà emanare le linee guida relative alla sua applicazione, ad esplicitare che in caso di revoca della volontà di portare avanti la procedura di fecondazione artificiale non vi sia l’obbligo coercitivo dell’impianto dell’ovulo fecondato.

Oltre a tutti gli altri divieti la legge non ammette nemmeno la fecondazione eterologa, cioè la possibilità di ricorrere a donatore o donatrice esterni alla coppia, anche nei casi in cui non vi sia altra possibilità per porre rimedio alla sterilità. A proposito di questa limitazione basata su di un principio etico ancor prima che legale il movimento femminista chiede (provocatoriamente) ai censori della legge per quale motivo dovrebbe essere più morale per una donna la quale desidera un figlio, che il marito legittimo non è in grado di darle, andare a letto con quello della migliore amica, piuttosto che farsi donare il seme da uno sconosciuto.

La legge infine per evitare la produzione di frutti del concepimento in soprannumero limita la creazione di embrioni allo stretto indispensabile per un unico e contemporaneo impianto e stabilisce che il loro numero in ogni caso non debba essere superiore a tre. Questa ulteriore restrizione unita alla preclusione del ricorso alla fecondazione eterologa condanna, di fatto, molte donne a ricorrere ripetutamente alla stressante, e pericolosa per la salute, stimolazione ovarica nel tentativo di creare nuovi embrioni. Tutto ciò favorirà, per chi potrà permetterselo, il turismo procreativo in altri Paesi dove esiste una legge meno restrittiva.

Per i parlamentari di convinzione cristiana che, trasversalmente agli schieramenti politici, hanno votato la nuova legge si è trattato di una vittoria del concepimento “naturale” della vita nell’ambito della coppia, mentre per il movimento femminista e laico quella del voto è stata una giornata di lutto che ha portato l’Italia indietro di un quarto di secolo, anche perché essi temono che la nuova legge possa dar luogo alla modifica della 194 sulla interruzione volontaria della gravidanza (meglio nota come legge sull’aborto).

In realtà la legge sulla procreazione assistita tutela fortemente il nascituro mentre la donna risulta più sacrificata. Posto che l’embrione sia da ritenersi un nascituro avendo esso ben poche possibilità di completare la sua maturazione mentre la donna è sicuramente un essere vivente. Poche sono infatti le probabilità per un embrione di impiantarsi e molte quelle di abortire (già in condizioni normali gli aborti spontanei, quelli di cui spesso nemmeno la donna si rende conto, rappresentano il 40% degli ovuli fecondati) per cui attualmente la percentuale di successo degli interventi (di solito dopo numerosi tentativi) non è superiore al 25%, ma in seguito questo valore è destinato a calare.

La legge contempla anche una lunga serie di severe sanzioni amministrative, civili e penali per i trasgressori. Le multe saranno comprese fra i 100 mila e il milione di euro e la reclusione varierà fra i 10 e i 20 anni qualora venissero praticate la sperimentazione sugli embrioni e la clonazione; nei casi più gravi è pure prevista per il medico l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione.

 

UNA LEGGE CONTRO LA RICERCA

Oltre a limitare la procreazione, la legge vieta, e questo dal punto di vista della scienza è la cosa più grave, la sperimentazione sull’embrione e la clonazione. Proibendo la produzione di embrioni umani e la loro conservazione la legge pone limiti ingiustificati alla ricerca medica e scientifica, giacché preclude la possibilità di nuove scoperte che potrebbero migliorare la vita di molti malati e forse anche guarirli.

Una volta approvata la legge rimane in piedi il problema di cosa fare delle migliaia di embrioni congelati di cui sono pieni i frigoriferi delle cliniche per l’infertilità e che nemmeno i laici se la sentirebbero di buttare nella spazzatura. Una soluzione potrebbe essere quella di assimilarli a soggetti in morte celebrale e optare per la donazione dei loro tessuti, come avviene per gli organi. E’stata anche formulata la proposta di conservarli a tempo indeterminato a spese ovviamente del contribuente: una soluzione quest’ultima che impedirebbe definitivamente la ricerca. Non ci si lamenti poi se continua la fuga dei nostri cervelli e se il prossimo Premio Nobel sarà ancora una volta un Italiano all’estero.

Quando sono in gioco problemi che riguardano la società nel suo complesso l’etica che li sottende non può che essere laica, perché solo in tal caso sarebbe universale, cioè valida per tutti come è ad esempio la matematica la quale è sottratta al giudizio di Dio. Nemmeno Dio è in grado infatti di definire con precisione assoluta il rapporto fra circonferenza e diametro del cerchio: dove vada a finire quel 3,14… non lo sa nessuno, nemmeno la mente più eccelsa. Quando invece l’etica è definita dalle diverse religioni ovviamente ne esiste più di una e ciascuna di esse è giudicata, dai seguaci di quel credo, migliore delle altre. L’etica inoltre si modifica con il passare del tempo: la disapprovazione della Chiesa riguardo alla dissezione del corpo umano interruppe praticamente gli studi di anatomia durante tutto il Medio Evo e dato che senza quella operazione non si riusciva a stabilire la causa della morte, non si potevano nemmeno acquisire le conoscenze necessarie per salvare altre vite umane.

L’embrione può essere paragonato ad una castagna nei confronti dell’albero. Con questa similitudine non si vuole intendere che l’embrione umano corrisponda ad una castagna né che l’albero sia assimilabile ad un uomo, ma semplicemente che una castagna sta all’albero che la produce come un embrione sta all’uomo che l’ha prodotto e da cui deriva e come una castagna non può essere trattata alla stregua di un castagno così un embrione non può essere valutato come fosse un uomo adulto. Nessuno infatti si scandalizza se ad esempio le castagne vengono arrostite sul fuoco mentre molte persone si indignerebbero se vedessero abbattere un albero (specie se sano) o peggio bruciare un bosco di castagni, soprattutto se l’incendio fosse doloso.

