…e se diventassimo immortali ?

Sempre più di frequente si sente parlare di persone che hanno superato i cento anni d’età, o di coppie che festeggiano i settanta e più anni di matrimonio. L’allungamento della vita dell’uomo è un dato acquisito ed è stato possibile grazie ai progressi della medicina che ha sconfitto numerose malattie infettive e parassitarie, al rispetto rigoroso delle norme igieniche, a una dieta specifica e ben calibrata e ad un adeguato esercizio fisico. Il processo di miglioramento dello stile di vita, in futuro, ridurrà ulteriormente la mortalità facendo di conseguenza aumentare il numero delle persone anziane. Il problema relativo all’invecchiamento della popolazione, secondo alcuni ricercatori, nei prossimi anni, prenderà il posto dell’incremento demografico come fenomeno di maggiore rilievo dal punto di vista socio-economico. Forse per tale motivo, in questi ultimi tempi, le scienze biologiche si stanno occupando seriamente della questione dell’invecchiamento umano. Perché si invecchia? Fino a che età si potrà vivere in futuro? Si potrà raggiungere l’immortalità?

E’ sotto gli occhi di tutti che la maggior parte degli organismi viventi, uomo compreso, non muore di vecchiaia. Di solito un animale (o una pianta) muore perché non riesce più a procurarsi il cibo di cui necessita, o perché viene mangiato da un altro animale oppure ucciso da un parassita o da qualche causa ambientale, come un incendio o un’inondazione. L’invecchiamento aumenta le probabilità che la morte sopraggiunga per una di queste cause. Tuttavia l’uomo e gli animali da lui protetti, come ad esempio il cane e il gatto, hanno maggiori probabilità di invecchiare rispetto agli animali selvatici, soprattutto se vivono in Paesi altamente industrializzati.

Si sa da lungo tempo che per ogni specie vi è un’età massima raggiungibile: per i topi, ad esempio, questa età è di 3 anni, per i cani, che vivono mediamente 18 anni, è di 34 e i gatti possono vivere al massimo 31 anni. Per l’uomo, la cui vita media attualmente è di circa 75-78 anni, esiste un limite massimo situato intorno ai 120 anni. Di recente le cronache hanno riportato la notizia della morte, all’età di 122 anni, di una donna francese ma, se confermato, si tratterebbe di un record difficilmente superabile e forse mai raggiunto in precedenza dalla specie umana.

Se si riuscisse a capire il motivo per il quale gli esseri umani invecchiano, ovvero come mai il deperimento e la morte siano per noi processi inevitabili, forse si riuscirebbe a ritardare o a prevenire tutte quelle forme di tumori, di malattie cardiovascolari e di altre patologie invalidanti che colpiscono gli adulti con una frequenza che aumenta progressivamente con l’età. L’obiettivo della ricerca, tuttavia, non è tanto quello di prolungare la vita oltre il limite attuale, quanto di vivere a lungo in buone condizioni di salute e andare poi incontro ad un rapido tracollo. Quindi, come auspica anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “piuttosto che impegnarsi per tentare di aggiungere anni alla vita, sarebbe meglio lavorare per aggiungere vita agli anni”.

Prima di proseguire è bene specificare che il concetto di vita e di morte non è così ovvio come sembra. I batteri, ad esempio, che sono organismi formati da un’unica cellula, si riproducono dividendosi in due. All’atto della riproduzione, quindi, una singola cellula cessa di esistere come individuo, ma nello stesso tempo comincia la vita di altre due cellule (individui) che hanno ereditato dalla madre tutta la sostanza vivente che stava in lei. L’immortalità cellulare sembra tuttavia sia andata perduta nel passaggio da forme di vita unicellulari a forme di vita pluricellulari dove le cellule appaiono specializzate in varie funzioni. Se si isola una qualsiasi di queste cellule e la si lascia duplicare in adatto liquido nutritivo si nota che il numero delle divisioni è limitato poiché non supera mai la cinquantina e che poi le cellule muoiono come se fossero state programmate, dall’inizio, per vivere solo fino a quell’età.

Le cellule tumorali dell’uomo tuttavia si dividono senza sosta, avendo perso quella specializzazione in varie funzioni che limita la capacità di dividersi. Le più famose cellule tumorali sono quelle denominate He-La dalle iniziali del nome di una donna morta di cancro molti anni fa e che, acquistata l’immortalità, continuano a riprodursi incessantemente in diversi laboratori scientifici. Due ricercatori americani del Cell Science Center (Centro di studi sulla cellula) hanno fuso una cellula normale con una immortale (tumorale) ottenendo un ibrido incapace di dividersi all’infinito. Ciò proverebbe che l’immortalità, da un punto di vista genetico, è un carattere recessivo e pertanto nella cellula normale dovrebbe esistere un controllo positivo che limita attivamente da un discendente all’altro la capacità di dividersi.

Sulla base delle ricerche finora compiute, le teorie sull’invecchiamento si possono ridurre a due. Alcuni studiosi ritengono che la senescenza sia la diretta conseguenza di un rigido programma genetico che, dopo un certo numero di anni, prevede il decadimento organico dell’individuo e quindi la morte. Il programma genetico non è altro che l’insieme delle informazioni relative ai caratteri fisici e psichici che distingue ciascuno di noi ed è scritto, in linguaggio chimico, all’interno dei cromosomi, cioè di quelle strutture molecolari molto complesse formate prevalentemente di DNA. Gli sforzi dei biologi sono indirizzati attualmente verso l’individuazione dei motivi per i quali si è evoluto l’invecchiamento per poi eventualmente intervenire sui geni coinvolti nel controllo della durata della vita e ciò al fine di cercare di modificare il programma genetico iniziale perché si protragga la durata della vita stessa.

