Keplero e le sue leggi

Una teoria scientifica si forma in seguito alla paziente raccolta di dati osservativi e di fatti sperimentati da cui emergono, attraverso un’ispirazione intuitiva, armonica e geniale, la verifica e il completamento di teorie precedenti. Un esempio classico del progredire della scienza, attraverso l’ispirazione, è il tentativo, effettuato quattro secoli fa da un matematico e astronomo tedesco, di scoprire, utilizzando i dati messigli a disposizione dal suo maestro, le leggi che definiscono le orbite e i movimenti dei pianeti del sistema solare, confermando e arricchendo il modello cosmologico eliocentrico di Copernico.

 

UN INIZIO DIFFICILE

Il matematico e astronomo tedesco di cui si è fatto cenno è Johannes Kepler (italianizzato in Giovanni Keplero) il quale nacque il 27 dicembre 1571 a Weil der Stadt, un paesino alle porte di Stoccarda, nel Württemberg, mentre il suo maestro era l’astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601).

Sebbene di insigne discendenza (il nonno paterno era sindaco del paese, e quello materno era stato sindaco anch’egli di un paese vicino) la sua famiglia viveva in povertà. Il padre era un soldato di ventura ubriacone e violento: le poche volte che si trovava in casa di ritorno da una guerra, picchiava la moglie senza motivo, ma nello stesso tempo la metteva incinta. In quella famiglia nacquero sette bambini, di cui tre morirono in tenera età; fra i quattro che sopravvissero vi era Giovanni, benché nato settimino e di salute cagionevole.

La madre era una donna minuta, pettegola e d’animo cattivo; in età matura fu accusata di stregoneria e soltanto l’intervento del figlio poté salvarla dal rogo. La stessa sorte era capitata alla zia che l’aveva allevata, la quale gestiva una laida bettola in cui serviva agli ignari avventori malefici intrugli di droghe e allucinogeni per osservarne gli effetti. Finirà arsa sul rogo dalla Santa Inquisizione con l’accusa di stregoneria.

Piccolo di statura e di costituzione gracile e malaticcia, fin dalla nascita Giovanni soffrì di un difetto alla vista che non gli permetteva di apprezzare luci e colori: tutto gli appariva sfumato, privo di contorni e con immagini sdoppiate. Da ragazzo contrasse il vaiolo che gli lasciò le mani storpiate e il viso butterato; la malattia, alle carenze della vista già presenti alla nascita, aggiunse la miopia. Tuttavia, nonostante i numerosi difetti fisici gli venne riconosciuta subito un’intelligenza superiore.

L’interesse di Keplero per l’astronomia è sorprendente. Prima ancora di compiere dieci anni descrisse nel suo diario la comparsa di una cometa che osservò all’età di sei anni da un luogo sopraelevato sul quale venne accompagnato dalla madre e un’eclissi parziale di Luna che alcuni anni più tardi gli fece notare il padre. Nei primi anni del suo percorso scolastico visse un periodo difficile perché spesso dileggiato e picchiato dai compagni tanto da convincere i genitori a ritirarlo da quell’ambiente e mandarlo a lavorare nei campi. Anche il lavoro manuale non servì tuttavia a migliorare il carattere nevrotico e arrogante del ragazzo.

Fu quindi mandato in seminario dove poté concludere gli studi medi nel 1587. Con l’aiuto del duca di Württemberg, il quale aveva adottato l’illuminante politica di fare studiare anche i figli dotati d’ingegno di genitori poveri, venne iscritto all’Università luterana di Tubinga, dove ricevette una educazione pregevole.

Oltre alla teologia il giovane ebbe la possibilità di studiare matematica e astronomia sotto la guida del professor Michael Mästlin (1550-1631) profondo conoscitore sia del sistema tolemaico sia di quello copernicano. Dopo la laurea conseguita nel 1591, grazie a quello che lui stesso definì “un fortunato incidente”, rinunciò a proseguire gli studi teologici per andare ad occupare la cattedra di matematica, resa vacante dalla morte del titolare, in un liceo di Graz, in Stiria (Austria).

