Nomenclatura chimica


REGOLE GENERALI

Oggi sono noti oltre tre milioni di composti chimici, molti dei quali di origine artificiale. A tutte queste sostanze è necessario dare un nome, e ciò non rappresenta affatto un’operazione banale, come all’apparenza si erotrebbe pensare. Una nomenclatura sistematica moderna per essere veramente tale deve fornire, insieme con il nome, anche informazioni sulla struttura e sulle proprietà dei singoli composti.

Gli alchimisti avevano assegnato alle sostanze nomi di fantasia che nulla avevano a che vedere con le loro caratteristiche chimiche; molto spesso erano nomi lunghi, difficili da pronunciare e da ricordare, e a volte capitava anche che a sostanze diverse venisse assegnato lo stesso nome. Ma anche quando la chimica assunse la fisionomia ufficiale di scienza, i nomi che venivano assegnati ai composti erano ancora molto spesso nomi comuni, perché non si conosceva con sicurezza la composizione della sostanza che era stata preparata.

L’ammoniaca, per esempio, si chiama così perché veniva prodotta dal “sal ammonium”, un composto cristallino il cui nome ha lontane origini. Nel IV secolo a.C. i Greci costruirono in Egitto un tempio dedicato al dio Ammone in cui bruciava perennemente un fuoco alimentato con sterco di cammello. Si formavano così sulle pareti delle efflorescenze di una sostanza bianca a cui venne dato il nome di “sale di Ammone”. Questo non è altro che il cloruro di ammonio NH4Cl, dal quale, molti secoli più tardi, si ricavò l’ammoniaca.

Vengono così mantenuti ancora oggi alcuni nomi comuni come quello appena ricordato di ammoniaca, o come quello di acqua, di cloroformio, di gesso, di zucchero, di soda caustica e così via, tutti nomi privi di contenuto logico perché non danno alcuna informazione sulla composizione della sostanza corrispondente.

La maggior parte dei nomi tradizionali sono stati però sostituiti con nomi ufficiali assegnati loro secondo regole precise suggerite da un organismo internazionale appositamente costituito, lo IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), con sede ad Oxford in Inghilterra. Esso ha avuto il compito di razionalizzare e di semplificare la nomenclatura chimica, in modo che ad ogni composto venisse assegnato un nome che contenesse informazioni sia sulle sue proprietà chimiche e fisiche, sia sulle caratteristiche della sua molecola, e che contemporaneamente ne facilitasse il ricordo.

Il lavoro dello IUPAC è stato molto impegnativo, sia perché non è stato facile individuare una classificazione schematica e semplice per composti che non mostrano sempre caratteri distintivi e significativi molto netti, sia perché i nomi tradizionali erano così diffusi e radicati nell’uso che finirono, in alcuni casi, per essere accettati come nomi ufficiali dallo stesso IUPAC.

Oggi, anche se con fatica, i nomi ufficiali dello IUPAC stanno entrando nell’uso e poiché, come abbiamo detto, tali nomi sono stati assegnati secondo regole precise, non è più necessario impararli a memoria insieme con le formule, come si faceva un tempo. Quello che si deve imparare oggi sono piuttosto le regole fondamentali della nomenclatura sistematica che ci consentono di passare in modo automatico dal nome alla formula del composto e viceversa.

 

IL NUMERO DI OSSIDAZIONE

Le regole di nomenclatura indicate dallo IUPAC si fondano sul concetto di numero di ossidazione. E’ bene allora chiarire il significato di questa nuova  grandezza chimica che tende a sostituire quella di valenza in quanto risulta più adatta ad esprimere qualitativamente e quantitativamente il modo in cui un elemento chimico si combina con gli altri.

Si definisce numero di ossidazione (n.o.) di un elemento, un numero, di solito intero, preceduto dal segno (+) o (-), che indica gli elettroni che un determinato atomo ha acquistato da un altro atomo o ceduto ad un altro atomo con cui si trova legato all’interno del composto. I numeri di ossidazione, hanno tuttavia un significato solo formale perché spesso rappresentano cariche “fittizie” che vengono attribuite ad atomi presenti nelle molecole, come si trattasse di ioni che si scambiano elettroni e quindi come se tutti i composti avessero carattere ionico.

