Divulgare la scienza

Attualmente per fare ricerca scientifica servono mezzi ingentissimi, così ad esempio si sono spese cifre molto considerevoli per costruire sofisticate apparecchiature che dovrebbero servire per pesare il neutrino, una particella talmente piccola che, al pari del fotone, potrebbe anche essere senza massa. Altre somme notevoli vengono investite per mandare nello spazio telescopi al fine di individuare le lontanissime quasar (oggetti celesti che sembrano stelle ma che emanano energia pari a quella di una intera galassia) la cui presenza non influisce in alcun modo sulla vita in questa Terra.

A questo punto, molte persone si chiedono se valga la pena spendere tanto denaro per studiare fenomeni che sembrano di nessuna utilità pratica mentre quelle stesse somme potrebbero essere impiegate in modo più utile per la soluzione di problemi che affliggono l’umanità come quello relativo alla ricerca sul cancro, alla fame nel mondo o alla costruzione di asili e ospedali da destinare alle popolazioni più disagiate.

È difficile rispondere a tali riserve ma non per questo dobbiamo gridare allo scandalo. Cerchiamo di non fare confusione: ad esempio le spese per le ricerche spaziali degli anni ’60 e ’70 che hanno portato l’uomo sulla Luna, oltre ad aver creato molti prodotti di utilità pratica, sono state inferiori a quelle che nello stesso periodo gli uomini hanno destinato all’acquisto di lozioni che avrebbero dovuto arrestare la caduta dei capelli i quali, lentamente e inesorabilmente, hanno continuato a cadere fino a quando molte di quelle persone hanno deciso di tagliare gli ultimi che la natura aveva risparmiato per diventare completamente calvi: proprio quello che volevano evitare. Forse che spendere soldi per impedire la caduta dei capelli deve essere ritenuto più importante che porre piede sulla Luna?

È molto difficile far capire alla gente comune che il progresso dipende dalla ricerca anche quando questa non è finalizzata al raggiungimento di obiettivi concreti. L’esperienza ha dimostrato che spesso la ricerca pura, quella senza scopi pratici o economici, conduce ad innovazioni inaspettate ma anche qualora non portasse ad alcun risultato tangibile, contribuirebbe comunque all’arricchimento culturale della società civile. E’ immaginabile lasciare perdere e occuparsi di problemi ritenuti più importanti, più urgenti, più fondamentali?

 

IL LAVORO DELLO SCIENZIATO

La comunità scientifica recentemente si è dimostrata preoccupata per il sottosviluppo culturale e sociale del nostro Paese a causa della scarsa diffusione della scienza e della contrazione dei finanziamenti destinati alla ricerca fondamentale. In realtà il grido di allarme che la comunità scientifica lancia da alcuni anni appare recepito, anche se in misura minima, dai responsabili della programmazione economica e finanziaria e alcune opportune misure sono allo studio.

Tuttavia, uno degli aspetti trascurati degli interventi che stanno per essere avviati è un’adeguata valorizzazione del lavoro del ricercatore. La causa del disinteresse della gente comune verso la ricerca scientifica va individuata innanzitutto proprio nella scarsa conoscenza del lavoro dello scienziato e, se i cittadini non conoscono e non apprezzano quello che si fa negli istituti di ricerca e nei laboratori, è difficile che l’impresa scientifica possa trovare il sostegno e i talenti di cui ha bisogno per continuare a svilupparsi.

Somme di denaro superiori a quelle che vengono investite nella ricerca si spendono in Italia, ad esempio, per garantire lo spettacolo calcistico della domenica, benché spesso truccato e sprovvisto di veri valori sportivi che peraltro impone a migliaia di agenti di stazionare nei pressi degli stadi al fine di garantire l’ordine pubblico: ma questo, nonostante la presenza della polizia, spesso viene violato. La possibilità di fornire alla gente uno spettacolo domenicale, che poi verrà discusso e analizzato nei minimi dettagli sulla stampa e sugli altri organi di informazione per tutta la settimana, favorisce in realtà investimenti in denaro che sono considerati più tollerabili dalla popolazione e da coloro che hanno a cuore la sicurezza degli stadi ed i lauti guadagni degli “eroi” che in questi si esibiscono.