In quella sede, oltre all’insegnamento, ebbe il compito di elaborare il calendario che doveva riportare anche previsioni sul tempo meteorologico e sugli eventi più importanti dell’annata: in pratica una specie di oroscopo. Fin dal primo numero la fortuna arrise a Keplero: egli infatti riuscì ad indovinare un inverno particolarmente rigido, che costrinse i contadini a fuggire dall’alta Austria nonché l’invasione dei Turchi, che misero a ferro e fuoco mezza Europa. La previsione azzeccata gli valse una grande reputazione ma nello stesso tempo egli fu additato come profeta di sventure.

 

IL SEGRETO DELLE ORBITE CELESTI

Durante la sua permanenza a Graz studiò alcuni testi fondamentali di astronomia fra cui il “De Revolutionibus” di Copernico nella versione originale e ne rimase affascinato. Per tutta la vita Keplero dimostrò una doppia personalità: da un lato si rivelò esperto matematico, rigoroso e scrupoloso nell’utilizzo dei dati di osservazione anche quando questi contrastavano con le sue idee, dall’altro lasciò affiorare in tutti i suoi lavori un aspetto mistico ed esoterico.

Nel 1595, sempre durante la sua permanenza a Graz, credette di aver finalmente scoperto il “segreto” dell’Universo che pubblicò nella sua prima opera, il “Mysterium Cosmographicum”, in cui espose il suo originale modello copernicano. Egli trovò una corrispondenza fra le orbite dei sei pianeti conosciuti a quel tempo e gli unici cinque poliedri regolari noti da secoli come “solidi platonici”, le cui facce sono formate dal medesimo poligono regolare (triangolo equilatero, quadrato e pentagono).

Interpose quindi l’ottaedro (8 triangoli) fra Mercurio e Venere, l’icosaedro (20 triangoli) fra Venere e Terra, il dodecaedro (12 pentagoni) fra Terra e Marte, il tetraedro (4 triangoli) fra Marte e Giove, e infine il cubo (6 quadrati) fra Giove e Saturno. Ognuno di questi solidi risultava iscritto in una sfera in modo tale che i vertici del poliedro toccavano l’orbita del pianeta più esterno mentre l’orbita del pianeta immediatamente più interno risultava tangente ai centri dei loro lati. I risultati di questo modello di grande suggestione estetica si accordavano in modo soddisfacente con le dimensioni planetarie orbitali trovate da Copernico. In altre parole, facendo una scelta conveniente dei poliedri, Keplero aveva ottenuto una serie di sfere i cui raggi risultavano press’a poco proporzionali alle distanze dei pianeti secondo i valori attribuiti loro da Copernico. Il tentativo non era dunque così stravagante come era apparso ad una prima lettura: anzi, quel modello permise più tardi, a Keplero stesso, di individuare un rapporto fra la grandezza dell’orbita dei pianeti e la durata del periodo di rivoluzione, il quale verrà espresso in modo sintetico nella cosiddetta “terza legge”.

Frattanto la Controriforma costrinse i protestanti a fuggire dalla cattolica Stiria. Anche se la scuola era stata chiusa, Keplero poté rimanere in quel Paese ancora per un po’ di tempo, protetto dagli stessi Gesuiti, i quali forse pensavano, così facendo, di poterlo convertire al cattolicesimo. Alla fine fu cacciato anch’egli dall’Austria e gli fu pure confiscato tutto il patrimonio: rimase pertanto senza lavoro e senza denaro. A salvarlo dalla miseria fu il suo Mysterium di cui aveva inviato numerose copie a molti colleghi, fra i quali Galileo Galilei e Tycho Brahe.

L’impegno di Keplero nel dare grande diffusione ad un’opera in cui credeva fermamente produsse i suoi frutti, perché il libro diventò presto oggetto di dibattito fra gli astronomi del tempo. Anche se non ebbe successo da un punto di vista scientifico, l’opera fece conoscere il suo autore presso i colleghi come matematico abilissimo ed astronomo provetto.

Tycho Brahe, pur criticando aspramente il modello di Universo formulato dallo studioso tedesco, lo volle conoscere di persona e lo invitò nel castello di Benatek nei pressi di Praga, dove da poco aveva trasferito tutta la preziosa strumentazione per l’osservazione del cielo contenuta nella Specola di Uraniborg. Nel 1576 il re di Danimarca, Federico II, gli aveva donato l’isolotto di Hveen vicino a Copenhagen dove l’astronomo danese aveva costruito vere e proprie cittadelle di astronomia. Alla morte di Federico II, il successore Cristiano IV, informato dai collaboratori di Brahe del suo comportamento tirannico, costrinse lo scienziato danese ad abbandonare l’isola. Egli trasferì quindi ogni cosa dalla Specola di Uraniborg al castello di Benatek vicino alla città di Praga, dove era stato anche nominato Matematico imperiale alla corte di Rodolfo II.