Per poter stabilire il valore del n.o. di un elemento in un composto sarebbe necessario conoscere la struttura elettronica del suo atomo, cioè il numero degli elettroni periferici e la loro disposizione sugli orbitali, oltre che il valore di elettronegatività e il tipo di legame presente. Solo allora saremmo veramente in grado di decidere se e quanti elettroni vengono ceduti o acquistati dagli atomi quando si legano fra loro.

E’ possibile tuttavia, prescindendo da quanto appena detto, enunciare una serie di regole empiriche per mezzo delle quali si giunge a determinare con facilità il n.o. almeno per gli atomi presenti nei composti più comuni.

Le regole sono le seguenti:

  • a) Agli atomi, nelle loro forme elementari, vengono attribuiti numeri di ossidazione uguali a zero. Ad esempio, in H2, O2, O3 , P4 , Mg, Ne, ecc., il n.o. di ogni singolo elemento è 0 (zero).
  • b) Il n.o. dell’ossigeno nei composti è quasi sempre uguale a – Fanno eccezione i perossidi e in genere quei composti nella cui molecola è presente un legame ossigeno-ossigeno, in cui il numero di ossidazione è -1; inoltre, nel fluoruro di ossigeno OF2, e solo in questo composto, il n.o. dell’ossigeno è uguale a +2.
  • c) Il n.o. dell’idrogeno è generalmente +1. Fanno eccezione gli atomi di idrogeno presenti in quei rari composti nei quali risultano legati direttamente ad un metallo (idruri), in cui il n.o. è –
  • d) I metalli alcalini, i metalli alcalino-terrosi e i metalli terrosi hanno rispettivamente n.o. +1, +2 e +3. Tutti gli altri metalli, compresi gli elementi di transizione, e i non metalli, hanno numero di ossidazione variabile, anche per quanto riguarda il segno.
  • e) La somma algebrica dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi presenti in una molecola neutra, deve essere zero; mentre, in uno ione, assume il valore della carica elettrica da esso posseduta.
  • Quest’ultima regola è molto importante in quanto ci permette di determinare il n.o. di quegli elementi che possono assumere valori variabili (come enunciato al punto d) a seconda del composto a cui partecipano.

    Alcuni esempi serviranno a chiarire le regole che abbiamo esposto.

    Per determinare ad esempio il numero di ossidazione dello zolfo nel composto H2SO4 (acido solforico), si attribuisce innanzitutto all’ossigeno n.o. – 2 e, poiché gli atomi di questo elemento presenti nella molecola sono 4, il valore complessivo risulta di – (2 · 4)= – 8; quindi, essendo il n.o. dell’idrogeno +1, questo, moltiplicato per i due atomi presenti, dà il valore complessivo di + (1 · 2) = +2, si ottiene allora una somma algebrica parziale relativa ad ossigeno e idrogeno uguale a – 6. Da ciò si deduce che il n.o. dell’atomo di zolfo è +6 perché, come abbiamo detto, la somma totale di tutti i numeri di ossidazione di tutti gli atomi presenti nella molecola deve dare zero.

    Con lo stesso procedimento si determina il n.o. del manganese nel composto HMnO4 (acido permanganico). Con scrittura sintetica:     O (– 2 · 4) + H (+1 · 1) = – 7, da cui n.o. di Mn = +7. Invece, il manganese nel composto MnSO4 (solfato di manganese) ha n.o. +2: in questo composto infatti l’atomo di manganese risulta aver preso il posto dei due atomi di idrogeno dell’acido H2SO4, ognuno dei quali ha n.o. +1.

    Nel caso di uno ione la somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi presenti deve essere pari alla carica elettrica posseduta dallo ione stesso. Così, il n.o. dello ione ferroso Fe++ è +2; nello ione nitrato NO3 invece, i n.o. di azoto e ossigeno sono rispettivamente +5 e -2, mentre la somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi presenti è –1, come è la carica dello ione.

    Vi sono casi in cui il n.o. di un  elemento non è un numero intero; ciò dipende dal fatto che gli atomi di quell’elemento all’interno della molecola non sono equivalenti. Valga come esempio per tutti quello dell’acido tetrationico (H2S4O6).

