Il sangue

Negli animali meno evoluti le sostanze nutritive giungono alle singole cellule del corpo per semplice diffusione; negli animali più evoluti si assiste invece alla comparsa di liquidi speciali con la funzione di portare nutrimento ai diversi organi. Negli Invertebrati è presente un unico liquido detto idrolinfa (o emolinfa), mentre nei Vertebrati si distinguono due liquidi diversi: il sangue e la linfa.

Comunemente si pensa al sangue come ad un liquido di importanza capitale per gli organismi superiori e in particolare per l’uomo: in realtà esso deve essere considerato un tessuto connettivo costituito da un insieme di cellule sparse in un’abbondante sostanza intercellulare liquida. Come si è accennato, esso convoglia le sostanze nutritive assimilate per via intestinale verso gli organi di riserva o verso quelli di utilizzazione. Trasferisce inoltre alle cellule l’ossigeno sottratto all’aria dai polmoni per essere utilizzato nelle funzioni di ossidazione degli alimenti e contemporaneamente porta via dai tessuti i prodotti di rifiuto provenienti dalle combustioni, dalle reazioni chimiche e dalla distruzione di cellule che hanno esaurito la loro funzione, convogliandoli agli organi destinati ad espellerli dal corpo (pelle, polmoni, reni, ecc). Un’altra funzione importante del sangue è quella di trasportare dalle ghiandole produttrici ad organi anche lontani gli ormoni che regolano e stimolano determinate funzioni dell’organismo.

Il sangue assolve anche il compito di mantenere costante la temperatura distribuendo uniformemente il calore prodotto dal lavoro muscolare. Anche l’acqua, presente in quantità notevole nel nostro corpo, contribuisce, grazie al suo elevato calore specifico, ad evitare pericolosi sbalzi di temperatura. Il calore specifico di una sostanza è la quantità di calore che bisogna somministrare ad un kilogrammo di essa, affinché la sua temperatura salga di un grado centigrado. Ebbene l’acqua, rispetto a qualsiasi altra sostanza, aumenta di meno la sua temperatura assorbendo una pari quantità di calore e questa sua proprietà si può notare qualora la si metta all’interno di una pentola sulla fiamma: essa accresce molto lentamente la temperatura iniziale. Allo stesso modo, una volta raggiunta la temperatura di ebollizione, allontanata dalla fonte di calore, l’acqua mantiene per molto tempo la temperatura elevata.

Il sangue inoltre, per mezzo dei globuli bianchi, esplica la fondamentale difesa dell’organismo dall’attacco di molti germi patogeni. La sua funzione, come si è visto, è talmente importante per la vita dell’individuo che una perdita troppo elevata di questo elemento o l’arresto della sua circolazione producono la morte.

La linfa è un liquido che deriva a sua volta dal sangue e di essa si parlerà più approfonditamente in seguito.

 

LA FUNZIONE DELLEPROTEINE

Il sangue, come abbiamo detto, è un tessuto connettivo a sostanza intercellulare liquida (detta plasma) in cui sono sospese miliardi di cellule di vario tipo. La frazione cellulare rappresenta quasi la metà del volume ed è composta da globuli rossi (o eritrociti), globuli bianchi (o leucociti) e piastrine (o trombociti). La frazione liquida, il plasma, contiene acqua (in misura di circa l’80%), sali minerali, proteine, ormoni e i vari prodotti della digestione.

Fra le proteine svolge una funzione importante il fibrinogeno che permette al sangue di rapprendersi o coagulare, cioè di passare dallo stato liquido allo stato solido. Poco tempo dopo essere fuoriuscito da una ferita il sangue coagula chiudendo l’apertura e impedendo un’ulteriore sua perdita; il liquido che si libera dalla massa solida prende il nome di siero, il quale può essere ritenuto il plasma privato del fibrinogeno. Nelle persone che soffrono di una rara malattia ereditaria detta emofilia (dal greco haima = sangue e philia = amicizia, amore; quindi l’etimologia del termine potrebbe erroneamente far pensare che queste persone provino piacere a sanguinare) la proprietà del sangue di coagulare non esiste e pertanto in esse anche la più piccola ferita risulta pericolosa.