Keplero, che nel frattempo si era sposato con Barbara Müller (donna “semplice di spirito e grassa di corpo, stupida, sempre col broncio, solitaria e malinconica” come la giudicò egli stesso), si trasferì a Praga dove Brahe gli affidò il compito di studiare lo strano moto retrogrado di Marte. Fra i due scienziati non vi ara accordo: Tycho temeva che Keplero, più giovane e acuto di lui, potesse offuscare la sua fama e quindi gli negava l’accesso agli strumenti e ai dati di osservazione di cui disponeva; Keplero, d’altra parte, osservava che Brahe non era in grado di fare uso appropriato del ricco bagaglio di osservazioni di cui pure il danese era in possesso. Ma il disaccordo riguardava soprattutto il fatto che il loro modello di Universo era diverso: Brahe immaginava la Terra ferma al centro del mondo mentre gli altri pianeti giravano intorno al Sole il quale a sua volta si muoveva intorno alla Terra (un misto fra sistema tolemaico e sistema copernicano), mentre Keplero era fermo sostenitore del sistema copernicano.

Lo scontro fra i due scienziati durò poco perché meno di un anno dopo l’arrivo a Praga di Keplero l’uomo gigantesco, dal ventre enorme e dal naso d’argento che sostituiva quello che aveva perduto da giovane in seguito ad una mutilazione, morì. Il collerico e dispotico Ticone finì miseramente i suoi giorni all’età di 55 anni in conseguenza dello scoppio della vescica provocato da una eccessiva bevuta di birra nel corso di un pranzo al palazzo imperiale a cui aveva dovuto partecipare. Sul letto di morte affidò a Keplero il compito di completare le tavole dedicate all’imperatore Rodolfo e di dare con esse l’irrefutabile dimostrazione della validità del suo sistema planetario, cosa che il suo collaboratore non fece.

 

SUCCESSORE DI BRAHE

Keplero restò a Praga fino alla morte dell’imperatore Rodolfo II, avvenuta nel 1612. Inizialmente fu costretto a lottare con gli eredi del suo maestro per entrare in possesso dei suoi strumenti e dei suoi preziosi appunti. Inoltre, nominato egli stesso Matematico imperiale, dovette assumere numerosi incarichi presso la corte compreso quello, per lui non nuovo, di preparare anno dopo anno un calendario astrologico con oroscopo. Pur considerando l’astrologia una mostruosa superstizione (l’aveva definita “figliastra dell’astronomia”) continuò per tutta la vita a preparare oroscopi per le persone di alto rango e grazie a profezie che fortunosamente si rivelarono esatte, si vide aumentare il prestigio e gli emolumenti.

Il 17 ottobre 1604, comparve nella costellazione di Ofiuco (o del Serpentario) una stella “nuova” che al momento della sua maggiore luminosità appariva più brillante di Giove. L’astro fu osservato solamente ad occhio nudo perché il cannocchiale non era ancora stato inventato. Oggi sappiamo che in realtà si trattava di una “supernova” e più precisamente dell’ultima supernova osservata nella nostra galassia. Nel 1987 infatti fu osservata un’altra supernova ma il fenomeno avvenne nella Grande Nube di Magellano una delle galassie satelliti della Via Lattea. Keplero studiò il fenomeno per due anni, fino a quando, diminuendo progressivamente il suo splendore, l’astro non fu più visibile. Di questa stella molto luminosa Keplero fece una dettagliata descrizione nel libro De Stella Nova in Pede Serpentarii, pubblicato nel 1606.

Come per la supernova di Brahe del 1572, anche Keplero dimostrò che la nuova stella doveva appartenere alla regione delle stelle fisse poiché non presentava alcuna parallasse quando veniva osservata da luoghi diversi, quindi doveva trovarsi ben al di là del cielo della Luna. Con questa affermazione egli metteva in discussione ancora una volta l’immobilità e l’eternità aristotelica della volta celeste dove nulla di nuovo poteva verificarsi.