    O     OH              HO     O
    \\   /                     \  //
    S                         S
    //   \                     /  \\
    O     S      ——      S     O

    Dalla formula di struttura si comprende che, o si attribuiscono ai singoli atomi di zolfo valori diversi del n.o., oppure si accetta un valore medio uguale per tutti. Non è difficile stabilire che il n.o. di ognuno degli atomi di zolfo centrali è +6, mentre i due atomi legati insieme da un ponte (S–S) hanno n.o. – 1. Il valore medio del n.o. di ciascun atomo di zolfo in seno alla molecola è +2,5.

    I numeri di ossidazione si riportano nelle formule chimiche al di sopra degli elementi corrispondenti come indicato qui sotto per i composti che abbiamo considerato negli esempi.

      +1 +6 -2                +1 +7 -2            +2 +6 -2        +5 -2           +1 +2,5 ⎯ 
    H2SO4               HMnO4             MnSO4         NO3         H2S4O6

     

    COMPOSTI INORGANICI E COMPOSTI ORGANICI

    L’insieme dei composti chimici può essere suddiviso in due grandi gruppi: a) Composti inorganici e b) Composti organici. Questa distinzione è motivata oggi esclusivamente da ragioni di ordine storico e didattico.

    All’inizio del 1800 si riteneva invece che i due gruppi di composti fossero completamente diversi tra loro perché quelli organici erano presenti esclusivamente negli organismi viventi, mentre i composti inorganici provenivano dal mondo minerale. Per spiegare la diversità di caratteristiche e di comportamento che in effetti i due gruppi di composti possiedono, a quel tempo si credeva che per ottenere una sostanza organica fosse indispensabile una non meglio identificata “vis vitalis”, ossia una forza misteriosa presente solo negli organismi viventi. Si pensava perciò che non dovesse essere possibile preparare artificialmente i composti organici.

    Invece, nel 1828, il chimico tedesco Friedrich Wöhler (1800-1882) riuscì a sintetizzare in laboratorio l’urea, una sostanza tipicamente organica, partendo da un composto inorganico, il cianato di ammonio. Successivamente molti altri composti organici furono ottenuti da quelli inorganici senza alcun intervento “vitale”. Oggi i chimici non solo sono in grado di preparare in laboratorio qualsiasi composto organico, ma ne hanno anche sintetizzati alcuni che non esistono in natura, che tuttavia, per le loro caratteristiche, devono essere classificati fra le sostanze organiche.

    Oggi, il vero motivo di distinzione fra un gruppo di composti e l’altro, sta nel fatto che nei composti organici è sempre presente l’atomo di carbonio, mentre non lo è sempre in quelli inorganici. L’atomo di carbonio presenta proprietà del tutto particolari in quanto è l’unico che ha la possibilità di legarsi con sé stesso a formare lunghe catene: ne consegue che i composti organici sono in genere costituiti da molecole molto grandi e sono, inoltre, in numero molto elevato.

    Tutti gli altri composti, quelli cioè che non contengono atomi di carbonio e che pertanto non presentano grosse molecole, né sono rappresentati da un gran numero di esemplari, vengono studiati dalla chimica inorganica. Fra questi vi sono tuttavia anche alcuni composti del carbonio, come l’anidride CO2, l’ossido CO, l’acido H2CO3 e i sali da esso derivati (carbonati e bicarbonati), che, per le loro proprietà tipicamente di sostanze minerali, vengono considerati composti inorganici.

     

    GLI ELEMENTI CHIMICI

    Abbiamo definito sostanza composta, o composto chimico, una sostanza pura le cui molecole sono costituite di atomi di tipo diverso. L’acqua, ad esempio, la cui molecola è formata di atomi di idrogeno e di ossigeno, è un composto. Una sostanza pura le cui molecole risultano invece costituite di atomi di un sol tipo viene detta sostanza elementare o elemento chimico.

    Ogni elemento chimico ha un nome che gli è stato assegnato, in genere, dal suo scopritore. Ad esempio il fosforo venne scoperto, quasi per caso, nel 1675 dall’alchimista Hennig Brand mentre tentava (purtroppo per lui, invano) di ottenere l’oro dall’urina. Il fosforo (dal greco: phos = luce e pheréin = portare) venne chiamato così perché possiede la proprietà di emettere luce. In verità, alcuni elementi sono noti fin dai tempi più antichi e l’origine dei loro nomi è incerta e di difficile interpretazione. Fra questi citiamo il ferro, l’oro, l’argento e lo zolfo, elementi di cui si parla già nella Bibbia.

