L’atmosfera e il clima

Il clima della Terra sta cambiando?

L’aumento della temperatura terrestre, che fino a qualche anno fa sembrava solo un’ipo­tesi astratta, oggi è una realtà concreta e documentata. In base ai dati disponibili dal 1880, cioè da quando i valori sono stati misurati con strumenti molto precisi, la temperatu­ra si sarebbe alzata di almeno un grado e mezzo fonda­mentalmente a causa dell’immissio­ne nell’atmosfera dei cosiddetti gas serra, soprattutto anidride car­bonica. Le conseguenze dell’aumento della temperatura terrestre è sotto gli occhi di tutti. I tem­porali e le alluvioni si sono fatti sempre più frequenti e intensi e le stagioni presentano un andamento anoma­lo.

Non è però per nulla accertato che tale aumento della temperatura abbia contribuito a modi­ficare il clima né esiste nella comunità scientifica un’opinione unica su quale possa es­sere la sua entità, quanto rapida e con quali effetti regionali. Secondo alcuni scienziati, il potenziale au­mento di temperatura, associato all’aumento della CO2 prodotta dall’attività umana è sovrastimato perché la CO2“natu­rale” già assorbe la quasi totalità della radiazio­ne infrarossa esistente. Costoro afferma­no che le variazioni del clima ci sono sem­pre state sia in scala pluri­millenaria in cui si alterna­rono epoche glaciali a periodi intergla­ciali, sia in scala secolare. Essi inoltre fanno notare che a partire dal 1950 il clima della Terra ha subito nume­rose oscillazioni contra­stanti anche se globalmente è stata registrata una debole di­minuzione della tempe­ratura.

 

ALTEZZA E STRUTTURA DELL’ATMOSFERA

Il nostro pianeta ha approssimativamente la forma di una sfera costituita a sua volta da più sfere concentriche. La superficie solida in parte sommersa dalle acque si estende fino alla profondità di circa 20 kilometri formando la cosiddetta litosfera (dal greco lithos, pie­tra), mentre il complesso di tutte le acque – la cui superficie è pari a ¾ della intera super­ficie del globo – è detta idrosfera (sempre dal greco hdōr, acqua). Intorno a entrambe queste “sfere”, che si compenetrano una con l’altra, esiste una sfera costituita da gas, l’at­mosfera (ancora dal greco atmós, vapore, fumo). Lo strato sferico gassoso si fa sempre più tenue a mano a mano che aumenta la distanza dalla superficie solida del pianeta. Nel­l’antichità si riteneva che l’aria non avesse peso, ma il famoso esperimento degli allievi di Galileo, i fisici Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani, dimostrò che ad essa faceva equili­brio una colonna di 76 centimetri di mercurio, ovvero di 10 metri di acqua. Facendo leva su questi dati si poteva calcolare il peso dell’aria che circonda la Terra: esso venne sti­mato in 5,6 milioni di miliardi di tonnellate.

Il peso dell’atmosfera quindi risulta essere di poco più di un kilogrammo per centimetro quadrato di superficie; su questa base la massa gassosa che avvolge la Terra avrebbe l’al­tezza di circa 8 kilometri, ammes­so che fosse uniformemente densa per tutto questo trat­to. In realtà lo strato sferico gas­soso che circonda il nostro pianeta si fa sempre più tenue a mano a mano che aumen­ta la distanza dalla superficie solida: esso si estende per più di 2000 km ed anzi possiamo dire che non vi sia nemmeno un limite superiore: a 2500 km la densità dei gas è di circa una molecola ogni cm3. Questo spesso mantello gassoso presen­ta proprietà specifiche in relazione alle varie quote: nell’atmosfera si distinguono perciò di­versi strati denominati “sfere” separati l’uno dall’altro da limitate zone di transizione dette “pause”.