In quegli anni, forse indotto a farlo dai suoi difetti alla vista, si interessò di problemi di ottica. Pubblicò le risultanze dei suoi studi in un libro intitolato Ad Vitellionem paralipomeni, quibus astronomiae pars optica traditur, cioè la continuazione (i paralipomeni) degli studi di Vitellone (pseudonimo del fisico polacco Erazm Ciolek, 1220-1275) che aveva scritto il più importante trattato di ottica medioevale.

In quell’opera, chiamata semplicemente Optica, terminata di scrivere nel 1603, ma presentata all’imperatore nel 1604, Keplero studia la possibilità di migliorare l’attendibilità dei dati astronomici presi ad occhio nudo, in un periodo in cui non era ancora stato inventato il cannocchiale. Attraverso l’analisi del processo della visione, lo scienziato esamina anche la struttura dell’occhio e i problemi connessi con la visione sfocata che era il difetto che lo tormentava fin da piccolo; spiega inoltre il funzionamento degli occhiali. Dopo l’invenzione del cannocchiale Keplero applicò i risultati delle sue ricerche all’impiego di quello strumento e mentre riconobbe l’importanza del suo uso per lo studio dei corpi celesti, rivolse a Galileo l’urgente preghiera di cedergli uno dei suoi preziosi “tubi di ingrandimento”. Ma Galileo non rispose alla richiesta di Keplero, il quale tuttavia non si perse d’animo: dopo qualche mese ripeté il tentativo in modo più pressante, informando l’astronomo toscano delle critiche di alcuni suoi avversari i quali dubitavano che i pianeti si potessero vedere con quello strumento e concludeva affermando che solo se gli venisse fatto regalo di un cannocchiale avrebbe potuto lui stesso godere dello spettacolo dei cieli e fugare i dubbi dei critici.

A quel tempo Keplero si era conquistata la fama di grande astronomo mondiale e Galileo forse temeva che potendo egli fare uso del cannocchiale sarebbe stato poi in grado di compiere delle osservazioni che avrebbero offuscato la fama che si era conquistato negli anni. Gli rispose quindi dicendo di non avere a disposizione un cannocchiale già pronto e per costruirne uno nuovo ci sarebbe voluto del tempo. Tuttavia Keplero poté lo stesso disporre per un mese intero del cannocchiale del duca della città tedesca di Braunschweig, che si era trovato a passare per Praga, il quale aveva ricevuto lo strumento in regalo da Galileo stesso.

 

LE PRIME DUE LEGGI

Anche Keplero come tutti gli scienziati e i filosofi del tempo era convinto che i moti celesti dovessero essere circolari. Il compito che gli era stato affidato da Brahe, come si ricorderà, era quello di trovare la forma dell’orbita di Marte e logicamente all’inizio anch’egli pensò ad un circolo eventualmente arricchito o modificato con l’introduzione di altri circoli. Dopo molti tentativi l’astronomo tedesco si rese conto che i punti calcolati a tavolino, che rappresentavano le posizioni di Marte rispetto al Sole su un’orbita circolare, non coincidevano con le osservazioni e gli scarti erano ben maggiori degli errori sperimentali. Notò inoltre che il moto del pianeta era ben lungi dall’essere uniforme. Per ottenere un moto uniforme del pianeta si doveva introdurre il “punto equante” ossia spostare il Sole dal centro della circonferenza, ma anche in questo caso fra i punti della traiettoria del pianeta osservati, e quelli calcolati, persistevano delle differenze molto grandi.

Keplero pensò allora che le deviazioni potessero dipendere dal fatto di non aver collocato bene l’orbita della Terra. Decise quindi di spostarsi idealmente su Marte e di osservare da quella posizione il percorso compiuto dal nostro pineta: scoprì allora che neppure l’orbita da essa percorsa poteva essere considerata circolare. Quando infine cercò di immaginare come sarebbe apparso il moto di Marte osservandolo dal Sole, trovò la soluzione del problema: l’orbita percorsa dal pianeta intorno all’astro centrale è un’ellisse.