Se, ad esempio, si riuscisse a stanziare per la scienza le somme che vengono destinate al gioco del calcio, tutti noi saremmo meglio disposti ad accettare i finanziamenti che vengono erogati alla ricerca. Se inoltre venisse reso pubblico il lavoro degli scienziati e se si riuscisse a far conoscere l’utilità degli investimenti nel campo della ricerca e i fini che questa si propone di conseguire, forse nascerebbe nei confronti degli scienziati una popolarità che oggi sembra appannaggio dei divi del calcio e del cinema.

La conseguenza di una scarsa cultura scientifica è anche l’onnipresenza sulla stampa e in televisione di oroscopi, maghi e guaritori, unita a ondate di terrore ingiustificato verso i prodotti chimici, verso l’uranio impoverito, verso il cosiddetto elettrosmog, verso gli OGM e verso tutte le nuove tecnologie. Da questa preoccupazione sono esclusi però il fumo di sigaretta e l’abuso di bevande alcoliche, ovvero le sostanze che generano il più alto tasso di malattie e di morti.

La causa della scarsa popolarità della scienza sta anche nel fatto che troppi studiosi si rivolgono unicamente ad altri “addetti ai lavori” ignorando l’importanza di un’informazione corretta indirizzata a tutta la popolazione. È necessario, pertanto, trovare il modo di riequilibrare la situazione riscoprendo la vocazione eminentemente pubblica della scienza.

L’esigenza di una divulgazione che esca dai confini eruditi e venga diretta ad un pubblico di media cultura (o, si potrebbe anche dire, di massa) ha le radici in un non lontano passato. Basta ricordare che nel Seicento alcuni ricercatori si dedicarono alla divulgazione dei propri studi, a cominciare da Galileo, il quale, per farsi capire da un pubblico più ampio, scriveva in “volgare” anziché nel più oscuro e dotto latino e scendeva in strada fra la gente con il proprio cannocchiale. Passando al Settecento, il riferimento d’obbligo è senz’altro la cultura espressa dall’illuminismo che contribuì all’allargamento dei contenuti privilegiati del sapere verso destinatari che non erano solo i dotti aristocratici ma anche ceti sociali più bassi.

Nel corso del XIX secolo, dopo gli entusiasmi per alcune scoperte nate dai famosi esperimenti sull’elettricità rivolti ad un pubblico eterogeneo, l’interesse per la scienza si è affievolito ma nella seconda metà del secolo scorso si è registrato – grazie soprattutto alla ricerca – un ritorno in grande stile della divulgazione. Fra i nomi di maggior prestigio vi sono quelli di Isaac Asimov, Stephen Hawking, Paul Davis, John Barrow e, in Italia, del fisico Tullio Regge e dell’oncologo Umberto Veronesi.

Infine, ai giorni nostri, è il caso di ricordare alcune popolari trasmissioni televisive di documentari, dall’esposizione chiara e lineare, di Piero Angela, del figlio Alberto e dell’ottimo geologo Mario Tozzi. Tuttavia, anche se a ciò si aggiunge la diffusione di alcune riviste scientifiche che godono di una certa popolarità (come Focus, o la colta Le Scienze, e le discrete Quark e Newton) oltre ad alcuni periodici specifici di argomenti di astronomia e la presenza di pagine scientifiche su quotidiani e settimanali, rimane il problema più generale della scarsa capacità di diffusione della scienza da parte degli addetti ai lavori i quali raramente si dimostrano interessati a diffondere le loro più recenti scoperte ad un pubblico più vasto. Quando poi gli stessi scienziati trattano argomenti che sono al di là del proprio campo di ricerca, spesso lo fanno in modo approssimativo.

 

SAPERSI SPIEGARE

Gli scienziati hanno imparato come si lavora nella ricerca e nei laboratori, non come si lavora nel mondo dei media. Numerosi sono gli esempi di scienziati di chiara fama che sono stati pessimi comunicatori riguardo alle proprie attività. E’ noto ad esempio che Isaac Newton, forse la più grande mente di tutta la storia, era tanto incapace di comunicare che spesso le sue lezioni erano seguite da non più di un paio di studenti annoiati. Attualmente i ricercatori non possono ignorare quello che il grande pubblico sa o pensa di sapere della scienza ed è quindi necessario che essi imparino anche a parlare alla gente comune. Il punto più basso della sfiducia delle istituzioni verso il mondo della scienza si è raggiunto quando il ministro inglese della ricerca scientifica chiese ai fisici delle alte energie di spiegargli in poche parole il motivo per il quale il contribuente britannico avrebbe dovuto investire una parte del denaro che versava con le tasse nella ricerca del bosone di Higgs, una particella che gli astrofisici ritengono si sia formata al tempo del big bang.