Circa il 75% della massa totale dell’atmosfera è schiacciata ai poli (come lo è tutto il pia­neta) e si trova al di sotto degli 8 km di quota ai poli e di 17 km all’equatore. Essa è detta tropo­sfera, dal greco tropos che significa “rivolgi­mento” in quanto nelle regioni più basse di questo primo strato si formano le nuvole e si verificano tutti gli eventi meteorologici che osserviamo periodicamente: pioggia, venti, temporali, uragani, ecc. Questa zona con­tiene inoltre la quasi totalità dell’umidità e delle impurità, cioè di polveri provenienti dalla super­ficie terrestre e dallo spazio interpla­netario, di sali e di prodotti di combustione che, in for­ma di corpuscoli minutissimi, costi­tuiscono il cosiddetto pulviscolo atmosferico.

Segue, fino a una quota di circa 60 km, la stratosfera, una zona che in passato si rite­neva del tutto priva di turbolenze, nella quale semplicemente l’aria si “adagiava” e infatti il nome deriva dal latino stratus, che significa spiegato, disteso. Essa contiene al suo interno la cosiddetta ozonosfera, ossia uno strato di ozono, un gas formato da tre atomi di ossi­geno, la cui formula chimica è quindi O3. Si tratta di una molecola instabile, che si forma per effetto della radiazione solare sull’ossigeno molecolare, O2. La radiazione provoca la scis­sione di alcune molecole di ossigeno e gli atomi che ne risultano si legano all’O2 for­mando ozono. Questo gas ha vita breve perché, assorbendo altre radiazioni si scinde in O2 e O: l’ozono è quindi in equilibrio fra la formazione e la distruzione delle sue molecole. La concentrazione di questo gas è massima nella stratosfera tra i 20 e i 30 km di quota ed ha la funzione di assorbire le radiazioni solari ul­traviolette che provo­cherebbero, qualora arri­vassero al suolo, gravi danni agli organismi viventi fra cui, nell’uomo, il cancro della pelle, danni alla vista e lesioni del sistema immunitario. É oggetto di studio da parte della comu­nità scientifica in quanto si pensa che possa essere danneggiato dagli scarichi degli aerei supersonici e dal freon, il gas aggiunto alle bombolette spray per vola­tizzare il prodotto.

Al di sopra della stratosfera si trova la ionosfera così detta per la presenza di numerose particelle elettricamente cariche, atomi di gas che sono stati privati di qualche elettrone delle orbite esterne per effetto delle onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda molto piccola e quindi assai penetranti, emesse dal Sole. Gli ioni presenti in questa regione del­l’atmosfera sono responsabili di vari fenomeni fra i quali la riflessione delle radioonde. Tale fenomeno ha grande importanza per la propagazione dei segnali delle telecomunicazioni; se il segnale deve andare oltre la ionosfera, si devono usare frequenze altissime per le quali la ri­flessione non è più possibile.

Oltre la ionosfera, a partire da circa 480 km di quota, si estende l’esosfera (dal greco exo = fuori) nella quale i gas sfuggono e si disperdono nel vuoto dello spazio cosmico.

 

COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERA

La composizione dell’atmosfera nelle regioni più basse, in prossimità della superficie ter­restre, è ormai ben conosciuta. Astraendo dal vapore acqueo e dalle diverse impurità pre­senti in quantità variabili, la cosiddetta “aria secca” contiene un po’ più del 78% di azoto (78,08%), un po’ meno del 21% di ossigeno (20,95%), quasi l’uno per cento di argon (0,93%) e lo 0,04% di anidride carboni­ca; altri gas come neon, elio, kripton, xeno, idroge­no, ozono, anidride solforosa, ammonia­ca, ossido di carbonio, e pochi altri vi compaiono in quantità trascurabili, che si aggirano complessiva­mente intorno allo 0,01%. La composizio­ne dell’aria secca rimane costante fino a circa 100 km di altezza. Oltre questa quota diventa­no predominanti idrogeno ed elio, gas leggeri e molto ab­bondanti nello spazio.

