L’antimateria

L’antimateria è una forma complementare di materia in cui alle particelle ordinarie (elettroni, protoni, ecc.) si sono sostituite le loro antiparticelle (antielettroni, antiprotoni, ecc.). La particella e l’antiparticella rappresentano l’immagine speculare l’una dell’altra come avviene con le due mani di una persona che nella forma sono esattamente identiche, a parte il fatto che una ha il pollice a destra e l’altra il pollice a sinistra.

 

LA SCOPERTA DELL’ANTIELETTRONE

Nel 1928, il fisico inglese Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984), formulò un’equazione relativa all’elettrone che metteva d’accordo la teoria quantistica con la relatività generale di Einstein. La soluzione di quella equazione, oltre a descrivere il comportamento dell’elettrone, prevedeva l’esistenza di un’altra particella dotata di carica elettrica positiva invece che negativa. In un primo tempo Dirac pensò che potesse trattarsi del protone, il quale ha effettivamente una carica elettrica di segno opposto a quello dell’elettrone, ma successivamente, in seguito a ricerche più approfondite, si rese conto che le soluzioni descritte dalla sua equazione dovevano riferirsi a una particella con la stessa massa dell’elettrone mentre quella del protone è molto maggiore.

La particella opposta all’elettrone prevista teoricamente da Dirac venne concretamente individuata dal fisico statunitense Carl David Anderson nel 1932 nei raggi cosmici. Queste misteriose radiazioni furono scoperte per caso quando, all’inizio del Novecento, i fisici che studiavano la radioattività osservarono un fenomeno singolare: le lamine d’oro dell’elettroscopio si scaricavano e ricaricavano lentamente anche se non vi era alcuna sorgente radioattiva in vicinanza. L’elettroscopio è uno strumento molto semplice costituito da due sottili lamine d’oro (o d’alluminio) sospese ad un’asta metallica che, se viene caricata di elettricità statica di bassa intensità, provoca il loro divaricamento, ma poi le due lamine ritornano ad avvicinarsi perché si scaricano a causa della presenza di particelle elettriche nell’atmosfera circostante.

Al fisico austriaco Victor F. Hess (1883-1964) sorse il dubbio che la radiazione, individuata dall’elettroscopio, potesse provenire dallo spazio. Egli salì quindi con un pallone aerostatico in alta quota e così poté constatare che a mano a mano che si dirigeva verso l’alto con il suo strumento registratore, la radiazione diventava sempre più intensa. Questa ed altre osservazioni dimostrarono che il flusso radiativo aveva origine fuori dell’atmosfera terrestre ed era costituito di particelle elettriche. I raggi cosmici vennero quindi indirizzati da Anderson all’interno di un apparecchio particolare chiamato camera a nebbia nel quale agiva un campo magnetico che deviava la traiettoria delle particelle, cariche positivamente, in direzione opposta a quella delle particelle cariche negativamente. Il fisico statunitense notò che due di queste particelle, l’una positiva e l’altra negativa avevano la stessa massa dell’elettrone: doveva quindi trattarsi di un elettrone positivo e di uno negativo. Grazie a questa scoperta nel 1936 Anderson condivise con il fisico austriaco Victor Hess il premio Nobel per la fisica.

L’elettrone positivo venne denominato positrone (in inglese positron) per assonanza con elettrone (in inglese electron). Questo termine è stato considerato improprio per una serie di motivi a cominciare dal fatto che la desinenza comune a tutte le particelle subatomiche è –one.  Gli esempi più comuni sono: elettrone, neutrone, protone, fotone e gravitone; la “r” di elettrone e neutrone appartiene alla radice della parola, ossia ai termini elettricità e neutro. Premesso ciò, se all’elettrone positivo deve essere attribuito un nome in armonia con quelli delle altre particelle subatomiche esso dovrebbe essere chiamato positone (senza la r) poiché il termine positivo non contiene quella lettera. Ora però, se l’elettrone di carica positiva venisse chiamato antielettrone come avviene per tutte le altre antiparticelle che prendono il prefisso anti- (termine che deriva dal greco e significa contrario, opposto) in aggiunta al nome della particella, la parola non darebbe adito a polemiche, ma in realtà i termini di positrone e positone sono ormai entrati nell’uso e adesso non è più possibile tornare indietro.