Con il vantaggio che ci viene dal considerare le cose a posteriori bisogna notare che le orbite percorse dai pianeti sono tutte quasi circolari ad eccezione di quella di Mercurio, che però è difficile da osservare, e di Marte: esse sono chiaramente ellittiche. Fu un evento favorevole dunque quello di avere fatto le misurazioni su Marte il cui asse maggiore dell’orbita differisce comunque di solo lo 0,5% dall’asse minore: sarebbe ad esempio difficile, guardando una figura in scala, notare la forma ellittica dell’orbita di quel pianeta. E in effetti le prime leggi vennero riferite esclusivamente a Marte.

Nel 1609 Keplero presentò l’opera che rese immortale il suo nome: Astronomia Nova nella quale venivano presentate le prime due leggi oggi note come “leggi di Keplero”. La prima recita così: L’orbita percorsa dal pianeta intorno al Sole è un’ellisse in cui il Sole occupa uno dei due fuochi. Essa viene definita “prima legge di Keplero” ma in realtà è stata individuata per seconda, nel 1605.

Keplero non seppe dare giustificazione di questa come delle altre due sue leggi. A ciò pensò infatti Newton il quale nel 1687 dimostrò che qualsiasi corpo che si muova intorno ad un altro deve descrivere una “sezione conica”. Prima di procedere vediamo di spiegare il significato di questo termine.

Se immaginiamo un cono retto ossia un solido che ha per base una circonferenza e il vertice si trova sulla perpendicolare al piano della circonferenza condotta per il suo centro, osserviamo che i piani che lo tagliano in svariate direzioni formano diverse curve che vengono dette sezioni coniche o semplicemente coniche. Un piano obliquo secondo un determinato angolo darà come intersezione un’ellisse; se il piano è perpendicolare all’asse non si formerà un’ellisse ma una circonferenza. Altre curve che si possono ottenere sezionando il cono sono la parabola e l’iperbole.

Ritorniamo ora all’ellisse. All’interno di questa figura esistono due punti notevoli detti fuochi (il termine di “fuoco dell’ellisse” come quelli di “satellite” per definire un corpo che gira intorno ad un pianeta e di “inerzia” sono stati proposti dallo stesso Keplero). Abbiamo già visto una prima definizione di ellisse. Un’altra definizione di quella figura piana tiene conto dei fuochi: “ellisse è la curva costituita dagli infiniti punti le cui distanze dai fuochi hanno somma costante”. Se si fissano i capi di una cordicella ai due fuochi, girando tutto intorno con la punta di una matita che si appoggi alla cordicella, si ottiene sulla carta per l’appunto un’ellisse. Il centro dell’ellisse si trova alla metà del segmento che unisce i fuochi: più la curva è appiattita e più i fuochi sono lontani fra loro e dal centro. Il rapporto fra la distanza che separa i fuochi e il diametro maggiore dell’ellisse viene detta eccentricità. Date queste definizioni si può descrivere la circonferenza come una particolare ellisse che ha i fuochi coincidenti e quindi eccentricità nulla.

Newton dimostrò quindi che la traiettoria di un corpo qualsiasi che gira intorno ad un altro sarà un’ellisse se la velocità è al di sotto di un certo limite in relazione alla forza di attrazione. La legge è quindi di carattere generale e non vale solo per Marte o per i pianeti del sistema solare.

La seconda legge di Keplero, che è stata scoperta nel 1602, quindi, come abbiamo detto, prima di quella che va sotto il nome di “prima legge”, può essere espressa nel modo seguente: Le aree descritte dal raggio vettore che congiunge il pianeta al Sole in tempi uguali sono uguali. Un pianeta non si muove pertanto lungo una traiettoria ellittica a velocità uniforme, ma è più veloce in prossimità del Sole e più lento quando ne è lontano.

 

GLI ANNI TORMENTATI E LA TERZA LEGGE

Il 1611 fu per Keplero un anno tristissimo: con esso iniziarono le sue sventure in uno scenario di guerre civili e imperversare di malattie. In quell’anno morirono la moglie Barbara, che aveva già perso il lume della ragione, per aver contratto il tifo e la seguì il figlio prediletto Friedrich di appena sette anni contagiato dal vaiolo portato dai mercenari che combattevano in quella che verrà chiamata “la guerra dei Trent’anni”. Il 20 gennaio dell’anno seguente morì anche il suo protettore, l’imperatore Rodolfo II e qualche anno più tardi venne assassinato il suo migliore amico, l’astronomo olandese David Fabricius.

