L’inquinamento luminoso

Normalmente, quando si sente parlare di inquinamento, si pensa ai fumi industriali, agli scarichi delle automobili, alle polveri sottili, ai rifiuti radioattivi e forse anche ai rumori assordanti delle motorette (il cosiddetto “inquinamento acustico”), ma non alla luce. E invece anche la luce inquina. In cosa consista l’inquinamento luminoso è presto detto: esso è semplicemente il diffondersi incontrollato della illuminazione notturna pubblica e privata al di fuori delle aree a cui dovrebbe essere diretta. In particolar modo, la luce dispersa verso l’alto, formando una specie di cappa lattiginosa sopra le nostre teste, ostacola la visione delle stelle.

 

PIÙ LUCE AL SUOLO E PIÙ STELLE IN CIELO

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative per sensibilizzare la popolazione sull’inquinamento luminoso ed è questo un argomento che ha sempre avuto scarso rilievo sui mass-media e che gli stessi ambientalisti, per lungo tempo, hanno ignorato. Certo, vi sono molte questioni più importanti e urgenti di cui i cittadini hanno diritto di essere informati, tuttavia anche quello relativo all’irrazionale proliferare di lampioni e fari di ogni genere il più delle volte eccessivi e mal diretti è un problema che deve essere affrontato con serietà e tempestività perché riguarda aspetti di non secondaria importanza inerenti all’economia, all’ecologia nonché alla sicurezza dei cittadini.

Le nostre città, di notte, proiettano verso la volta celeste tanta di quella luce che ormai è diventato quasi impossibile distinguere, dal marciapiede o dalla finestra di casa, se il cielo sia nuvoloso o sereno. Naturalmente i primi a notare e a denunciare il fenomeno sono stati gli astronomi, cioè coloro i quali, per mestiere, guardano il cielo. Ma il problema non riguarda solo gli addetti ai lavori i quali, tutto sommato, potrebbero anche fare a meno del cielo pulito nelle città: attualmente infatti la ricerca si fa in gran parte dallo spazio o tutt’al più da siti speciali ubicati in regioni lontanissime, protette da misure di salvaguardia, come sono ad esempio le isole dell’arcipelago atlantico delle Canarie o la catena andina. I grandi strumenti collocati in quelle località operano con rilevazioni automatiche grazie al cosiddetto “controllo remoto”, sicché raramente gli astronomi devono passare la notte con l’occhio accostato al telescopio, come succedeva un tempo: oggi lo studio delle immagini viene effettuato a tavolino a migliaia di kilometri di distanza dai luoghi di registrazione.

L’inquinamento luminoso riguarda quindi soprattutto la gente comune perché il cielo è di tutti (come il mare o le montagne) e quindi ognuno di noi ha il diritto di godere di uno spettacolo naturale che rappresenta uno dei beni più preziosi (forse il maggiore) che la natura ci offre. Quando ci si trova di notte in montagna, o in un piccolo paese di campagna (in genere poco illuminato), viene quasi spontaneo levare gli occhi al cielo e mettersi ad ammirare il firmamento. Allora si rimane affascinati e quasi increduli di fronte allo scintillio di centinaia di stelle di cui si era dimenticata l’esistenza quasi fossero passati mille anni dai tempi in cui lo stesso spettacolo si poteva ammirare anche nelle città. Alcuni approfittano dell’occasione per individuare le costellazioni più note (ad esempio Orione) o le stelle più luminose (ad esempio Sirio o la Stella Polare). Ci si è mai chiesti quanti fra le nuove generazioni, che abitano nelle grandi città, abbiano mai visto la Via Lattea? Quanti ragazzi sanno che i pianeti si possono vedere anche ad occhio nudo, senza far uso di strumenti particolari?

Qual è il motivo per cui si vedono stelle e pianeti? Sembra banale ma i corpi celesti si vedono perché sono punti luminosi contro un cielo scuro: se si illumina il cielo molti di questi punti non sono più visibili. Le stelle stanno sopra le nostre teste anche di giorno ma non sono visibili perché meno luminose del cielo rischiarato dal Sole: solo una supernova sarebbe visibile anche di giorno, ma ormai sono secoli che non appaiono più stelle di questo tipo. In alcuni casi il cielo sopra le città è talmente illuminato che rimangono visibili solo alcune stelle di prima e seconda grandezza, cioè non più di una decina invece delle quasi duemila che si potrebbero vedere.