La teoria evoluzionistica insegna che gli organismi più idonei a sopravvivere e a riprodursi sono quelli che poi esercitano la maggiore influenza sul corredo cromosomico delle generazioni future perché trasmettono nella prole le varianti genetiche favorevoli. In maniera analoga, la selezione naturale tende a eliminare i caratteri che esercitano un effetto letale prima che l’individuo che li custodisce raggiunga la maturità sessuale. Un tempo si pensava che la senescenza si fosse affermata perché l’eliminazione degli individui più vecchi aumentava il successo biologico dei più giovani, mettendo loro a disposizione le risorse alimentari non più utilizzabili. Oggi si ritiene invece che i geni (tratti di cromosomi) responsabili dell’invecchiamento svolgessero, nell’organismo giovane, un’attività a favore e solo dopo la fase riproduttiva iniziassero un’attività svantaggiosa, quando ormai la selezione non era più in grado di eliminarli. La conferma di questa ipotesi si avrebbe nell’attività dell’ipofisi, una ghiandola endocrina che fra le varie mansioni regola anche il funzionamento delle ovaie ma che, nello stesso tempo, sembra contribuire al loro invecchiamento. La natura non si preoccupa del singolo organismo ma dell’insieme degli organismi di quel tipo, cioè della specie e quindi protegge l’individuo fino al raggiungimento della maturità sessuale, poi lo abbandona al suo destino, perché da quel momento in poi non sarebbe più utile alla continuazione della specie. La natura fa un po’ quello che fanno gli scienziati quando lanciano un missile verso un determinato pianeta del sistema solare con il compito di scattare alcune foto della sua superficie e quindi, compiuta la missione, si disinteressano del suo futuro.

Secondo altri ricercatori l’invecchiamento sarebbe dovuto al danno subito da qualche enzima di fondamentale importanza o dallo stesso DNA il quale, a sua volta, debilitato, produrrebbe molecole imperfette in grado di alterare il metabolismo delle cellule e il loro normale funzionamento. Responsabili del danneggiamento delle molecole fondamentali della cellula sarebbero i cosiddetti radicali liberi i quali sono molecole che hanno perso alcuni atomi e quindi presentano alcuni elettroni spaiati molto attivi che tendono a sottrarre atomi dalle molecole circostanti, danneggiandole. I radicali liberi si possono formare, all’interno delle cellule, per l’azione di radiazioni particolarmente intense come raggi X e raggi ultravioletti alle quali tutti noi, in modo più o meno intenso, siamo quotidianamente esposti, ma anche per effetto di alcune sostanze che volontariamente o involontariamente ingeriamo.

E’ vero che il corpo umano possiede le difese adeguate per prevenire e correggere i danni causati da agenti nocivi ma non sempre questi meccanismi di difesa sono in grado di funzionare nel migliore dei modi. L’uomo, tuttavia, di recente, ha scoperto che esistono delle sostanze capaci di bloccare i danni prodotti dalle molecole contaminate che si accumulano nel corpo degli organismi. Queste sostanze sono state sperimentate su alcuni insetti e sembra che funzionino, ma è poco probabile che qualcuno pensi di sperimentarle anche sull’uomo: d’altronde ci potrebbero essere altri metodi per favorire la rimozione delle molecole difettose e prolungare la vita umana.

In effetti in questi ultimi tempi sono state sintetizzate alcune proteine sulla base delle istruzioni contenute in alcuni geni prelevati da cellule immortali che iniettati in cellule normali, le rendono capaci di dividersi all’infinito. Le proteine in oggetto sono già state chiamate “proteine dell’immortalità”. A questo punto sorge un problema di carattere generale: se davvero fosse possibile prolungare la vita dell’uomo, sarebbe opportuno farlo?

Se la vita umana fosse più lunga aumenterebbe anche l’incremento demografico e per farlo calare si dovrebbe intervenire ulteriormente sul tasso di natalità. Così facendo, però, aumenterebbe in percentuale e in assoluto il numero dei vecchi i quali continuerebbero a guidare per periodi sempre più lunghi le sorti del pianeta, mentre diminuirebbe quello dei giovani i quali, di contro, dovrebbero aspettare tempi sempre più lunghi per entrare nel mondo del lavoro. Ciò porterebbe ad una serie di danni gravissimi per la comunità. I giovani rappresentano, infatti, energia fresca, idee nuove, il coraggio di cambiare, la ricerca di soluzioni alternative ad annosi problemi, mentre una società tenuta sotto il controllo di gente vecchia e longeva rischia di indebolirsi, di fossilizzarsi.

Tutti noi vorremmo vivere il più a lungo possibile, tuttavia la morte del singolo individuo è indispensabile per la salute e la prosperità della specie intera. La morte degli esseri viventi lascia libertà allo spazio vitale e mette a disposizione materia per la costruzione di nuove forme di vita più adatte all’ambiente in continua evoluzione. Il vantaggio che la singola persona potrebbe trarre da una vita più lunga verrebbe pagato con il declino dell’umanità nel suo complesso.

Prof. Antonio Vecchia

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  1. Besscia

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