Nella troposfera la temperatura diminuisce di circa 6,5 °C per km in quanto essa è ri­scaldata più dalle radiazioni riemesse dalla Terra che dai raggi solari diretti. Poi, arrivati alla tro­popausa, la temperatura rimane costante a 50 °C sotto lo zero. Nella fascia successiva, la stratosfera, la temperatura aumenta fino a raggiungere 0 °C a 50 km di altezza. Questo av­viene per la presenza di ozono che, come abbiamo visto, assorbe buona parte della ra­diazione ultravioletta pro­veniente dal Sole producendo energia liberata sotto forma di calo­re.

La presenza di un’atmosfera adatta alla nascita e all’evoluzione di organismi viventi su questa Terra è un fatto piuttosto straordinario. Mercurio, ad esempio, il pianeta più vicino al Sole, è molto piccolo e, a causa delle sue dimensioni ridotte, non è riuscito a trattenere i gas presenti al tempo della sua formazione. Venere è grande quanto la Terra ma è più vici­na al Sole e ruota molto lentamente su sé stessa. La sua atmosfera, surriscaldata, è den­sissima ed è costituita per oltre il 90% di anidride carbonica, la quale agisce come una grande serra a livello planetario. A causa dell’effetto serra su Venere si ha una temperatura di circa 400 °C e una pressione che è quasi 100 volte maggiore di quella della Terra. An­che Marte è molto piccolo e i gas che componevano l’atmosfera primitiva sono quasi com­pletamente sfuggiti alla sua forza di attrazione gravitazionale. Oggi la pressione atmosferi­ca al suolo del pianeta rosso è di solo pochi millibar e pertanto la sua atmosfera è 150 vol­te più rarefatta di quella terrestre. In definitiva solo la Terra ha le dimensioni giuste, ruota abbastanza velocemente su sé stessa e si trova ad una distanza ragionevole dal Sole per possedere un’atmosfera capace di sostenere un complesso sistema vivente.

Come e quando si formò l’involucro gassoso che circonda la Terra? L’atmosfera primitiva era sicuramente diversa dall’attuale: priva di ossigeno, era quindi chimicamente riducente. At­traverso le eru­zioni vulcaniche che rompevano l’originaria sottile crosta usci­rono vari gas fra cui vapor d’acqua, idrogeno, acido cloridrico (HCl), ossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2) e azoto (N2). L’idrogeno, gas molto leggero, si è progressi­vamente allonta­nato dalla super­ficie e oggi è presente, in piccolissima quantità, nell’alta at­mosfera dalla quale sta conti­nuamente sfuggendo.

All’atmosfera primitiva si sostituì, probabilmente 2 miliardi di anni fa, quella ossidante di oggi. L’ossigeno è stato prodotto, attraverso la fotosintesi clorofilliana, dalle piante verdi, in particolare dalle alghe. I vegetali primitivi vissero nell’acqua protetti dalle radiazioni ultra­violette, quando non si era ancora formato l’ozono a partire dall’ossigeno atmosferico. É stato calcolato che quando l’ossigeno era scarso gli organismi furono in grado di vivere solo sotto alcuni centimetri d’acqua, ma quando le alghe produssero una discreta quantità di questo gas alcuni organismi lasciarono le acque per diffondersi sulle terre emerse. Que­sta fase corrisponde alla presenza di fossili delle prime piante terrestri che risalgono al De­voniano, ossia a circa 400 milioni di anni fa.

L’atmosfera è importante non solo come gigantesco polmone planetario, ma anche come indispensabile schermo termico. Senza atmosfera infatti, la temperatura del nostro pianeta (considerando la sua distanza dal Sole) sarebbe molto più bassa, in media 35 gradi sotto lo zero, come l’inverno siberiano. Ma l’atmosfera, grazie soprattutto al vapore acqueo e all’anidride carbonica, riesce, come il vetro di una serra, a trattenere il calore solare e, quindi, a riscaldare l’intero pianeta. É infatti un benefico effetto serra che fa innalzare la tempe­ratura media fino a 15 °C.

