La biblioteca

Biblioteca deriva da due termini greci: biblio che significa “libro” e thḗkē che significa “deposito” quindi è il luogo in cui sono raccolti e conservati i libri a disposizione del pubbli­co per la lettura e la consultazione degli stessi. Nella biblioteca però non vi sono solo i libri, vi sono anche i bibliotecari senza i quali non sapremmo dove andare a cercare ciò che ci interessa. Que­sti personaggi non conoscono a memoria il contenuto di tutti i libri che custodiscono ma sono in grado di aiutare il ricercatore a trovare le informazioni di cui ha bisogno.

Le biblioteche sono talmente importanti in una società organizzata che probabilmente già esistevano quando si formarono le prime grandi città. La biblioteca più antica di cui è rimasta traccia è una raccolta di tavolette d’argilla incise con caratteri cuneiformi risalente a quattromila anni fa, trovate nella città babilonese di Nippur. Meno durevole, per la sua natura, il mate­riale usato per la scrittura in Egitto fin dal IV millennio a.C. Questo era il pa­piro (Cyperus papyrus) una pianta erbacea che cresceva in riva al Nilo, dove oggi è scomparsa mentre è spontanea in Sicilia. Nell’antichità il papiro veniva impiegato come fibra tessile per lavori d’intreccio mentre dalla lavorazione del midollo si ricava­va un ma­teriale simile alla carta su cui si poteva scrivere.

LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA D’EGITTO

La più grande biblioteca esistente nel mondo greco si trovava ad Alessandria d’Egitto e conteneva mezzo milione di rotoli di papiro (gli equivalenti dei libri attuali) in cui vi era scritto ciò che scienziati, filosofi e artisti avevano pensato nel corso di secoli. Alcuni rotoli erano lunghi fino a quasi 10 metri e gli studiosi venivano in quella città per leggere ciò che in essi era scritto; a volte questi personaggi vi si stabilivano, tanto che Alessandria divenne un importante centro culturale.

Anche gli stessi bibliotecari che avevano a disposizione tanti scritti potevano approfittar­ne per le loro ricerche. Uno di essi era Eratostene di Cirene (276-194 a.C.) il quale aveva letto in uno dei tanti papiri che aveva in custodia che nella città di Siene (l’attuale Assuan) a sud di Alessandria nel primo giorno d’estate a mezzogiorno i raggi del Sole cadevano a perpendi­colo tanto che l’astro si poteva vedere riflesso nel fondo dei pozzi e gli uomi­ni e i pali im­piantati a terra non proiettavano ombra. Ad Alessandria questo fenomeno non suc­cedeva mai: gli og­getti formavano sempre in tutti i giorni dell’anno e a tutte le ore del giorno delle ombre più o meno lunghe. Questa osservazione convinse Eratostene che la Terra doveva essere rotonda. Non solo, ma dalla inclinazione dei raggi del Sole ad Alessan­dria a mezzo­giorno del giorno del solstizio estivo si pote­va risalire al valore della cur­vatura del nostro pianeta.

A quel tempo vi erano degli uomini che misuravano le distanze percorrendo lunghi tratti di strada a piedi. Costoro si chiamavano “bematisti” cioè misuratori di passi. Il termine de­rivava dal greco bema che significa passo, una misura che corrispondeva a 74 centimetri. Dopo essere venuto a conoscenza della distanza fra Alessandria e Siene, Eratostene misu­rò l’altezza del Sole ad Alessandria lo stesso giorno in cui esso era a perpendicolo a Siene. Confrontando la distanza fra le città e la diversa altezza del Sole sull’orizzonte lo studioso calcolò la circonferenza terrestre ottenendo una misura che, nonostante fosse incerta la lunghezza della unità di misura usata a quel tempo, non era di molto diversa da quella che conosciamo attualmente.

Eratostene era considerato l’uomo più sapiente del suo tempo e fra le altre cose aveva raccolto informazioni di ogni genere che gli erano state riportate da esploratori, mercanti e guerrieri greci osservate nei loro lunghi viaggi. Utilizzò poi tutte le notizie di cui era venuto a conoscenza per disegnare una carta geografica in cui le distanze reali e i manufatti naturali erano rappresentati, per quel tempo, con una discreta precisio­ne. La geografia è parola greca che significa “disegnare la Terra” in quanto serve a descri­vere l’aspetto della superficie terrestre.

Tre secoli più tardi un altro scienziato descrisse, invece che la Terra, la struttura dell’in­tero Universo. Il suo nome è Tolomeo ed è considerato l’ultimo scienziato greco. Visse fra l’87 e il 150 dopo Cristo. La sua opera era chiamata Magiste Synthasis che significa “Gran­de Compilazione”, ossia disposizione in ordine degli oggetti celesti. Gli arabi trasformaro­no poi il titolo del libro in Al-magjistis che vuol dire “Il più grande” da cui derivò il nome di Al­magesto con cui oggi è conosciuto quel testo.