Il sangue ovviamente non coagula quando si trova all’interno dei vasi in cui scorre e se in particolari circostanze ciò accade si forma un grumo o trombo che blocca il flusso sanguigno in un vaso che, se si trova lontano dal luogo in cui si è formato il coagulo, viene chiamato embolo: le conseguenze di questa occlusione possono essere più o meno gravi a seconda dell’importanza dell’organo irrorato da quel vaso.

Il materiale coagulato è una proteina che deriva dal fibrinogeno e si chiama fibrina perché simile ad una massa di fibre intrecciate. Il fibrinogeno (termine che deriva dal greco e significa “generatore della fibrina”) normalmente non si trasforma in fibrina e quando lo fa, come abbiamo detto, si formano dei trombi. In realtà nel sangue esiste una sostanza chiamata trombina che è un catalizzatore biologico, ossia un enzima che facilita la trasformazione del fibrinogeno in fibrina. Ma nemmeno la trombina normalmente è presente nel sangue perché, se ci fosse, questo coagulerebbe spontaneamente. Anche la trombina deriva infatti da un precursore, la protrombina, il quale a sua volta trae origine da tutta una serie di molecole e frammenti cellulari che prendono il nome di piastrine. Quando vi è un’emorragia in atto le piastrine si disintegrano liberando ioni calcio (Ca++) e altre sostanze che innescano il processo della coagulazione.

Le conoscenze relative alla coagulazione del sangue sono ancora incomplete ma è certo che il nostro organismo necessita della vitamina K in mancanza della quale non si forma la protrombina e il sangue del soggetto, che è carente di questa vitamina, non coagula prontamente.

Altre proteine presenti nel sangue che meritano menzione sono l’albumina e le globuline (cosiddette per la forma sferica della loro molecola). L’albumina, analoga alla proteina del bianco d’uovo, assolve la funzione speciale di trasporto degli acidi grassi ai quali si lega. Un gruppo di globuline, le -globuline (gammaglobuline), si identifica con gli anticorpi di cui si parlerà più avanti. Tutte le proteine del sangue hanno inoltre una importantissima funzione osmotica in quanto, grazie alle loro molecole di grosse dimensioni, non possono fuoriuscire dalle pareti dei vasi mentre richiamano acqua che passa dagli spazi intercellulari all’interno dei vasi diluendo il sangue. La pressione cui è sottoposto il sangue all’interno dei vasi tende a ricacciare fuori l’acqua. L’equilibrio fra la pressione osmotica delle proteine del plasma e la pressione del sangue regola la ripartizione dell’acqua fra sangue e liquido intercellulare garantendo la costanza del volume del sangue stesso.

In un uomo adulto di corporatura media sono presenti circa 5 litri di sangue che vengono pompati dal cuore, attraverso le arterie, fino ai polmoni e da lì a tutti i tessuti del corpo, quindi tornano al cuore attraverso le vene in un circuito continuo che a riposo si completa in circa un minuto mentre sotto sforzo il cuore può pompare il sangue ad una velocità di 20 litri o più al minuto.

 

GLOBULI ROSSI E GLOBULI BIANCHI

Una delle principali funzioni del sangue è quella di trasportare l’ossigeno a tutte le parti del corpo. L’ossigeno è un gas solubile nell’acqua e quindi anche nel sangue che può essere ritenuto una soluzione acquosa. Il sangue in realtà trasporta una quantità di ossigeno ben superiore a quella che si può trovare disciolta nell’acqua e ciò è dovuto alla presenza della emoglobina una sostanza contenuta nei globuli rossi. Se questa non ci fosse l’uomo dovrebbe avere 300 litri di sangue anziché 5 per trasportare un’eguale quantità di ossigeno. L’anidride carbonica, che il sangue raccoglie dopo che sono avvenute le combustioni nei tessuti, viene trasportata per la maggior parte dal plasma in cui si trova in soluzione per lo più sotto forma di ione bicarbonato (HCO3¯).

I globuli rossi sono cellule molto piccole (in un millimetro cubo se ne contano 4 o 5 milioni) a forma di disco leggermente incavato da ambedue le parti. Si tratta di cellule (in verità così chiamate impropriamente in quanto prive di nucleo) altamente specializzate in una sola funzione: il trasporto dell’ossigeno. I globuli rossi vivono in media 120 giorni e quando perdono la loro funzione vengono demoliti dalla milza e dal fegato.