 

INQUINAMENTO LUMINOSO È ANCHE SPRECO

Il problema dell’inquinamento luminoso porta con sé anche quello degli sprechi energetici. Ci rendiamo perfettamente conto che l’illuminazione notturna è un bene irrinunciabile legato alla sicurezza dei cittadini, ma sensibilizzare l’opinione pubblica verso il problema dell’inquinamento luminoso non vuol dire convincerla che sarebbe meglio spegnere le luci della città; si tratta invece di dimostrare che una buona illuminazione, esigenze di sicurezza, il rispetto del cielo stellato e l’eleganza dell’arredo urbano possono convivere perfettamente.

La quantità di luce sprecata in quanto non diretta dove effettivamente serve appare evidente quando si viaggia in aereo. In prossimità dell’atterraggio, guardando verso il basso attraverso il finestrino balza agli occhi lo sconfinato scintillare di un agglomerato urbano o la catena di luci multicolori di una fascia costiera. Questo scenario è sintomo di un problema il cui costo in termini economici, ambientali e culturali è stato compreso solo in tempi recenti: se dall’aereo si vede tanta luce è perché i lampioni e i fari non si limitano ad investire le aree da illuminare ma disperdono la luce nelle direzioni più disparate, anche verso l’alto.

Esistono dei parametri (o grandezze fisiche) rispettando i quali gli impianti di illuminazione garantirebbero adeguate condizioni di visione e in tal modo ridurrebbero l’apprensione degli automobilisti per l’abbagliamento causato da un faro mal diretto o l’insicurezza dovuta ad un’improvvisa scarsa illuminazione. Questi parametri sono quattro: due caratterizzano essenzialmente la sorgente luminosa e due le superfici illuminate.

Il primo di essi è il cosiddetto flusso luminoso che si misura in lumen (simbolo lm) e definisce quanta luce viene emessa da una sorgente. Esso in pratica rappresenta la quantità di luce che desideriamo ottenere quando compriamo una lampadina e di conseguenza quanto pagheremo di consumo elettrico durante l’uso. Il valore di questa grandezza normalmente è riportato sulla confezione: per esempio la lampada a filamento incandescente da 40 watt (potenza elettrica assorbita, simbolo W) emette circa 500 lm. Se volessimo aumentare il flusso luminoso dovremmo acquistare una lampadina con maggiore potenza assorbita: per esempio una da 100 W emette circa 1400 lm. Se poi desiderassimo una lampadina con efficienza luminosa (rapporto fra il flusso luminoso emesso e la potenza elettrica assorbita) maggiore ne sceglieremmo una fluorescente compatta. Si tratta di una lampada a scarica entro una miscela di gas particolari che provoca l’emissione di radiazioni nella zona dell’ultravioletto e pertanto invisibili, le quali però, colpendo un sottile strato di sostanze fluorescenti depositate sulla superficie interna del bulbo, generano l’emissione di radiazioni visibili. Queste lampade (dette ad alta resa e basso consumo) sono le più efficienti, in quanto ad esempio assorbono solo 9 W per produrre un flusso luminoso equivalente a quello di una lampadina ad incandescenza di 40 W: il loro prezzo però è un po’ maggiore di quello delle comuni lampadine a incandescenza; in compenso esse durano più a lungo.

Le lampade con efficienza luminosa maggiore in assoluto sono quelle a “vapori di sodio a bassa pressione”: con soli 40 W si ottengono più di 7000 lm, ma la luce emessa è gialla. Naturalmente questa luce non è adatta per illuminare ad esempio un campo di calcio dove si ravvisa l’esigenza da parte dei giocatori di un’ottima percezione dei colori: è necessario in quel caso utilizzare lampade a vapori di mercurio, la cui luce è bianca (in realtà verdolina). Naturalmente una lampada che diffonde luce gialla non va bene nemmeno per illuminare il tavolo da lavoro dove la lampadina più adatta è quella a filamento incandescente, perché la luce prodotta è la più affine a quella solare. Le lampade a vapori di sodio a bassa pressione sono invece le più adeguate per l’illuminazione stradale perché sono le più efficienti e le meno costose ma soprattutto perché sono le più convenienti da un punto di vista energetico. Naturalmente queste lampade poste in mezzo alla strada o nei parcheggi devono essere opportunamente schermate, in modo che la luce prodotta vada a cadere nel punto che deve essere illuminato e non altrove. La luce gialla non consente di riconoscere i colori (la qual cosa in mezzo alla strada non è poi così importante) mentre permette di distinguere bene le forme.