Frattanto Keplero, accogliendo l’invito della nobiltà protestante di Linz, si era trasferito in quella città. Ad alleviare la depressione di quei giorni inquieti e tristi vi fu il matrimonio con una domestica ventiquattrenne che gli dette sette figli di cui quattro rimasero in vita. La scelta della seconda moglie fu fatta con metodo quasi scientifico, poiché essa fu selezionata fra una decina di pretendenti in relazione al carattere, allo stato di salute, alla reputazione della famiglia e naturalmente all’età. Dopo il trauma del primo matrimonio, celebrato sotto un “calamitoso coelo” ovvero con una disposizione astrologica sfavorevole, con una donna che aveva ventitrè anni ed era già due volte vedova e che morì pazza all’età di 37, le precauzioni da prendere in una seconda esperienza del genere non dovettero sembrargli mai troppe.

Ma la serenità seguente al secondo matrimonio durò poco perché nel 1615 la madre di Keplero fu accusata di stregoneria. Il figlio corse in soccorso della anziana donna ma lo fece con tale imperizia che mancò poco che la vedesse finire sul rogo. Presentò istanze su istanze al tribunale in sua difesa spendendo tutto quello che possedeva e, dopo un anno di carcere, nel 1621 la madre fu scagionata e liberata, ma pochi mesi dopo morì.

Fra il 1612 e il 1622 videro la luce opere fondamentali a cominciare dall’Harmonices Mundi che contiene la cosiddetta “terza legge di Keplero” la quale può essere espressa nei seguenti termini: I quadrati dei periodi di rivoluzione di un qualunque pianeta intorno al Sole sono proporzionali ai cubi degli assi maggiori delle loro orbite.

Questa legge suggerisce il fatto che i pianeti più lontani impiegano più tempo per completare il giro intorno al Sole e non tanto perché devono compiere un percorso più lungo, ma soprattutto perché viaggiano più lentamente di quelli più vicini. Newton dimostrò la validità di questa legge con le sue leggi del moto e della forza di gravitazione universale la quale afferma che più un pianeta sta lontano dal Sole tanto meno è attratto da questo e tanto minore risulta pure la forza che si oppone all’attrazione. La componente di queste due forze determina la spinta che genera la velocità del pianeta in orbita.

Il libro uscì nel 1619, quindi dieci anni dopo di quello in cui erano scritte le altre due leggi. In esso Keplero si ispira alla dottrina platonica dell’armonia celeste e quindi immagina un mondo costituito sulla base di una legge armoniosa e simmetrica. Egli cercò di provare che i rapporti fra le velocità massime e minime dei pianeti in rotazione intorno al Sole sono espressi da numeri interi, come quelli che caratterizzano i suoni. Ai pianeti viene anche attribuito un canto in cui Saturno e Giove hanno la parte di basso, Marte di tenore, Venere e Terra di contralto e Mercurio di soprano. Il fatto che noi non sentiamo questi suoni dipende dalla posizione: essi si sarebbero sentiti chiaramente solo stando sul Sole.

Sempre nel 1619 viene pubblicato il De cometis libelli tres in cui Keplero fornisce un resoconto della cometa apparsa nel 1607, che diventerà famosa come cometa di Halley e di altre tre comparse proprio nell’anno dello scoppio della guerra dei Trent’anni: un fenomeno che costituisce pretesto al grande pubblico di giustificare la comparsa delle comete come messaggere di sventure e di rivolgimenti sociali e politici. Come Brahe anche Keplero ritiene che le comete siano oggetti celesti e non esalazioni terrestri (come allora si credeva) che attraversino indisturbate le sfere di cristallo sulle quali sarebbero incastonati i pianeti! Egli formula anche l’ipotesi originale ma molto convincente che le code delle comete che si presentano sempre rivolte in direzione opposta al Sole siano prodotte dai raggi dell’astro che, penetrando nel corpo della cometa, ne spingano lontano le particelle che la costituiscono.

Un’altra opera che merita menzione è Epitome astronomiae copernicanae in cui vengono generalizzate le prime due leggi che in un primo tempo erano state formulate solo per Marte ed estese, oltre che agli altri pianeti, anche al moto della Luna intorno alla Terra. In esso viene anche fornito il sistema di calcolo per la previsione delle eclissi solari e lunari.