    Per indicare sinteticamente l’elemento, il chimico svedese Jöns J. Berzelius, nel 1819 introdusse l’uso, ancora oggi accettato, di adottare simboli che derivano dal nome latino dell’elemento stesso. Questi simboli sono costituiti da una prima lettera maiuscola seguita, eventualmente, da una seconda minuscola. Così il carbonio ha simbolo C (Carbonium), il calcio Ca (Calcium), il rame Cu (Cuprum), il sodio Na (Natrium), il potassio K (Kalium), il fosforo P (Phosphorum), ecc…

    Per indicare alcuni gruppi di elementi vengono adottati nomi collettivi, alcuni dei quali sono già stati menzionati quando è stato trattato il sistema periodico: alogeni, metalli alcalini, metalli alcalino-terrosi, metalli terrosi, calcogeni (O, S, Se, Te, Po), lantanidi (o elementi delle terre rare), elementi transuranici e così via.

    Con il simbolo però, non si indica solamente l’elemento, ma anche un atomo di tale elemento, o una mole di atomi. Per esempio, per indicare l’idrogeno si può usare il suo simbolo, H (Hydrogenum); ma H rappresenta anche un atomo di idrogeno (idrogeno atomico), oppure una mole di esso, ossia il numero di Avogadro di atomi. La notazione 2 H indica due atomi oppure anche il doppio del numero di Avogadro di atomi di idrogeno.

    Per scrivere la formula della molecola di una sostanza semplice si riporta un indice numerico al piede del simbolo che indica di quanti atomi essa è costituita. Ad esempio, per indicare la molecola di idrogeno si deve scrivere H2 (molecola biatomica), l’ozono si indica con O3 (molecola triatomica dell’ossigeno) e la molecola tetratomica del fosforo si indica con P4.

    Per quanto riguarda gli ioni, la loro carica elettrica, viene espressa con tanti segni positivi (o negativi) quante sono le cariche elementari, posti sopra il simbolo. Ad esempio lo ione calcio si indica con Ca++, oppure con Ca2+ e, in generale, uno ione positivo si indica con An+ (e non con A+n).

     

    I COMPOSTI BINARI

    I composti binari sono quei composti che risultano formati di due sole specie atomiche. Nella formula, fatte pochissime eccezioni, l’elemento più elettronegativo si scrive per secondo e si legge per primo.

    Il nome dei composti binari si ottiene assegnando la desinenza –uro all’elemento più elettronegativo; se però è presente l’ossigeno, il composto prende il nome di ossido e non di ossigenuro. Per indicare il numero degli atomi di ciascuna specie presenti nella formula, si ricorre ai prefissi numerali greci (mono, di, tri, tetra, ecc.). Il prefisso “mono” viene generalmente sottinteso, e così anche gli altri, tranne nei casi in cui si potrebbe generare confusione.

    Diamo qui di seguito alcuni esempi:

    FeO    (mono)ossido di ferro               HCl      cloruro di idrogeno
    Fe2O3  triossido di diferro                   H2S     solfuro di (di)idrogeno
    Fe3O4  tetraossido di triferro               SiC      carburo di silicio
    NO2    diossido di azoto                      CaCl2   (di)cloruro di calcio
    N2O4   tetraossido di diazoto               Fe2S3   trisolfuro di diferro
    Cu2O   ossido di dirame                      AlH3    (tri)idruro di alluminio
    CuO    (mono)ossido di rame               HN3      (tri)azoturo di idrogeno
    SO2     diossido di zolfo                       OF2      (di)fluoruro di ossigeno
    SO3     triossido di zolfo                       BN      nitruro di boro

    Lo stesso IUPAC suggerisce l’uso di altre regole, in alternativa a quelle esposte. Una di queste, detta scrittura di Stock, prevede l’indicazione con un numero romano del grado di ossidazione dell’elemento meno elettronegativo. Esempio:

    Cu2O ossido di rame (I) (che si legge ossido di rame uno, e non primo)
    CuO ossido di rame (II) (che si legge ossido di rame due, e non secondo)

    Come si può vedere si tratta, in tutti i casi, di regole razionali di nomenclatura perché è immediata una corrispondenza diretta fra formula e nome.