L’altro parametro che caratterizza la sorgente luminosa è l’intensità luminosa. Essa si misura in candele (simbolo cd) ed indica quanto flusso luminoso è concentrato in una data direzione. La conoscenza di questo valore è molto importante nella scelta degli apparecchi per l’illuminazione stradale, in quanto la luce che non illumina direttamente il suolo è inutile. Una lampada da 40 W che irradiasse in modo uniforme in tutte le direzioni avrebbe una intensità di circa 30 cd. Utilizzando invece un riflettore che concentrasse tutta la luce in un angolo di 30° (come avviene normalmente su di un tavolo da lavoro) otterremmo una intensità superiore a 500 cd.

Analizziamo ora le due grandezze che riguardano le superfici illuminate. La prima è l’illuminamento che si misura in lux (simbolo lx) ed indica quanta luce cada su di una superficie. Maggiore è l’intensità luminosa della sorgente nella direzione della superficie illuminata, maggiore sarà l’illuminamento. Con la luna piena l’illuminamento è di circa 0,5 lx, una strada illuminata raggiunge al massimo 20 lx. Sul tavolo di lavoro vi dovrebbero essere non meno di 500 lx mentre in una spiaggia assolata si superano i 100.000 lx, che si riducono a circa 20.000 lx nel caso di cielo coperto.

Infine la luminanza si misura in candele al metro quadrato (in simboli cd/m²) ed è la grandezza che meglio caratterizza ciò che effettivamente vediamo. Se sulla scrivania illuminata da una lampadina si accosta un foglio nero ed uno bianco l’illuminamento dei due sarà lo stesso ma la luminanza del secondo sarà 20 volte maggiore. Per questo motivo negli impianti di illuminazione stradale le normative impongono dei valori minimi di luminanza. All’imbocco di una galleria l’asfalto chiaro e le pareti dipinte di bianco lungo tutto il percorso servono proprio per garantire una migliore visibilità agli automobilisti. Tutti noi abbiamo sperimentato che quando il manto stradale è coperto di neve tutto l’ambiente appare più luminoso.

 

I PRIMI PROVVEDIMENTI

Mentre un progetto di legge nazionale giace da più di vent’anni in qualche cassetto del Parlamento, alcune regioni hanno provveduto a legiferare per proprio conto. Le prime a darsi norme che garantiscano una razionale distribuzione dell’illuminazione pubblica sono state il Veneto, la Lombardia, il Lazio, la Val d’Aosta ed il Piemonte. Il guaio è che queste leggi locali non sono in consonanza fra loro: ottima quella del Veneto e del Lazio, buone quelle della Val d’Aosta e della Lombardia, pessima a giudizio degli astrofili (astronomi non professionisti) quella del Piemonte.

La Regione Piemonte nel 2000 ha varato una legge che asseconda gli interessi dei produttori di elettricità, delle industrie che fabbricano lampade e dei gestori dell’illuminazione pubblica ma non dei cittadini. Essa è stata definita dagli astrofili e dagli ambientalisti una legge-beffa in quanto, anziché limitare l’inquinamento luminoso, lo ha accentuato, incrementando ulteriormente lo spreco energetico.

Oggi sono ben tredici le regioni italiane che si sono date proprie norme e regolamenti ma fra queste non vi è il Friuli-Venezia Giulia, la regione che comprende la città in cui risiedo. Le nuove norme regionali hanno costretto le fabbriche ad adeguare la produzione di lampade per l’illuminazione pubblica lasciando nei magazzini le vecchie. Alcune amministrazioni ad esempio quella di Gorizia, ha utilizzato la carenza legislativa locale per sostituire i vecchi lampioni a globo situati nella strada del centro con altrettanti dello stesso tipo proibiti in tutte le regioni in cui vigono le nuove leggi sull’antinquinamento. Le vecchie lampade che fra l’altro erano anche sporche, diffondevano luce prodotta da vapori di mercurio, in buona parte di lato, e verso l’alto, cioè dove non serviva. Le nuove lampade diffondono luce gialla prodotta da scarica elettrica in vapori di sodio a bassa pressione e questo rappresenta un aspetto positivo della sostituzione delle vecchie lampade con le nuove. Un altro vantaggio potrebbe essere stato il costo delle lampade cedute presumibilmente ad un prezzo “di favore” visto che nessuno le voleva; per il resto tutto è come prima. Oggi, dopo quattro anni dalla nuova installazione le lampade sono di nuovo sporche per il depositarsi di polvere e fuliggine all’interno e all’esterno dei globi nella parte bassa, cioè proprio in quella zona da cui dovrebbe irraggiarsi la luce che illumina la strada e il marciapiede adiacente. Si può calcolare che almeno il 20% della luce prodotta dalle lampade della nostra città viene dispersa verso l’alto; così ogni anno si sprecano circa 100.000 euro di energia elettrica mentre, sostituendo i lampioni obsoleti con lampade ad alto rendimento e dotate di un’adeguata schermatura, il risparmio energetico sarebbe tale da ammortizzare in breve tempo i costi dell’impianto di nuove strutture.