Le equazioni con soluzioni doppie non sono una rarità. Uno degli esempi più semplici è rappresentato da x²= 4 che fornisce due soluzioni: x=+2 e x=–2. I fisici naturalmente non possono essere sicuri che tutte le soluzioni di un’equazione corrispondano a eventi reali, ma se il modello matematico di un fenomeno fisico è corretto, maneggiarne le equazioni è molto più semplice che sperimentare direttamente sulla materia. La matematica tuttavia, per quanto interessante, non ha molto peso se non trova corrispondenza nella realtà. Per esempio, gli scienziati sono certi, per varie ragioni matematiche e teoriche, che esistano i gravitoni ma sanno anche che queste particelle, mediatrici della forza di gravità, hanno così poca energia che rilevarle con i mezzi di cui oggi si dispone è pressoché impossibile. Sarebbe come pretendere di afferrare un granellino di polvere con una grossa tenaglia da meccanico: non si riuscirebbe. Per farlo sarebbe necessario inventare prima un paio di pinzette molto piccole e delicate.

La vita dell’antielettrone come di una qualsiasi antiparticella è molto breve perché appena questa incontra la corrispondente particella subisce il fenomeno dell’annichilazione (dal latino nihil = nulla), cioè i due frammenti opposti di materia si annullano reciprocamente senza lasciare alcun residuo materiale: ciò che resta è solo energia, sotto forma di raggi gamma. Viene così confermata la famosa equazione di Einstein E = mc² che prevede la conversione della materia in energia e viceversa. E infatti Anderson riuscì ben presto ad osservare anche il fenomeno inverso, ossia l’improvvisa scomparsa di raggi gamma con l’ immediata formazione di una coppia elettrone-positone.

 

LE ALTRE ANTIPARTICELLE

L’equazione di Dirac lasciava prevedere che per ogni particella elettricamente carica dovesse esistere un’altra particella speculare ad essa identica sotto ogni aspetto, ma dotata di carica opposta. Quindi, come l’elettrone aveva un antielettrone, anche il protone doveva avere un antiprotone, ma affinché fosse prodotto si doveva disporre di una notevole quantità di energia. Per creare una particella serve infatti una quantità di energia proporzionale alla massa della particella stessa e dato che la massa del protone è 1836 volte superiore a quella dell’elettrone la formazione di un antiprotone dovrebbe richiedere una quantità di energia almeno 1836 volte superiore a quella richiesta per produrre un positone.

Abbiamo visto che la carica totale di una particella e della corrispondente antiparticella è zero e che, dopo l’annichilazione reciproca, la carica elettrica che rimane è ancora zero. Si tratta di un fenomeno che rispetta la legge della conservazione della carica elettrica e spiega il motivo per cui non è possibile creare una singola particella, cioè quella positiva separata da quella negativa: le due devono essere create insieme. Naturalmente nell’annichilazione reciproca scompare solo la carica elettrica perché, come abbiamo visto, le due particelle presentano quella grandezza fisica opposta, mentre non scompare la massa in quanto essa è la stessa nelle due particelle. La massa però è una forma di energia e quindi può cambiare aspetto: infatti essa si trasforma in raggi gamma con un’energia esattamente equivalente alla massa che esisteva prima dell’annichilazione.