 

L’EFFETTO SERRA

Nel 1975 il climatologo americano Stephen Schneider (1945 -) della Columbia University pubblicò un libro dal titolo Cambiamenti climatici e sopravvivenza globale nel quale, per la prima volta, veniva lanciato l’allarme sul cosiddetto “effetto serra”, ossia sul riscaldamento progres­sivo del pianeta a causa dell’aumento dell’inquinamento atmosferico (soprattutto di anidri­de carbonica) che riduce l’irraggiamento nello spazio del calore ricevuto dal Sole.

Il carbonio è l’elemento di base della vita sulla Terra: tutti i composti organici che carat­terizzano gli organismi viventi contengono atomi di carbonio. Se a quest’atomo si uniscono due atomi di ossigeno si ottiene l’anidride carbonica, un gas che garantisce la vita delle piante attraverso il processo fotosintetico e il fun­zionamento dell’effetto serra.

In un ciclo che dura da milioni di anni l’atomo di carbonio passa da uno stato all’altro seguendo dinamiche il cui risultato ultimo è quello di consentire all’intero sistema uno sta­to di sostanziale equilibrio. La quantità di anidride carbonica nell’aria è e ffettivamente poca ma è cambiata in percentuale notevolmente nel tempo. Prima della rivoluzione indu­striale della fine del 1700 si stima che fosse di 280 parti per milione. Da quel momento, in segui­to ai processi di combustione di petrolio, carbone ed altri combustibili fossili non si è fatto altro che immettere nuova anidride carbonica nell’atmosfera. Verso il 1850 la presenza di CO2 nell’atmosfera era cresciuta a 295 parti per milione. Nel 1970 ve n’erano 320 e nel 2000 si era arrivati a 375 mentre si registrava un continuo aumento di tale gas, tanto che oggi (gennaio 2014) si stima si sia arrivati a quasi 400 parti per milione (0,04%).

L’anidride carbonica non è l’unico gas serra né il più abbondante. Il maggior responsabi­le dell’effetto serra è infatti il vapore acqueo che da solo rappresenta il 70 per cento del to­tale; seguono l’anidride carbonica con il 15% e, con la stessa percentuale, tutti insieme, il meta­no, gli ossidi di azoto e i clorofluorocarburi (CFC). Se per qualche bizzarra ragione vo­lessimo fare aumentare l’effetto serra producendo solo vapore acqueo non ci riusciremmo: ne servirebbe troppo. É sufficiente invece relativamente poca CO2 e ancor meno metano, la cui presenza nell’atmosfera, detto per inciso, negli ultimi tempi è aumentata, per ottene­re l’effetto desiderato. É in calo invece il freon, che si sta provvedendo a sostituire nelle bombolette spray con altri gas, meno inquinanti. Freon è il nome commer­ciale del CFC-12 capostipite della famiglia dei clorofluo­rocarburi utilizzato nei circuiti dei fri­goriferi e dei con­dizionatori poi impiegato anche come gas propulsore nelle bombolette spray. Nel 1987 mol­te nazioni industrializzate firmarono il cosiddetto “protocollo di Montreal” che prevede­va la riduzione progressiva dei clorofluorocarburi, a cui appartiene il freon, perché ritenuti responsabili del “buco dell’ozono”.

Tuttavia, come si è detto, non è per nulla accertato che tali aumenti abbiano contribuito a modificare il clima fino ad oggi, né esiste nella comunità scientifica un’opinione unica su quale possa essere la sua entità, quanto rapida la sua azione e con quali effetti regionali. Le cose si complicano ulteriormente se si tiene conto dell’azione di feedback cioè di un ef­fetto re­troattivo causato proprio dall’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Que­sta pro­vocherebbe un piccolo aumento della temperatura generando a sua volta un au­mento di evaporazio­ne dell’acqua degli oceani la quale, da un lato alzerebbe ulteriormente la tem­peratura per effetto serra, ma dall’altro, condensandosi in nubi che riflettono le ra­diazioni provenienti dal Sole, impedirebbe che le stesse giungessero a terra e ciò farebbe di­minuire la temperatu­ra al suolo.