La funzione di trasporto dell’ossigeno, come si è detto, è svolta dall’emoglobina, una proteina che ha la proprietà di unirsi labilmente all’ossigeno formando l’ossiemoglobina, la quale a sua volta si libera facilmente dell’ossigeno in corrispondenza dei vari tessuti dell’organismo ripristinando l’emoglobina stessa. I globuli rossi vengono prodotti dal midollo rosso delle ossa (soprattutto dello sterno e delle vertebre), mentre nel feto anche il fegato è in grado di generarli. Quando si formano, i globuli rossi sono cellule provviste di nucleo.

Oltre ai globuli rossi il sangue contiene cellule notevolmente più grandi, ma di dimensioni variabili, incolori e fornite di nucleo, che prendono il nome di globuli bianchi i quali difendono l’organismo dalle infezioni. Essi, mediante movimenti ameboidi (cioè simili a quelli che praticano le amebe*) possono attraversare le pareti dei capillari dopo averle perforate per accorrere nei focolai di infezione. Qui combattono le infezioni sia inglobando i microbi, attraverso la cosiddetta fagocitosi, termine che deriva dal greco e significa “mangiare cellule”, sia producendo le antitossine, sostanze in grado di neutralizzare le sostanze tossiche emesse dai batteri. I globuli bianchi sono circa 7.000 per millimetro cubo di sangue ma aumentano di numero, anche di molto, nel corso di malattie infettive (nelle leucemie, ad esempio, il loro numero può arrivare fino a un milione per millimetro cubo). Sono inoltre più numerosi nei bambini, durante la digestione e durante il lavoro intenso.

I globuli bianchi sono prodotti dalla milza e dalle ghiandole linfatiche: alcune di queste cellule sono dette granulociti (per la presenza di piccoli granelli scuri nel citoplasma). Altre, dette linfociti, generate in gran parte nei gangli linfatici, sono capaci di produrre anticorpi, sostanze che rendono inoffensivi i germi patogeni, cioè batteri che causano malattie. Essi possono quindi essere considerati i “difensori armati” dell’organismo poiché si oppongono all’ingresso di qualsiasi “invasore”. In ogni focolaio di infezione si assiste ad una grande concentrazione di queste cellule e il pus che si forma in buona parte è costituito da linfociti.

(*) Le amebe sono protozoi senza forma definita, che si muovono emettendo prolungamenti protoplasmatici detti pseudopodi che usano anche per inglobare particelle elementari di cui si nutrono.

 

LA LINFA

Gli spazi intercellulari sono riempiti da un liquido acquoso, chiamato liquido interstiziale, la cui funzione, ancorché poco nota, è estremamente importante in quanto bagna le cellule e le mantiene nelle condizioni ambientali più adatte alla loro sopravvivenza. Le cellule, come abbiamo detto, ricevono dal sangue tutte le sostanze di cui necessitano e lo fanno appunto mediante il liquido interstiziale che pertanto funge da tramite fra il sangue e le cellule stesse.

Il liquido interstiziale si forma dal sangue che, passando lungo i capillari, lascia filtrare una certa quantità di liquido attraverso le loro pareti trattenendo però i globuli rossi, le piastrine e le proteine che sono molecole troppo grosse per passare attraverso i capillari; ciò che esce dai sottili vasi sanguigni è pertanto un liquido incolore costituito da plasma sanguigno e globuli bianchi che, grazie alla loro struttura molle e deformabile, sono in grado di attraversare le pareti di vene e arterie.

Dopo essersi formato, il liquido interstiziale si accumula fra le cellule: se però è presente in quantità eccessiva può ritornare nei capillari oppure può essere drenato in un sistema di stretti canalicoli che costituiscono i vasi linfatici. Il liquido che finisce in questi vasi prende più propriamente il nome di linfa.