Le apparecchiature capaci di accelerare le particelle subatomiche imprimendo loro energie sufficientemente elevate sono i cosiddetti acceleratori di particelle. Gli esemplari più moderni sono costituiti da gigantesche macchine circolari con circonferenze di alcuni kilometri nelle quali i protoni sono accelerati fino a velocità prossime a quelle della luce e quindi fatti scontrare con altri protoni o neutroni. Grazie all’utilizzo di queste macchine, nel 1955, l’italiano Emilio Segrè insieme con il collega americano Owen Chamberlain, individuò l’antiprotone, il secondo elemento basilare dell’antimateria. In precedenza il fisico italiano (che si era rifugiato in America per sfuggire alle leggi razziali emanate dal fascismo) aveva sintetizzato il primo elemento artificiale (il quarantatreesimo della tavola periodica), cui dette il nome di Tecnezio, cioè figlio della tecnologia. Nel 1959 Segrè condivise con Chamberlain il premio Nobel per la fisica.

La maggior parte delle particelle create in seguito a questi urti all’interno degli acceleratori di particelle vivono solo per un intervallo di tempo estremamente breve, dopo di che si disintegrano nuovamente in protoni, neutroni ed elettroni. Nonostante la loro vita effimera non solo è possibile misurarne le proprietà, ma addirittura fare in modo che lascino delle tracce, che possono anche essere fotografate, all’interno delle camere a nebbia. Le particelle reali sono molto più piccole delle goccioline di nebbia di cui sono fatte le scie da esse prodotte, ma dallo spessore e dalla curvatura di queste traiettorie i fisici possono identificare le particelle che le hanno generate.

Abbiamo detto che tutte le particelle cariche hanno un’antiparticella, ma anche alcune particelle prive di carica, come i neutroni, hanno un’antiparticella. L’antineutrone ha carica elettrica opposta a quella del neutrone, cioè sempre zero. Come si fa allora a sapere se si tratta di un neutrone o di un antineutrone? La risposta la fornisce lo spin.

Nel 1925 due fisici americani di origine olandese dopo un’accurata analisi delle caratteristiche dell’atomo di idrogeno dimostrarono che piccole differenze delle righe dello spettro di quell’elemento si potevano spiegare sostenendo che l’elettrone si comporti, per alcuni aspetti, come una sfera con carica negativa che ruota intorno al suo asse. Questa proprietà è detta spin dell’elettrone e può assumere solo due stati, ciò significa che l’elettrone può ruotare in senso orario o in senso antiorario. Non solo gli elettroni, ma tutte le particelle con carica elettrica ruotando su sé stesse danno origine ad un campo magnetico e lo può fare anche il neutrone, pur essendo privo di carica. Le proprietà magnetiche del neutrone si spiegano con il fatto che esso è costituito da altre particelle dotate di carica elettrica. I neutroni contengono infatti particolari particelle con carica elettrica frazionaria: si tratta dei quark che in numero di tre compongono i neutroni e assumono i valori di –1/3, –1/3 e +2/3; gli antiquark che compongono gli antineutroni hanno rispettivamente carica elettrica +1/3, +1/3 e –2/3. In entrambi i casi la carica elettrica risultante è zero, nonostante i componenti corrispondenti abbiano cariche elettriche opposte.

 

L’ANTIMATERIA

Una volta che si erano resi disponibili gli equivalenti di antimateria dei costituenti fondamentali della materia, si poteva pensare di costruire strutture più complesse delle particelle elementari come antinuclei e antiatomi.

Nel 1965 gli scienziati operanti presso l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare (meglio nota con il suo acronimo francese di CERN, Conseil Européen pour la Recherche Nuclèaire ) di Ginevra, in Svizzera e quelli del Brookhaven Laboratory negli Stati Uniti, crearono un antinucleo di deuterio (idrogeno pesante) assemblando un antiprotone e un antineutrone. Trent’anni più tardi i fisici riuscirono a creare il primo antiatomo di idrogeno mettendo insieme un antiprotone con un antielettrone.

La creazione dell’antimateria si realizza all’interno degli acceleratori di particelle più potenti come sono quelli in funzione presso il CERN di Ginevra o il Fermilab, ubicato presso Chicago negli Stati Uniti; in essi le particelle subatomiche vengono lanciate le une contro le altre dopo che abbiano subito un’accelerazione tale da farle raggiungere le velocità massime possibili. Costringendole a correre velocemente esse vengono fornite di energie elevatissime tanto che la fisica delle particelle oggi viene anche chiamata “fisica delle alte energie”.