In realtà non solo lo scienziato, ma anche un semplice studioso può diventare un divulgatore di scienza: quanto poi ad avere successo è un’altra questione. L’opera di divulgazione della scienza è un processo graduale che prevede un lungo lavoro di base: informazioni accurate, idee chiare relativamente all’argomento che ci si appresta a trattare, una buona conoscenza della grammatica e della sintassi e la capacità di saper affrontare con versatilità una pluralità di argomenti anche se questi esulano dal campo specifico e settoriale.

Si sa che la scienza vive di linguaggi specifici a cominciare dalla matematica (Stephen Hawking escluse dal suo famoso libro “Dal big bang ai buchi neri” le formule matematiche perché un amico gli aveva detto che ogni equazione che avesse incluso nel libro avrebbe dimezzato le vendite) fino alle varie terminologie specialistiche nelle quali molti vocaboli non hanno neppure una traduzione diretta. Termini come “tettonico”, “genoma umano” o “radiazione di fondo a 3 K” rimandano a fenomeni, a concetti o a interi processi che normalmente non vengono compresi nel loro significato reale da un pubblico generico. La comunicazione pubblica, a differenza di quella specialistica, richiede l’uso di linguaggi condivisi e, se nella comunicazione si è costretti ad usare termini tecnici, è opportuno spiegarne subito il significato, e ciò vale anche quando si tratta di termini dei quali siamo convinti che tutti debbano conoscere il significato come ad esempio DNA. La stessa attenzione deve essere riposta quando si tratta di spiegare i concetti.

Una opportuna operazione semplificativa deve essere fatta quando si introducono unità di misure che non vengono usate nella vita quotidiana o espresse talvolta con una terminologia particolare come ad esempio “anno luce”, un valore che spesso viene confuso con una misura del tempo invece che dello spazio. Lo scienziato inoltre, quando si rivolge ad un pubblico non specialistico, deve procedere con molta cautela perché la gente comune non ha le stesse motivazioni a comprendere determinati argomenti scientifici che invece ha, ad esempio, uno studente universitario.

La scienza inoltre, è difficile in quanto i concetti che esprime sono controintuitivi ossia non possono essere acquisiti con il semplice esame dei fenomeni che si presentano ai nostri occhi nella vita quotidiana: il senso comune, ed ancora di più il buon senso, non servono per comprendere i fenomeni naturali, ed anzi spesso portano fuori strada dal momento che la nostra mente è aristotelica, non galileiana e quindi siamo portati a ritenere che sia vero ciò che vediamo. Ad esempio vediamo i gravi che cadano con velocità che dipende dai loro pesi e quindi riteniamo che la velocità di caduta dei corpi sia direttamente proporzionale alla loro massa. Allo stesso modo l’uomo per secoli ha ritenuto che fosse il Sole a girare intorno alla Terra poiché così appare alla vista. Il bambino, che guardando dal finestrino del treno fermo alla stazione, vede muoversi quello che sta sul binario a fianco al suo, ritiene che sia proprio quello a partire e solo guardandosi attorno si renderà conto di essersi sbagliato. E non si tratta solo di una questione di acquisizione di conoscenze ma proprio di mentalità, di un modo di pensare. Scienziati si diventa, non si nasce: è necessaria tuttavia una certa predisposizione al ragionamento critico.

Abbiamo detto che il senso comune tende all’errore quando è applicato a fenomeni che necessitano per essere compresi di un pensiero rigoroso e quantitativo. Occorre tener presente che per fare ricerca è necessario procurarsi dei dati i quali si ottengono attraverso la misurazione ed in mancanza di questi è impossibile affrontare un qualsiasi problema perchè la risposta potrebbe essere completamente arbitraria o almeno superficiale. Un esempio servirà a chiarire il concetto.