La composizione chimica del liquido interstiziale varia a seconda delle ore del giorno e delle parti del corpo in cui si trova. Quello ad esempio che si forma durante la digestione differisce da quello presente a digiuno per il suo notevole contenuto di grassi finemente emulsionati, che lo rendono biancastro e lattiginoso, mentre normalmente esso è chiaro e trasparente. Se da un lato questo liquido cede alle cellule le sostanze nutritizie, dall’altro si carica di quelle di rifiuto. Infine, dopo aver circolato fra le cellule, questo liquido ritorna nella circolazione sanguigna seguendo due strade diverse.

In parte il liquido interstiziale viene riassorbito a livello dei capillari venosi per effetto della pressione osmotica determinata dalle proteine rimaste all’interno dei capillari e in parte si raccoglie entro un sistema di tubicini detti capillari linfatici, le cui estremità a fondo cieco pescano direttamente negli spazi intercellulari.

Questi vasi, all’inizio, sono estremamente sottili ma intrecciandosi ripetutamente fra loro formano una fitta rete e confluendo con altri, costituiscono vasi di calibro sempre maggiore. Lungo il decorso dei vasi linfatici si trovano dei noduli detti gangli linfatici, particolarmente abbondanti in alcune regioni del corpo (collo, ascelle, inguine e addome). Al loro interno, come abbiamo accennato, viene prodotta una parte dei globuli bianchi, i cosiddetti linfociti, e viene filtrata la linfa: procedimento con cui vengono eliminati i germi patogeni e altre particelle di rifiuto provenienti dai tessuti.

Tutti i vasi linfatici alla fine si riuniscono in pochi condotti che confluiscono in una dilatazione detta cisterna di Pecquet dalla quale prende origine il dotto toracico, un grosso vaso che dopo aver raccolto tutta la linfa proveniente dalla parte sinistra del corpo sfocia nella vena succlavia sinistra. La linfa proveniente dalla parte destra del corpo viene invece raccolta dalla grande vena linfatica che sfocia nella vena succlavia destra. In definitiva tutta la linfa finisce nel torrente circolatorio sanguigno.

Anche la milza, organo situato nella cavità addominale in alto a sinistra, può considerarsi un voluminoso ganglio linfatico che svolge azioni importantissime, come quella di fabbricare globuli bianchi e distruggere i globuli rossi invecchiati, recuperando però il ferro che è l’elemento fondamentale dell’emoglobina.

 

I GRUPPI SANGUIGNI

In circostanze particolari, come ad esempio nel caso di emorragie molto gravi, può rendersi necessaria la trasfusione di sangue da una persona ad un’altra. Questa però deve essere praticata con le dovute cautele, in quanto, se eseguita indiscriminatamente, può provocare l’agglutinazione dei globuli rossi del paziente.

Solo agli inizi del ventesimo secolo si riuscì a capire il motivo per il quale a volte i globuli rossi del donatore venivano agglutinati (cioè fatti aderire) dal plasma del ricevente con formazione di trombi che occludevano i capillari: se i vasi ostruiti si trovano in regioni vitali come ad esempio i reni o il cervello le conseguenze sono tragiche e irreparabili.

Nel 1900 il patologo statunitense di origine austriaca Karl Landsteiner (1868-1934) osservò sulla membrana dei globuli rossi degli antigeni (identificati in seguito come enzimi) chiamati agglutinogeni A e B, che definiscono il tipo di sangue di ciascun individuo. L’esistenza di una serie di antigeni sulla superficie dei globuli rossi e di corrispondenti anticorpi anti-A e anti-B (che possono essere chiamati anche alfa e beta) nel plasma, determina la costituzione di quattro gruppi sanguigni principali che si indicano con le sigle: A, B, AB e 0 (zero). Solo durante la guerra dei 1914-18 con il suo terribile fardello di feriti, i medici compresero il valore della scoperta di Landsteiner il quale ricevette il premio Nobel per la medicina nel 1930.

Poiché i gruppi sanguigni variano da un individuo all’altro e ogni organismo ha la tendenza ad eliminare ciò che gli è estraneo può accadere che le trasfusioni sanguigne non siano compatibili. Pertanto, quando si attua una trasfusine bisogna fare in modo che gli anticorpi del ricevente non vengano a contatto con gli antigeni corrispondenti dei globuli rossi del donatore; il fenomeno inverso è invece trascurabile perchè gli anticorpi del donatore sono pochi in rapporto alla quantità di sangue del ricevente.