    La vecchia nomenclatura distingueva invece, per i composti con l’ossigeno, gli ossidi (ossigeno + metallo) dalle anidridi (ossigeno + non metallo). Nel caso in cui un elemento formasse più di un composto con l’ossigeno, si usavano le desinenze -oso e -ico e i prefissi ipo- e per-. Questa vecchia terminologia, è priva di razionalità e quindi è sconsigliabile. Tuttavia, poiché è ancora molto usata, riportiamo alcuni esempi che ci potranno essere utili in seguito.

    COMPOSTO    VECCHIA NOMENCLATURA       NUOVA NOMENCLATURA

    Hg2O               ossido mercuroso                  ossido di dimercurio
    HgO                ossido mercurico                    ossido di (mono)mercurio
    FeCl2               cloruro ferroso                      dicloruro di ferro
    FeCl3               cloruro ferrico                       tricloruro di ferro
    Cl2O                anidride ipoclorosa                 ossido di dicloro
    Cl2O3               anidride clorosa                     triossido di dicloro
    Cl2O5               anidride clorica                      pentaossido di dicloro
    Cl2O7               anidride perclorica                  eptaossido di dicloro

    Sono ancora molto usati anche i nomi tradizionali di un gruppo di composti che nella vecchia nomenclatura venivano chiamati idracidi. Tali composti, in soluzione acquosa, si comportano da acidi, per cui, se li consideriamo in ambiente acquoso è lecito usare, ancora oggi, la nomenclatura classica che prevedeva la desinenza -idrico. Essi sono: HF = acido fluoridrico; HCl = acido cloridrico; HBr = acido bromidri­co; HI = acido iodidrico; H2S = acido solfidrico; HN3 = acido azotidrico e HCN = acido cianidrico.

    E’ bene ritornare ancora una volta sul fatto che i vecchi nomi d’uso non forniscono alcuna informazione sulle caratteristiche del composto, in quanto non pongono in relazione diretta nome e formula. Il nome di ammoniaca, ad esempio, non suggerisce alcunché sulle caratteristiche della molecola NH3. Con le nuove regole di nomenclatura, invece, questo composto dovrebbe innanzitutto essere scritto al contrario, e cioè H3N, in quanto il valore di elettronegatività di N (2,5) è maggiore di quello di H (2,1), e quindi letto nitruro di triidrogeno. Al riguardo si osservi che  un derivato dell’ammoniaca è il nitruro di boro di formula BN.

    Infine, fra i composti ossigenati binari bisogna riservare una menzione a parte a quelli che presentano nella molecola due atomi di ossigeno legati tra di loro. Questi composti si chiamano perossidi e in essi, poiché il legame fra due atomi di ossigeno è di tipo covalente puro, il numero di ossidazione, dell’ossigeno stesso, quando lo si considera legato all’altro elemento, non sarà più  -2, ma -1. Ecco alcuni esempi:

     

    .                                                                                   O
    .                                                                              /
    Perossido di bario           BaO2                 Ba         |
    .                                                                              \
    .                                                                                   O

     

    .                                                                    H  —   O
    Perossido di idrogeno      H2O2                          |
    (acqua ossigenata)                                   H  —   O

     

    .                                                                    Na —  O
    Perossido di sodio          Na2O2                          |
    .                                                                    Na  — O

     

    GLI OSSIACIDI

    Gli ossiacidi sono una classe di composti ternari costituiti di idrogeno, di un non metallo e di ossigeno, che nelle formule brute si devono scrivere nell’ordine. Essi si possono considerare derivati, per addizione di acqua, da quei composti ossigenati che nella vecchia nomenclatura erano chiamati anidridi. Non sempre gli ossiacidi si ottengono per reazione diretta di un’anidride con acqua, tuttavia, almeno formalmente, si possono considerare il risultato di reazioni di questo tipo:

    SO2  + H2O   →    H2SO3     (acido solforoso)
    SO3  + H2O   →    H2SO4     (acido solforico)

    Per questo gruppo di composti si fa ancora largo uso della vecchia nomenclatura, indicandoli con lo stesso nome delle anidridi da cui derivano. Poiché SO2 è l’anidride solforosa, H2SO3 si chiama acido solforoso; da SO3, anidride solforica, si ottiene l’acido solforico H2SO4.

    In pratica, quando per aggiunta di acqua all’anidride si ottiene un acido i cui indici sono multipli di uno stesso numero, si procede alla loro semplificazione. Ad esempio:

    N2O5 + H2O →  H2N2O6   ⟾    2 HNO3

    HNO3 si chiama acido nitrico perché proviene dall’anidride nitrica N2O5.