La Terra, come abbiamo più volte detto, è investita da un fascio di radiazioni elettroma­gnetiche di varia lunghezza d’onda la cui massima intensità si ha in corrispondenza di quella visibile cioè fra gli 0,40 micron (millesimi di millimetro) del violetto e gli 0,78 micron del rosso. La radiazione solare che arriva al li­mite esterno dell’atmosfera, la cosiddetta co­stante solare, non l’attraverserà completamen­te e quindi non giungerà a terra. É stato cal­colato che solo un po’ meno del 50% della ra­diazione globale potrà essere assor­bita dal suolo, l’altro 50% viene riflesso nello spazio, diffuso o assorbito direttamente dall’atmosfe­ra.

La radiazione che attraversa l’atmosfera riscalda la Terra la cui superficie poi riemette per irraggiamento una radiazione infrarossa a onda lunga (cioè calore). Se l’atmosfera fos­se completa­mente trasparente alla radiazione che proviene dal Sole così come lo è quella ad onda corta il nostro pianeta avrebbe sbalzi termici violentissimi fra giorno e notte. Inve­ce, grazie alla presenza di vapor acqueo, di CO2 e degli altri gas serra che si comportano come un mezzo opaco, la maggior parte della radiazione (circa il 90%) viene trattenuta e rimandata a terra con un effetto regolatore, per l’appunto l’effetto serra, che man­tiene una temperatura media annua (media per tutto il globo) di circa 15 °C.

L’atmosfera e i fenomeni meteorologici che in essa si svolgono (venti, pioggia, uragani, ecc.) insieme a molti altri fattori come le correnti oceaniche, l’estensione dei ghiacci, la po­sizione dei continenti e, non ultimo, il movimento del pianeta intorno al Sole, costituiscono gli ingranaggi di quella grande macchina che è il clima terrestre. Si tratta di una macchina estremamente complessa che determina la distribuzione della temperatura, dei venti e del­le precipitazioni e che definisce le caratteristiche del nostro pianeta, ossia l’estensione e la posizione geografica delle foreste e dei ghiacciai, delle savane e dei deserti con le piante e animali tipici di quegli ambienti e in generale della temperatura media che oggi registria­mo.

In passato vi sono stati climi più freddi che hanno determinato il susseguirsi di diverse glaciazioni durante le quali mezzo pianeta era sotto la morsa del gelo. Vi sono state però anche epoche calde in cui non vi era traccia di ghiacciai nemmeno ai poli, dove sono state rinvenute tracce della presenza di dinosauri, animali a sangue freddo, come sono gli attuali rettili, che non possono certo vivere in ambienti freddi. Il clima dunque muta nel corso di migliaia di anni e le cause di tali mutamenti sono molteplici: dal lento spostarsi di porzioni di crosta terrestre, attraverso la cosiddetta tettonica a zolle, ai piccoli mutamenti dell’or­bita terrestre; da impercettibili variazioni della radiazione solare, all’azione dei vulca­ni. Ulti­mamente però, come abbiamo visto, è intervenuta una nuova causa: l’azione del­l’uomo.

Lo straordinario sviluppo industriale, che da almeno due secoli continua a ritmi crescenti espandendosi verso nuove aree del pianeta sta immettendo nell’atmosfera miliardi di ton­nellate di anidride carbonica. Questo gas che centocinquanta anni fa, come abbiamo visto, era presente in una concentrazione di solo lo 0,028%, oggi è arrivato a quasi 0,040%. Se­condo gli scienziati che studiano i cambiamenti climatici l’aumento di anidride carbonica potrebbe portare in poco tempo ad un aumento della temperatura di un paio di gradi.