L’inquinamento luminoso colpisce tutti i cittadini anche indirettamente perché ad esempio produce gravi danni agli Osservatori astronomici dove gli astronomi professionisti sono costretti a limitare l’impiego di strumenti costati alla comunità decine di miliardi di lire. Applicando uno spettrografo (strumento che permette di osservare lo spettro di una sorgente luminosa) a un telescopio si può misurare la quantità di luce nelle sue componenti a lunghezze d’onda differenti. Lo spettro, in ottica, è il risultato della scomposizione della luce nei diversi colori corrispondenti a lunghezze d’onda diverse. Attraverso l’esame dello spettro della luce emessa da un oggetto celeste si studiano numerose caratteristiche dell’oggetto stesso, per esempio la sua composizione, la temperatura, la presenza di campi magnetici, ecc. Ma se negli spettri degli oggetti celesti compaiono le righe dei vapori del mercurio, degli ioduri metallici, del sodio o di altri gas presenti nelle lampade per illuminazione cittadine la rilevazione appare inquinata e perde di valore. Le meno inquinanti dal punto di vista astronomico sono le lampade a vapori di sodio a bassa pressione il cui spettro è limitato ad un doppietto giallo che può essere facilmente filtrato.

Ma l’inquinamento luminoso produce il peggior danno alla comunità degli astrofili e alle decine di piccoli Osservatori astronomici pubblici attrezzati per consentire a scolaresche, gruppi o singoli cittadini di poter osservare il cielo con la guida di esperti.

La luce è stata istintivamente considerata un fattore di progresso e di sicurezza e il suo espandersi senza limiti e senza confini qualcosa di gradevole e di allegro: ne è scaturita una cultura della “luminaria” come indice di festosità, di agiatezza e persino di sicurezza che va rovesciata perché quasi sempre indice di spreco. Si era arrivati al punto di proporre di illuminare la cime dell’Etna e del Vesuvio con intenti turistici e spettacolari. In passato si era addirittura suggerito di sopprimere la notte con grandi specchi collocati nello spazio per catturare e riflettere i raggi del Sole. Con il che si sarebbe procurato non solo un danno irreparabile allo studio del cosmo ma si sarebbe anche abolito un intervallo di respiro e di riposo per il genere umano e per tutte le altre creature viventi, comprese le piante. Per fortuna il progetto è stato immediatamente scartato.

Cadute queste velleità assurde resta la realtà di un’illuminazione eccessiva e soprattutto mal collocata e prolungata nelle ore notturne al di là di ogni necessità. Negli ultimi tempi l’illuminazione pubblica è raddoppiata ogni dieci anni, sicuramente oltre le reali esigenze della vita civile. Quello che si chiede da parte degli ambientalisti e delle persone sensibili al problema è semplicemente una illuminazione razionale che consiste ad esempio nell’abbassare quei coni di luce diretti verso il cielo e nel fermare i raggi rotanti delle discoteche e dei casinò: il cielo e l’ambiente valgono molto di più di queste inutili esibizioni luminose.

Per fare un esempio di illuminazione saggia basta citare la città di Frosinone, dove sono in stato di avanzata applicazione le norme legislative contro l’inquinamento luminoso della Regione Lazio. Dall’alto la città appare più buia di altre minori ma le strade sono illuminate meglio: non sono aumentati né i reati né gli incidenti stradali, tanto che gli abituali utenti della strada, come gli autisti dei mezzi pubblici si sono dimostrati riconoscenti con l’amministrazione comunale per il notevole miglioramento della visibilità a terra e la facilitazione dell’osservazione notturna.

Qualche cosa di importante da questo punto di vista possono fare anche i singoli cittadini. Se ogni famiglia italiana rimpiazzasse soltanto due lampadine ad alto consumo energetico con lampadine ad alta resa già si risparmierebbero 3 miliardi di kilowattora all’anno e si eviterebbe di immettere nell’atmosfera due milioni e mezzo di tonnellate di anidride carbonica, il gas che più contribuisce all’effetto serra.

Prof. Antonio Vecchia

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