    A volte, ad una stessa anidride corrispondono più acidi che differiscono fra loro in contenuto d’acqua. Questo è il caso, ad esempio, dell’anidride fosforica da cui derivano tre acidi diversi:

    P2O5  +      H2O   →     2 HPO3   (acido metafosforico)
    P2O5  +   2 H2O   →      H4P2O7   (acido pirofosforico)
    P2O5  +   3 H2O   →     2 H3PO4  (acido ortofosforico)

    Per distinguere i tre acidi si usano specifici ed appropriati prefissi. L’acido ottenuto per addizione del maggior numero di molecole di acqua si chiama acido (orto)fosforico, con il prefisso che normalmente viene sottinteso. Quello che si può anche ottenere dall’acido orto- per eliminazione di una molecola d’acqua, si chiama acido metafosforico. Quello infine che si può far derivare da due molecole di orto- per eliminazione di una molecola di acqua, si chiama acido pirofosforico (dal greco piros=fuoco, in quanto un tempo lo si otteneva per riscaldamento). Analogamente, all’anidride silicica SiO2, corrispondono due acidi:

    SiO2 +   H2O   →  H2SiO3     acido metasilicico
    SiO2 + 2 H2O  →   H4SiO4     acido (orto)silicico

    Il nome sistematico di questi composti, nella nomenclatura IUPAC, si ottiene indicando il numero di atomi di ossigeno con i prefissi numerali greci, dando sempre la desinenza -ico al non metallo e scrivendo, dopo il nome, un numero romano (che deve essere letto come se fosse arabo) per indicare il grado di ossidazione del non metallo. Riportiamo alcuni esempi di ossiacidi con i nomi secondo le regole della vecchia e della nuova nomenclatura.

    FORMULA   VECCHIA NOMENCLATURA       NUOVA NOMENCLATURA

    H2SO3             acido solforoso                    acido triossosolforico (IV)
    H2SO4             acido solforico                     acido tetraossosolforico (VI)
    HClO               acido ipocloroso                   acido (mono)ossoclorico (I)
    HClO2              acido cloroso                       acido diossoclorico (III)
    HClO3              acido clorico                        acido triossoclorico (V)
    HClO4              acido perclorico                   acido tetraossocloirico (VII)
    H3PO2             acido ipofosforoso                acido diossofosforico (I)
    H3PO3             acido (orto)fosforoso            acido triossofosforico (III)
    H3PO4             acido (orto)fosforico             acido tetraossofosforico (V)
    H2CrO4            acido cromico                      acido tetraossocromico (VI)
    H2Cr2O7           acido bicromico                   acido eptaossodicromico (VI)

     

    GLI IDROSSIDI

    Gli idrossidi, o idrati, o basi, costituiscono una classe di composti ternari formati da un metallo unito ad uno o più gruppi ossidrilici –OH. Questi composti si possono immaginare, almeno formalmente, derivati dalla reazione di un ossido con l’acqua. In alcuni casi la reazione ossido + acqua, conduce effettivamente alla formazione dell’idrossido. L’ossido di calcio, la comune calce viva, ad esempio, reagisce con l’acqua per formare l’idrossido, o calce spenta, secondo la seguente equazione:

    CaO + H2O  →   Ca(OH)2

    Nella pratica, la scrittura delle formule di questi composti, come d’altra parte l’assegnazione del nome, non presenta difficoltà. Per scrivere la formula si scrive prima il simbolo del metallo e poi si aggiungono tanti gruppi ossidrilici quanto è la valenza (o meglio, il numero di ossidazione) del metallo stesso.

    Riportiamo qui sotto alcuni esempi di idrossidi con il nome tradizionale e con quello proposto dalla moderna nomenclatura IUPAC.