La conservazione dell’antimateria pone enormi problemi perché queste particelle si annichilirebbero con il materiale convenzionale del contenitore entro il quale si decidesse di conservarle. Il sistema più valido per confinare o trasportare l’antimateria sarebbe quello di intrappolarla all’interno di un campo magnetico molto intenso il quale, se venisse creato nel vuoto, salverebbe le antiparticelle che non potrebbero più annichilarsi con la materia normale. Questi “recipienti magnetici” vengono utilizzati tutte le volte che si ha a che fare con materiali in grado di distruggere qualsiasi contenitore, come accade ad esempio nel caso dei gas caldissimi necessari per creare la fusione nucleare controllata.

Il fenomeno che prevede l’annichilazione di una particella e la corrispondente antiparticella con l’emissione di una vampata di energia è molto raro e ciò fa ritenere che l’antimateria sia molto poco frequente in natura: infatti nessuno ha mai osservato né antipianeti né antistelle. Da ciò si deduce che vi sia qualche ragione particolare per cui l’Universo è fatto di materia e non di antimateria. D’altronde si osserva anche che l’altra entità fisica presente nell’Universo, cioè la radiazione, è costituita dai fotoni il cui numero è nettamente dominante sulle particelle materiali: si calcola infatti che siano presenti due miliardi di fotoni per ogni protone.

Ora, dal momento che ogni qualvolta un protone incontra un antiprotone avviene la reciproca annichilazione con produzione di due fotoni, deduciamo che il nostro Universo, in cui sono presenti circa due miliardi di fotoni per ogni protone, deve aver avuto origine da uno stato caldissimo e denso in cui c’erano in media un miliardo e un protone per ogni miliardo di antiprotoni. Così è avvenuto che un miliardo di antiprotoni ha eliminato, attraverso la reciproca annichilazione, un miliardo di protoni producendo due miliardi di fotoni per ogni protone sopravvissuto.

L’Universo sarebbe quindi nato in una situazione di perfetta simmetria con materia ed antimateria presenti in quantità uguale, ma poi deve essere successo qualcosa che ha rotto questo particolare equilibrio eliminando l’antimateria e lasciando solo la materia. Responsabili di ciò, a parere dei fisici, devono essere stati i bosoni X e antiX i quali sarebbero in grado di mutare qualunque membro della famiglia dei leptoni (elettroni, neutrini e relative antiparticelle) in quark o viceversa. Si tratta di particelle mediatrici dell’interazione X il cui peso è enorme (milioni di miliardi di volte superiore a quello dei protoni) tanto che non esistono acceleratori in grado di produrre energie sufficienti a crearle. Queste energie si realizzarono poco dopo che l’Universo emerse dal vuoto quantistico e in quei primissimi istanti di vita i bosoni X e antiX si sarebbero formati in seguito agli urti ad altissima energia. Quando però la temperatura si abbassò i bosoni decaddero in quark e antiquark con una leggera prevalenza dei primi sui secondi, generando quindi una lieve sovrapproduzione di materia rispetto all’antimateria.

Inoltre i bosoni X sarebbero in grado di interagire con gli stessi protoni e causarne il decadimento attraverso la trasformazione di un suo quark in un positone. Uscendo dal protone, il positone si porterebbe via la carica positiva garantendo il rispetto della legge di conservazione della carica. Il fenomeno sarebbe molto raro perché si è calcolato che il protone è molto stabile e dovrebbe vivere mediamente per un tempo di almeno 1031 anni: il che costituisce un tempo infinitamente più lungo dell’età attuale dell’Universo (che è di poco più di 1010 anni), tuttavia non infinito. Ciò prospetta la possibilità che un giorno, quando l’Universo sarà diventato estremamente vecchio, possa scomparire anche la materia ordinaria, come in passato è scomparsa l’antimateria.

Prof. Antonio Vecchia

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