L’innalzamento della temperatura dovuto fondamentalmente all’effetto serra, un fatto che tutto sommato potrebbe perfino risultare piacevole, causerebbe però anche una notevole instabilità del clima con maggiori rischi di lunghi periodi di siccità e improvvisi e violenti temporali con conseguenti allagamenti aggravati da mareggiate e un aumento costante del livello del mare, che anche qualora fosse di soli pochi metri, allagherebbe molte città e centri turistici sistemati in prossimità delle coste.

Su tali previsioni regna, come è ovvio, l’incertezza più assoluta a causa dell’enorme quantità di varia­bili in gioco. Tuttavia, secondo i più scettici, le probabilità che si verifichi un cam­biamento climatico, anche se non si sa bene in quale direzione, si aggirano intorno al 30%: un rischio che nessuno, tanto il semplice cittadino quanto il politico più influente, può permet­tersi di igno­rare.

 

IL TEMPO, IL CLIMA E L’UOMO

Prima di entrare in argomento è bene distinguere fra tempo e clima, due termini che nel linguaggio comune vengono spesso usati indifferentemente come se esprimessero lo stesso concetto, mentre in realtà si tratta di due concetti diversi, anche se fra loro collega­ti. Per comprendere meglio la differenza possiamo ricorrere a qualche esempio. Se piove nell’unico giorno di vacanza che ci siamo concessi diciamo che il tempo ci ha rovinato la gita. Ma se durante l’anno in una determinata zona cadono 2.500 mm di pioggia dobbiamo fare riferimento al clima. La città in cui vivo, ad esempio, non gode di un buon tempo: pio­ve spesso e quasi mai il cielo è completamente sereno, tuttavia il clima è ottimo perché raramente si regi­strano ondate di caldo soffocante o lunghi periodi di siccità o di gelo.

In sostanza gli elementi del tempo e del clima sono gli stessi (temperatura, umidità e pioggia, pressione e venti) ma mentre il tempo risulta da una combinazione momentanea dei suddetti elementi il clima è costituito dal loro andamento durante l’anno. Dei due feno­meni possiamo dare in definitiva le seguenti definizioni.

Per tempo atmosferico si intende lo stato dell’aria in un certo punto e in un determinato momento che in pratica si limita a poche ore o al più all’intera giornata in cui tale stato si può considerare costante. Il tempo è oggetto di studio della meteorologia: una disciplina che si occupa delle leggi generali dei fe­nomeni atmosferici.

Per clima di un luogo si intende invece la successione abituale del tempo nel corso del­l’anno, considerando una successione di anni compresa fra 10 e 30. Può anche essere in­teso come lo stato medio dell’atmosfera. La climatologia è la scienza che studia i diversi elementi meteorici di una regione, ne determina i valori normali e definisce, in questo modo, il suo clima.

Malgrado l’atmosfera rappresenti l’ambiente vitale, ugualmente l’uomo riesce a farvi sen­tire in modo negativo la sua presenza, sia con la produzione di grandi quantità e di un nu­mero elevato di sostanze inquinanti, sia con interventi che ne compromettono gli equili­bri. Un primo esempio si ha con l’inquinamento termico delle grandi aree urbane e indu­striali le quali, a causa della mancanza di vegetazione sostituita da un manto continuo di asfalto e cemento, creano delle vere e proprie “isole di calore”. Queste isole generano inoltre vere e proprie cappe termiche che intrappolano gli inquinanti e formano ristagni di smog (mi­scela di fumo e nebbia, ossia di smoke e fog) se l’aria è calma o, in caso contra­rio, pen­nacchi di inquinamento allungati nella direzione del vento dai quali, con la pioggia, cadranno i con­tenuti nocivi anche a notevole distanza dal punto di formazione.

Se il consumo mondiale di combustibili fossili continuerà a crescere con il ritmo attuale – prevedono gli studi condotti da alcuni ricercatori che si sono occupati dei processi dinamici cui è soggetto il clima del pianeta – la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera raddop­pierà in circa 50 anni. La conseguen­za sarà che la temperatura dell’aria aumenterà a tutte le latitudini e in misura particolarmente pro­nunciata verso le regioni polari avviando una rapida fusione dei ghiacciai e quindi un innalzamento del livello dei mari.