Con il nuovo codice della strada è diventato obbligatorio accende le luci delle automobili anche in pieno giorno quando si guida fuori dai centri abitati. Si dice che con questa norma si evitano pure gli incidenti mortali. Sarà anche vero, ma come si fa a stabilire che la riduzione degli incidenti fuori dei centri abitati è diminuita (sempre che lo sia davvero) proprio viaggiando con i fari accesi delle automobili? La riduzione degli incidenti potrebbe essere dovuta ad una maggiore prudenza degli automobilisti preoccupati per la sottrazione di punti dalla patente o la perdita della stessa, o da multe molto salate o per qualche altro motivo. Non esistono dati (né si possono ottenere) che attestino la riduzione degli incidenti stradali in conseguenza delle luci accese delle automobili.

 

STORIE DI SCIENZA

Un modo efficace per divulgare la scienza è quello di fare ricorso a dei racconti: il saggio in senso stretto fa molta più fatica ad affermarsi. Per parlare del ciclo del carbonio in natura, il chimico Primo Levi nel celebre racconto Carbonio illustrò questo ciclo attraverso le vicende di un singolo atomo di carbonio fra rocce, atmosfera, piante, animali e uomini. Stephen Hawking ha raccontato le frontiere dell’astrofisica con il famoso libro già ricordato “Dal big bang ai buchi neri” che porta per sottotitolo Breve Storia del Tempo. Io stesso ho scritto un libro di argomenti scientifici intitolato Storie di Scienza.

Una narrazione riduce la complessità dell’argomento ad un livello più facilmente comprensibile rendendo naturale un discorso che, se descritto in termini rigorosamente tecnici, normalmente non lo è. Nella narrazione si passa dall’astrazione alla concretezza, ovvero da ciò che il narratore vuole dire a ciò che il pubblico preferirebbe sentire. A volte nella narrazione si perde parte del rigore scientifico ma in compenso si rende più comprensibile il concetto. Fra i vari argomenti trattati nel sito, ve ne è uno nel quale per spiegare le teoria della relatività si fa ricorso alla descrizione dello svolgimento di una partita di pallone giocata in un ambiente in cui la luce invece che viaggiare a 300.000 kilometri al secondo procede a soli 300 metri all’ora. Naturalmente la descrizione è piena di contraddizioni e inesattezze ma serve a chiarire un concetto che in termini rigorosamente scientifici sarebbe stato difficile spiegare.

Nel racconto di Primo Levi l’atomo di carbonio che si libera da una roccia calcarea dopo un lungo viaggio attraverso mille avventure torna a formare una nuova roccia calcarea. Il viaggio che ha per protagonista un singolo atomo si adatta bene per illustrare l’importanza del carbonio nel funzionamento della biosfera, ma non per descrivere i cambiamenti climatici. In questo caso infatti sarebbe opportuno seguire il destino di un gruppo di atomi (invece di uno solo) alcuni dei quali rimangono nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica a determinare con la loro presenza quello che viene chiamato “effetto serra”.

Un altro buon sistema per spiegare una scoperta, che fra l’altro si adatta benissimo con una narrazione, è quello di percorrere le tappe della sua evoluzione. Per capire la struttura atomica si può, ad esempio, partire dall’intuizione di Dalton per arrivare, attraverso tutta una serie di esperimenti che hanno via via arricchito e perfezionato il modello, alla distribuzione probabilistica degli elettroni intorno al nucleo. L’efficacia dello strumento narrativo ha diverse ragioni.

In primo luogo, come abbiamo accennato, la scienza è un modo di conoscere profondamente innaturale e le idee scientifiche non possono essere acquisite con il semplice esame dei fenomeni. In secondo luogo, fare scienza richiede la consapevolezza delle trappole tese dal pensiero naturale. Quindi, raccontando una storia immaginaria a mo’ di esemplificazione anche le teorie più complesse risultano comprensibili.

Quando siamo a contatto con qualcosa a cui è difficile credere, un sistema utile è quello di ricorrere all’esperimento, che può essere reale o concettuale. Di esperimenti reali è ricca la scienza che per il suo progresso si basa proprio su quelli e nel sito se ne possono trovare molti. Sono descritti anche alcuni esperimenti concettuali come ad esempio quello del gatto di Schrödinger o del diavoletto di Maxwell.

Infine al divulgatore della scienza non rimane che leggere, rileggere e controllare il proprio scritto. La revisione deve essere un processo di semplificazione che prevede l’eliminazione delle parole ridondanti, la divisione delle frasi troppo lunghe, la scelta dei termini più adatti e la sistemazione degli stessi nel migliore ordine possibile. Inoltre un po’ di humour rende la gravità delle argomentazioni più digeribile.

Prof. Antonio Vecchia

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