Si tratta dell’opera di astronomia che dominò questa scienza per quasi mille e cinque­cento anni. Essa era ispirata dalle teorie di Aristotele che descrivevano qualsiasi fenomeno naturale e quindi anche la struttura dell’intero Universo. In questo, come in altri casi, il grande filosofo di Stagira non riuscì però a spiegare con precisione tutti i fenomeni che venivano osservati. Per quanto riguardava la Terra ferma al centro dell’Univer­so con il Sole, la Luna e le stelle che giravano intorno ad essa non vi erano problemi: quei corpi si comportava­no come se fossero fissati su sfere di cristallo che si muovevano regolarmente da oriente ad occidente. Le cose si complicavano quando si trattava di spiegare il moto dei cinque pianeti noti a quel tempo. Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno di solito si muovevano lentamente come il resto del cielo da oriente ad occiden­te, ma ogni tanto si fermavano ed iniziavano a muoversi nella direzione opposta. Poi cam­biavano nuovamente direzione e si spostavano da est ad ovest come al solito. Come pote­va accadere una cosa del genere in un luogo ordinato in cui le sfere celesti dovevano muo­versi in cerchio, sempre nella stessa direzione e sempre alla stessa velocità?

Tolomeo, per spiegare l’anomalia mise a punto una variante personale. Immaginò che ciascuna delle grandi sfere su cui erano sistemati i pianeti fosse dotata di sfere più piccole che si muovevano a loro volta di moto circolare. Con questo espediente egli riuscì a spie­gare in modo soddisfacente il moto dei pianeti. In realtà, l’idea che la Terra fosse circonda­ta da sfere che giravano lentamente appariva piuttosto strana già a quel tempo, ma Tolo­meo lo considerò un problema irrilevante: egli viveva in un’epoca in cui la realtà non era quella che appariva, ma quella che coincideva con il pensiero di Aristotele.

La ricerca di escamotage piuttosto improbabili per adattare il modello ai fatti reali dimo­strava che la filosofia dei greci aveva iniziato la parabola discendente mentre si faceva strada il pensiero pratico dei romani. Questo popolo era abile nella costruzione di macchi­ne, edifici e strade che ancora oggi esistono. Quanto al pensiero teorico e alla ricerca i ro­mani erano meno dotati e lasciavano la soluzione di quei problemi ai greci. Questo modo di agire condusse però alla catastrofe.

LA FINE DELLA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA

La grande biblioteca di Alessandria venne parzialmente o interamente abbattuta e ricostruita più volte ad iniziare dal 47 a.C. quando durante la guerra fra Cesare e Pompeo un incendio distrusse il porto cittadino e poi le fiamme si estesero ad alcuni depositi della biblioteca, bruciando alcune migliaia di volumi. In seguito la biblioteca subì altri incendi fino a quello che la devastò definitivamente mandando in cenere gran parte delle conoscenze dei greci, della loro storia, arte e cultura. L’incendio fu sicuramente doloso ed anche se non si è mai saputo chi fosse il colpevole qualche dubbio tuttavia esiste.

L’ultimo direttore della biblioteca fu la matematica e filosofa Ipazia, una donna molto colta capace di attrarre studenti da tutto l’impero romano per ascoltare le sue lezioni. Essa nacque nel 370 d.C. ed era figlia di Teone un matematico e astronomo che precedente­mente era stato egli stesso direttore della biblioteca. Ipazia aveva tutte le caratteristi­che per essere odiata dai cristiani: donna, pagana, scienziata di grande fama e gui­da della scuola filosofica neoplatonica di Alessandria.

Si occupò di migliorare le regole matematiche contenute negli Elementi di geometria di Euclide e nell’Almagesto di Tolomeo. L’impegno profuso nell’ambito delle scienze non fu un compito facile e privo di conseguenze per la scarsa considerazione che i filosofi greci ave­vano per le donne. A ciò si aggiunse il fatto che in quel periodo ad Alessandria avevano cominciato ad esserci molti cristiani che consideravano la filosofia, il simbolo della erudizio­ne greca, un sapere che ritenevano pagano. Ipazia era una filosofa molto importante tan­to da essere ritenuta pericolosa e meritevole di morte. Nel 415 fu uccisa dai cristiani che in conseguenza di ciò vennero espulsi da Alessandria e qualche anno più tardi la biblioteca fu bruciata.

Anche i musulmani guidati dal califfo Omar I forse hanno qualche responsabilità sull’incendio della biblioteca alessandrina. Era il 646 d.C. quando Omar I pronunciò le famose parole: “Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili”.

Con il terzo editto del 391 dell’imperatore Teodosio la persecuzione anti-pa­gana s’intensificò e molti cristiani si sentirono autorizzati ad iniziare la distru­zione degli edifici pagani. Ad Alessandria il vescovo Teofilo avviò una sistemati­ca campagna di distruzione dei templi ad iniziare da quello dedicato a Serapi­de, divinità greco-egizia, che riuniva in sé Zeus ed Osiride. Lo stesso vescovo Teofilo, insieme con gli uomini della guarnigione militare, volle dare il buon esempio sferrando il primo colpo contro la colossale statua del dio Serapide. La cosa ricorda molto da vicino il comportamento attuale dei musulmani che di­struggono i templi e i simboli sacri del cristianesimo e non solo.

Prof. Antonio Vecchia

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