In realtà la fusione dei ghiacciai del polo nord non produrrà alcun effetto sul livello dei mari in quanto in quella zona il ghiaccio si trova nell’acqua. Avverrà invece ciò che succede quando in un bicchiere d’acqua galleggia del ghiaccio: se si avrà la pazienza di aspettare che esso fonda completamente non si noterà un innalzamento del livello dell’acqua nel bic­chiere ma sem­mai un leg­gero abbassamento in quanto il ghiaccio ha una densità inferiore a quella del­l’acqua liqui­da e proprio per tale ragione vi galleggia. Ma i mari potranno alzar­si anche per un altro motivo: l’espansione termica. Ogni corpo, infatti, quando viene scal­dato tende ad occupare un vo­lume maggiore. La stessa cosa succederà ai mari riscaldati dall’effetto ser­ra: il livello cre­scerà andando ad invadere i terreni che si trovano in prossi­mità della costa. Ma di quanto si solleveranno i mari? Secondo gli studi di alcune autorevoli Agenzie e Acca­demie scientifiche americane che si occupano della protezione dell’ambien­te, dovrebbero alzarsi in pochi anni di almeno un paio di metri. Ciò non è poco se si consi­dera che lungo le coste vive un mi­liardo di persone e in quell’area si trova il 30% di tutti i terreni coltivati.

Sappiamo ormai con certezza che la continua e crescente combustione di carbon fossile e di idrocarburi costituisce una delle principali fonti di inquinamento dell’aria. In particolare ciò provocherebbe, insieme con l’intenso disboscamento, un notevole aumento della con­centrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Come abbiamo visto questo gas gioca un ruolo determinante nel riscaldamento dell’aria poiché cattura le onde lunghe delle ra­diazioni elettromagnetiche che provengono dal Sole, impedendo che fuggano nello spazio.

Poiché sembra che la concentrazione di anidride carbonica cresca in modo esponenziale di pari passo con la crescita dei consumi di energia e con l’aumento dei consumatori che sono passati da meno di due miliardi dell’inizio del secolo precedente agli oltre sette miliar­di at­tuali, non è troppo azzardato o pessimistico ritenere che il suo ulteriore incremento dovreb­be provocare entro i prossimi anni, un ulteriore aumento della temperatura con eventuale fusione definitiva di gran parte dei ghiacciai e conseguente innalzamento del li­vello dei mari.

L’attuale crisi energetica potrà influenzare notevolmente il consumo di combustibili fos­sili nei prossimi anni; ma anche se tale consumo dovesse stabilizzarsi al livello odierno, grazie ad un grosso impegno politico per la conversione verso altre forme energetiche un aumento notevole di CO2 nell’atmosfera si verificherebbe lo stesso e ciò non eviterebbe i rischi per le generazioni future.

Oltre all’aumento di CO2 dobbiamo evidenziare un altro aspetto dei consumi di combu­stibili che abbiamo trascurato, cioè la produzione di particelle di polvere e di fumo che si vanno ad aggiungere a quelle di origine naturale prodotte dall’attività vulcanica, dal tra­sporto eolico e dal pulviscolo, attraverso le cosiddette stelle cadenti, proveniente dallo spa­zio. Ebbene, alcuni scienziati ritengono che l’aumento di questi “aerosol atmosferici” possa provocare un raffreddamento del clima, cioè potrebbe agire in senso opposto all’anidride carbo­nica.

A questo punto il problema si complica notevolmente e mostra aspetti talora contra­stanti. Abbiamo infatti fatto notare che alcuni tipi di inquinamento influiscono certamente sui sistemi atmosferici e oceanici e quindi possono agire in maniera incisiva sul tempo e sul clima, con conseguenze incalcolabili per la già critica situazione mondiale della produzione di alimenti in rapporto alle necessità della popolazione umana.

Prof. Antonio Vecchia

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