Gli individui con il sangue di gruppo 0 sono chiamati anche “donatori universali” in quanto i loro globuli rossi, essendo privi di antigeni non vengono agglutinati dal plasma del paziente a qualsiasi gruppo esso appartenga. D’altra parte, la quantità di anticorpi contenuti nel sangue del donatore di gruppo 0 non è dannosa in quanto, come abbiamo detto, viene diluita dalla massa di sangue del paziente. Per la stessa ragione un individuo con sangue di gruppo 0 può ricevere il sangue solo da persone con sangue dello stesso gruppo, in quanto la sostanza ematica, appartenente agli altri tre gruppi che contengono uno o entrambi gli agglutinogeni, si agglutinerebbe.

Il ragionamento opposto è valido per gli individui con sangue di gruppo AB, chiamati “ricettori universali”. La frequenza relativa dei quattro gruppi sanguigni, come vedremo meglio in seguito, varia nelle diverse popolazioni studiate.

I quattro gruppi del sistema AB0 non sono i soli che si riscontrano negli uomini. Esistono una ventina di altri sistemi fra i quali meritano menzione quelli indicati con le sigle MN e Rh.

Il sistema MN è stato individuato dallo stesso Landsteiner, benché sia stato sviluppato però soltanto dopo la sua morte. Le lettere M ed N sono indicative di due proteine degli eritrociti umani. Esso è stato utilizzato in caso di paternità dubbia. Attraverso di esso si può dimostrare che se ad esempio la madre è M e il bambino MN il padre non può essere anch’egli M. Allo stesso modo, se la madre è N e il bambino MN il padre non può essere N. Questi metodi di indagine venivano usati nei tribunali fino a pochi anni fa in casi di dubbia paternità. Oggi esistono tecniche più raffinate basate sulla lettura diretta del DNA che può essere estratto da un liquido biologico qualsiasi.

Il sistema Rh prende nome dalla scimmia Macacus rhesus usata come animale da esperimento di questo specifico fattore. Esso fu scoperto nel 1940 da Karl Landsteiner e dal matematico statunitense Norbert Wigner, i quali iniettarono sangue di un coniglio in una scimmia notando che il sangue medesimo produceva anticorpi adatti a respingere il sangue estraneo. Con grande sorpresa i due scienziati si accorsero che il siero anti-Rh può agire anche sul sangue umano facendolo agglutinare nella maggior parte dei casi. Circa l’85% di coloro che abitano in Europa lo possiedono e costoro vengono definiti Rh-positivi (Rh+), il rimanente della popolazione, che non ha questo antigene, viene detto Rh-negativo (Rh¯). L’importanza pratica del fattore Rh è legata a due eventualità: la prima riguarda il caso in cui persone Rh-negative ricevano per trasfusione sangue di individui Rh-positivi. Una persona Rh-negativa non possiede anticorpi contro l’antigene Rhesus a meno che non sia stata esposta a globuli rossi Rh-positivi; una volta che ciò sia avvenuto il suo plasma conterrebbe anticorpi anti-Rh. Ora, qualora una persona Rh¯ con anti-Rh nel sangue ricevesse sangue Rh+mediante una trasfusione gli eritrociti del donatore si agglutinerebbero con possibili gravi conseguenze per il ricevente. La prima volta in cui globuli rossi con Rh+ entrano in circolo in una persona Rh¯ non si verifica alcuna reazione di difesa. Nella società in cui viviamo è possibile però che una persona riceva più di una trasfusione nella sua vita: ragione per cui è importante sapere di ciascuno di noi non solo l’appartenenza al gruppo sanguigno AB0, ma anche al fattore Rh.

La seconda eventualità riguarda il caso in cui una donna Rh¯ abbia un figlio da un uomo Rh+. In tal caso il figlio sarebbe Rh+ (in quanto fattore dominante) e potrebbe succedere che durante la gravidanza i globuli rossi del feto entrassero nel circolo sanguigno materno determinando la formazione di anticorpi anti-Rh e che questi, durante il parto o anche prima dell’evento, passassero nel sangue del bambino determinando una grave malattia chiamata eritroblastosi fetale (o anche ittero emolitico). Il rischio di distruzione dei globuli rossi del bambino (emolisi), di solito, risparmia la prima gravidanza e si manifesta solo nella seconda. Oggi è possibile prevenire questa grave malattia del neonato trattando la madre fin dalla seconda gravidanza con siero anti-Rh che distrugge i globuli rossi estranei eventualmente presenti nel suo sangue: in tal modo non avverrà la formazione di anticorpi anti-Rh.