 

UNA FINE TRISTE E MISERA

Dopo la morte dell’imperatore Mattia il successore, Ferdinando II, privo di interessi astronomici, trascurò di occuparsi del lavoro di Keplero il quale tuttavia mantenne il posto di Matematico imperiale ma dovette subire l’oppressione della Chiesa cattolica per cui fu costretto ad allontanarsi da Linz. Dopo aver sistemato la famiglia a Ratisbona si trasferì a Ulm per curare di persona la stampa delle Tabulae Rudolphinae, le tabelle attraverso le quali era possibile calcolare le effemeridi, cioè le future o passate posizioni di un certo oggetto celeste in una particolare data. Esse apparvero in una elegante edizione nel 1627 e Keplero in persona volle presentare l’opera all’imperatore dal quale ricevette l’offerta di un’alta posizione a Praga purché si fosse convertito al cattolicesimo.

Keplero naturalmente respinse sdegnato la proposta ma poi fu costretto ad allontanarsi da quella città. Proprio in quei giorni nella città si stava festeggiando il valoroso condottiero Albrecht von Wallenstein il quale aveva acquistato fama per essere riuscito a cacciare gli invasori danesi fuori dai confini dell’Impero. L’eroe già una ventina d’anni prima aveva conosciuto ed apprezzato Keplero quale provetto astrologo. In quella occasione anonimamente, attraverso un amico comune, si era anche fatto fare un oroscopo dal quale rimase particolarmente impressionato. Esso conteneva anche la previsione della sua morte per l’anno 1634: in effetti, per pura coincidenza (in realtà di queste coincidenze negli oroscopi di Keplero se ne verificarono molte), Wallenstein morì assassinato il 25 febbraio 1634.

Nel frattempo al generale Wallenstein era stato donato il ducato di Friedland e Sagan (regioni della Slesia) dove Keplero era stato invitato a risiedere a spese del duca. Ma nemmeno in quel luogo l’astronomo tedesco si sentiva sicuro e dopo qualche tempo si allontanò per andare a sistemare personalmente i suoi affari. Dopo essere passato per Ratisbona dove andò a salutare la sua famiglia si diresse a Linz e quindi di nuovo a Praga dove lo aveva preceduto la sua famiglia.

Gli ultimi anni di vita furono contrassegnati da crescente inquietudine generata da avversità che non riusciva più a gestire e da malattie e febbri continue. Dopo qualche esitazione decise di tornare a Ratisbona dove si era insediato l’imperatore Ferdinando II per cercare di ottenere l’ingente somma di denaro che gli era stata promessa, ma mai versata. Arrivò in quella città febbricitante e pochi giorni dopo morì. Era il 15 novembre 1630.

Con Keplero scompare uno dei più grandi astronomi di tutti tempi. Le tre leggi sul moto dei pianeti e le Tabulae Rudolphinae, che costituiscono l’opera più importante dell’astronomia pratica in quanto rappresenta un testo fondamentale per astronomi, compilatori di calendari e navigatori, sono lavori destinati a rimanere indelebili nel tempo.

Negli ultimi anni di vita l’astronomo tedesco si dedicò al suo libro prediletto, il Somnium, la cui pubblicazione, postuma, fu curata da Ludwig Kepler, figlio della prima moglie. Si tratta di un lavoro allegorico (oggi lo collocheremmo fra i romanzi di fantascienza) in cui l’autore narra di un viaggio sulla Luna fatto in sogno e vi descrive i paesaggi, i movimenti, la visione della Terra e del cielo quali egli immagina di avere contemplato da quel luogo.

La sua tomba, cancellata dal passaggio degli eserciti, non fu più ritrovata. Rimangono le sue opere spesso infarcite da speculazioni mistiche e fantastiche, in cui tuttavia lo scienziato dimostra che le cause fisiche dei fenomeni naturali possono essere espresse numericamente e geometricamente. Il suo capolavoro in assoluto è rappresentato dalle tre leggi che descrivono il moto dei pianeti e che costituiscono la base della moderna fisica celeste; esse sono applicabili sia ai moti dei pianeti del sistema solare sia alle evoluzioni di stelle in sistemi binari lontani da noi migliaia di anni luce. Anche nel giorno della sua morte non poteva mancare un segno dei cieli: fu registrata infatti un’eclissi di Luna.

Prof. Antonio Vecchia

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