    FORMULA     VECCHIA NOMENCLATURA            NUOVA NOMENCLATURA

    NaOH              idrossido di sodio                  sodio idrato
    Fe(OH)2           idrossido ferroso                   ferro idrato(II) o diidrossido di ferro
    Fe(OH)3           idrossido ferrico                    ferro idrato (III) o triidrossido di ferro

     

    RESIDUO ACIDO (O ALOGENICO)

    I sali, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, si possono immaginare come i prodotti di sostituzione dell’idrogeno salificabile di un acido con un metallo. In altre parole, per scrivere un sale basta scrivere al posto dell’idrogeno di un acido il simbolo del metallo. Si faccia però attenzione che non tutti gli atomi di idrogeno presenti nella formula di un acido sono sostituibili da metalli: lo sono solo quelli facenti parte dei gruppi ossidrilici. Questi appaiono evidenti quando si scrive la formula di struttura.

    Un acido si dice monobasico, bibasico, tribasico, ecc., a seconda del numero di atomi di idrogeno sostituibili da metalli.

    Sono esempi di acidi monobasici l’acido nitrico (HNO3) e l’acido ipofosforoso (H3PO2), come appare dalle formule di struttura:

    .              O                                     OH
    .          //                                     /
    O =  N                            O =   P  —  H
    .           \                                     \
    .            OH                                  H

    Sono esempi di acidi bibasici quelli relativi all’acido solforico (H2SO4) e all’acido fosforoso (H3PO3):

    O      OH                             OH
    \\   /                                 /
    S                        O =   P  —  OH
    //  \                                \
    O      OH                            H

    Infine riportiamo le formule di un acido tribasico, il fosforico (H3PO4) e di un acido tetrabasico, il silicico (H4SiO4):

    .              OH                           HO     OH
    .           /                                        \  /
    O  =  P — OH                               Si
    .           \                                        /  \
    .             OH                            HO     OH

    Un modo pratico per scrivere le formule dei sali è quello di ricavare, in precedenza, dall’acido, il suo residuo. Si definisce residuo acido, o residuo alogenico (da alos = sale) ciò che rimane di un acido quando si tolgono tutti o parte degli atomi di idrogeno sostituibili dal metallo. Anche ai residui alogenici si attribuisce una valenza che si quantifica col numero degli atomi di idrogeno che sono stati tolti all’acido.

    L’acido solforico (H2SO4), ad esempio, presenta due residui alogenici possibili: =SO4 (bivalente) e –HSO4 (monovalente). L’acido cloridrico HCl presenta il residuo alogenico monovalente –Cl.

     

    I SALI

    I sali sono composti ionici costituiti da un metallo che si presenta sotto forma di ione positivo e da uno ione negativo ottenuto per sottrazione di ioni H+ da molecole di ossiacidi o di idracidi.

    Per questa classe di composti è ancora molto frequente l’uso della nomenclatura tradizionale. Secondo tale convenzione, i sali derivanti dagli ossiacidi assumono il nome dell’acido corrispondente cambiando le desinenze -oso e -ico rispettivamente in -ito e -ato, e aggiungendo quindi il nome del metallo. Così ad esempio i sali derivanti dall’acido solforoso si chiameranno solfiti e quelli derivanti dall’acido solforico, solfati. Se il metallo è il sodio avremo i seguenti sali:

    H2SO3  = acido solforoso            Na2SO3  = solfito di sodio
    H2SO4  = acido solforico             Na2SO4  = solfato di sodio

    Nel caso di sali che contengono nella molecola atomi di idrogeno, nel nome si inserisce il termine acido, oppure si fa uso del prefisso   -bi. Esempio: NaHCO3 si chiama carbonato acido di sodio oppure bicarbonato di sodio.

    Se, come nel caso dell’acido fosforico, sono previsti più sali acidi, allora, per distinguerli si usano i termini di monobasico, bibasico, ecc. per indicare la sostituzione, nella molecola dell’acido di uno, due, ecc. atomi di idrogeno. Si possono anche usare i prefissi numerali greci. Esempio:

    Ca(H2PO4)2  = (orto)fosfato di calcio monobasico, o fosfato monocalcico
    CaHPO4      = (orto)fosfato di calcio bibasico, o fosfato bicalcico.
    Ca3(PO4)   = (orto)fosfato (neutro) di calcio, o fosfato tricalcico.

    Anche per i sali naturalmente esistono le regole di nomenclatura IUPAC e quindi, per completezza di informazione, riportiamo in una tabella alcuni composti con il nome tradizionale e con quello assegnato dalla nomenclatura moderna.