 

L’ EREDITARIETÀ DEI GRUPPI SANGUIGNI

I gruppi sanguigni AB0 si ereditano secondo le leggi di Mendel. Essi sono controllati da una coppia di geni indicati con la lettera I. Questo gene esiste in tre forme alternative dette alleli che si indicano con IA, IB e I0. Pertanto, i vari genotipi diploidi sono rappresentati dalle seguenti combinazioni: IA/IA, IB/IB, IA/IB, IA/I0, IB/I0, I0/I0.

I genotipi IA/IA, IB/IB e I0/I0 sono omozigoti, mentre quelli IA/IB, IA/I0 e IB/I0 sono eterozigoti. Inoltre, i genotipi IA/IA e IA/I0 non sono tra loro distinguibili con la tecnica della determinazione dei gruppi sanguigni; lo stesso vale per i gruppi IB/IB e IB/I0. Come si è visto in precedenza, solo quattro sono i fenotipi riconoscibili (A, B, AB, e 0), sebbene i genotipi siano sei.

In seguito a ricerche eseguite su centinaia di migliaia di soggetti nei più diversi Paesi del mondo sulla distribuzione dei gruppi sanguigni e la frequenza relativa degli stessi gli antropologi sono riusciti a stabilire l’origine, la mescolanza e le sovrapposizioni etniche delle popolazioni attuali.

Si è così scoperto che anche per i gruppi sanguigni (come d’altronde per altri caratteri) la frequenza dei diversi alleli (IA,IB e I0) varia nelle diverse popolazioni. Il gruppo B ad esempio è molto frequente nelle popolazioni asiatiche e in quelle dell’Europa orientale e raggiunge un massimo del 40% nell’Asia centrale. Lo stesso gruppo B è invece molto raro in occidente: ad esempio in Olanda e in Inghilterra è presente in meno del 10% della popolazione.

L’irregolare distribuzione dei gruppi sanguigni mostrerebbe i segni non ancora cancellati del tutto delle migrazioni avvenute in passato. Ad esempio, l’infiltrazione del gruppo B nell’Europa occidentale potrebbe essere un segno nascosto dell’invasione di popolazioni provenienti dall’Europa orientale e dal centro dell’Asia, come furono quelle degli Unni nel V secolo e dei Mongoli nel XIII secolo. Studi simili eseguiti nell’Estremo Oriente sembrano indicare un’infiltrazione relativamente recente del gene del gruppo A in Giappone, proveniente da sudovest, e del gene del gruppo B in Australia del nord, dove fino a poco tempo fa era del tutto assente. Questi studi hanno quindi stabilito che la differenziazione in più razze non consiste nella presenza di alcuni geni o nella loro assenza ma piuttosto nelle differenze delle frequenze degli stessi, cioè nell’insieme di più caratteri.

Per quanto riguarda i gruppi sanguigni oggi sappiamo che gli antigeni dei globuli rossi sono numerosissimi così che l’individualità del sangue è tanto complessa che probabilmente non c’è una persona il cui sangue sia identico a quello di un’altra. Ciò dimostrerebbe fra l’altro che almeno per quanto riguarda gli uomini la razza pura non esiste.

Lo studio della frequenza dei geni in una popolazione è particolarmente importante quando si riferisce ad alcune malattie che hanno una base genetica come il diabete o l’anemia mediterranea. Si è notato ad esempio che le persone colpite da ulcera duodenale riguardano una percentuale di individui con sangue di “gruppo 0” maggiore di quella che ci si potrebbe aspettare, mentre gli individui con sangue di “gruppo A” si ammalano di cancro allo stomaco con una frequenza del 20% più alta di quella relativa agli altri tre gruppi sanguigni.

Prof. Antonio Vecchia

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