E come nessuno è assalito da sensi di colpa mentre mangia le caldarroste altrettanto dovrebbe accadere nella sperimentazione sull’embrione: non dovrebbero esserci motivi di scandalo nell’utilizzare embrioni umani se lo scopo fosse quello di studiare e analizzare le cellule che li compongono al fine di trovare il modo per migliorare la vita di tanti esseri umani, mentre sarebbe inaccettabile condurre esperimenti su di un uomo, o peggio ancora bruciarlo vivo, anche se in passato ciò è stato fatto e proprio in nome di Dio.

Einstein non era tale quando era ancora allo stato embrionale: lo è diventato in un momento successivo. Se si fosse sperimentato su quell’embrione e alla fine lo si fosse soppresso lo scienziato tedesco non sarebbe nato e nessuno avrebbe saputo cosa sarebbe potuto diventare quell’embrione come nessuno sa cosa sarebbero potuti diventare i miliardi di embrioni abortiti più o meno spontaneamente negli anni e nei secoli passati: chissà quanti geni vi sarebbero potuti essere fra di loro.

Un paio di giorni dopo l’approvazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita è giunta la notizia che un gruppo di scienziati sud coreani aveva prodotto il primo vero embrione umano clonato. Si tratta di una conquista storica che potrebbe aprire le porte a ricerche avanzate per debellare innumerevoli malattie, ma nello stesso tempo è stato compiuto anche un passo preoccupante verso la creazione di copie di esseri umani in laboratorio. Gli embrioni clonati (si tratta di una ventina che si sono accresciuti in provetta fino a raggiungere lo stadio in cui di solito vengono impiantati nell’utero femminile) sono stati ottenuti inserendo il nucleo di una cellula adulta di una donna in una cellula uovo alla quale in precedenza era stato tolto il nucleo aploide. Se dovesse svilupparsi uno di questi embrioni fino a completare il ciclo di maturazione nascerebbe un bambino (femmina) identico alla persona che ha fornito il nucleo della cellula somatica.

Il nostro obiettivo – rassicurano gli scienziati coreani – è quello di usare le cellule degli embrioni clonati per fare trapianti, non per fare bambini. La clonazione umana viene infatti considerata riproduttiva quando è volta a dare luogo alla formazione di un essere umano completo mentre viene ritenuta terapeutica quando è utilizzata nella produzione di embrioni dai quali viene estratta una colonia di cellule staminali.

Queste (dal latino stamen = stame, filo, con riferimento al principio germinale e costitutivo di organismi viventi) proprio perché ancora indifferenziate sono cellule totipotenti, in grado cioè di differenziarsi in tutti i tipi di cellule adulte. Esse permettono quindi di rimpiazzare le cellule malate e ad esempio consentono di riparare i danni prodotti da un infarto o quelli causati da un’affezione degenerativa. Le cellule staminali embrionali all’inizio sono tutte uguali ma poi si differenziano in cellule che vanno a formare i diversi organi e apparati i quali costituiscono un organismo vivente: una volta differenziate, cioè specializzate, queste cellule non possono più tornate indietro.

Le cellule staminali inoltre sono immortali, come lo sono quelle tumorali le quali, avendo perso la naturale specializzazione continuano a dividersi senza sosta (sono famose quelle denominate He-La attualmente distribuite in diversi laboratori scientifici dove si riproducono in terreno di cultura adatto). Una volta specializzate le cellule contengono una sorta di timer che ne stabilisce il momento della morte: le cellule cerebrali ad esempio durano esattamente una vita perché muoiono insieme con l’individuo in cui risiedono, mentre i globuli rossi sono cellule che vivono solo tre mesi ma vengono immediatamente rimpiazzate da nuove che si formano nel midollo osseo.

Cellule staminali sono presenti quindi anche in organismi adulti (per esempio nel midollo osseo o nel cordone ombelicale) e potrebbero essere utilizzate anch’esse come quelle embrionali per fare esperimenti, ma sembra che queste ultime presentino dei vantaggi rispetto alle prime. A questo proposito alcuni scienziati (in verità non molti) fanno notare che quella della clonazione terapeutica non è l’unica via da seguire per guarire tanti malati: in realtà le malattie degenerative potrebbero essere curate con metodi terapeutici alternativi che non richiedono l’utilizzo di cellule staminali.

Naturalmente l’applicazione della nuova scoperta a casi concreti non sarà immediata. I biologi ritengono che le ricadute pratiche non si avranno prima di cinque o dieci anni, ma forse non si dovranno aspettare tempi così lunghi; forse molto prima questa conquista verrà consegnata alle persone colpite da malattie degenerative come l’Alzheimer, il Parkinson e il diabete. Però la domanda che non possiamo non porci è se i malati italiani potranno accedere alla cure prodotte dalle nuove tecniche o dovranno ancora una volta recarsi all’estero per curarsi.

Nella vicenda coreana vi è tuttavia anche un aspetto positivo da segnalare e cioè quello che la ricerca non può essere indirizzata e tanto meno fermata: se da una parte del mondo, magari attraverso una legge, si cerca di ostacolare il progresso scientifico da un’altra parte c’è chi porta avanti quegli stessi progetti che altri ritengono immorali.

Prof. Antonio Vecchia

Reply