    FORMULA    NOME TRADIZIONALE                   NOME IUPAC
    K2SO4          solfato di potassio          tetraossosolfato di dipotassio (VI)
    KHSO4          solfato acido di K           idrogeno solfato di potassio (VI)
    FeCO3          carbonato ferroso           triossocarbonato di ferro (IV)
    Fe2(CO3)3     carbonato ferrico            triossotricarbonato di ferro (IV)
    NaClO          ipoclorito di sodio           (mono)ossoclorato di sodio (I)
    NaClO2         clorito di sodio                diossoclorato di sodio (III)

     

    REGOLE PRATICHE DI SCRITTURA DELLE FORMULE CHIMICHE

    La “traduzione” in formula del nome di un composto chimico, o viceversa, può presentare qualche difficoltà e per questo motivo gli studenti tendono ad imparare a memoria formule e nomi dei composti. Ciò è sbagliato perché, dato il numero, la varietà e la complessità dei composti chimici, il ricorso alla memoria, oltre che rappresentare uno sforzo inutile, si rivela, il più delle volte, controproducente.

    La formula deve essere invece ricavata sulla base di un ragionamento logico che, partendo dall’identificazione del composto (sale, acido, ecc.), stabilisca caratteristiche e modalità di comportamento dei suoi elementi costitutivi.

    In sintesi, scrivere una formula significa scegliere ed applicare le nozioni, i criteri e le regole che sono stati esposti in questo capitolo. Con ciò non si vuole negare la possibilità di pervenire ad una rapida ed immediata associazione tra nome e formula di un composto, ma tale automatismo deve essere il risultato di un esercizio ragionato, e solo in parte di memorizzazione. Tenendo sott’occhio lo specchietto riportato qui sotto, illustreremo ora le regole pratiche per la scrittura delle formule chimiche, utilizzando alcuni esempi.

    ANIDRIDE           ACIDO            SALE

    -osa                 -oso               -ito
    -ica                  -ico                -ato
    —                   -idrico            -uro

     

    ESEMPIO 1 – Scrivere la formula del solfato ferrico.

    Innanzitutto bisogna osservare che si tratta di un sale che deriva dall’acido solforico il quale, a sua volta, deriva dall’anidride solforica. Per iniziare è necessario quindi scrivere la formula dell’anidride solforica. Ciò non presenta particolari difficoltà se si ricorda che le anidridi sono composti binari fra non metalli e ossigeno. Assegnata quindi all’ossigeno la valenza due e allo zolfo la valenza sei (il suffisso -ica indica valenza maggiore), si incrociano le due valenze ponendole al piede dei due elementi, come mostrato qui sotto, quindi si dividono per il loro M.C.D.:

    SVI   +   OII    →    S2VI O6II   ⤇  SO3       

    SO3 è l’anidride solforica; essa, reagendo con l’acqua, forma l’acido solforico:

    SO3 + H2O  →   H2SO4

    Si ricava quindi il residuo alogenico che, in questo caso, si ottiene sottraendo all’acido entrambi gli atomi di idrogeno (il sale è neutro): =SO4. Il residuo =SO4 è bivalente e pertanto queste due valenze libere devono essere saturate dalle valenze del metallo. Il ferro deve essere scelto con la valenza maggiore (cioè con valenza 3) in quanto porta il suffisso -ico. Pertanto avremo:

    SO4
    //
    Fe
    \
    SO4
    /
    Fe
    \\
    SO4

    Nel modo indicato, tutte le valenze risultano saturate, cioè legate fra loro. La formula bruta assume la forma seguente: Fe2(SO4)3.

    Dall’esempio che abbiamo descritto si deduce un’altra definizione di sale: sale è un metallo combinato con il residuo alogenico di un acido.

     

    ESEMPIO 2 – Scrivere la formula del carbonato acido di calcio.

    Si tratta in questo caso di un sale che deriva dall’acido carbonico il quale a sua volta si ottiene dall’anidride carbonica. La formula dell’anidride carbonica si ricava nel modo seguente:

    CIV  +  OII   →   C2O4    ⤇   CO2

    e quindi, per ottenere l’acido si scrive:

    CO2 +  H2O   →   H2CO3

    Poiché il sale di cui si richiede la formula è un sale acido, il residuo alogenico da prendere in considerazione è il seguente: – HCO3. Si tratta ora di legare l’atomo di calcio bivalente ad una struttura monovalente:
    HCO3
    /
    Ca                                              Ca(HCO3)2
    \
    HCO3

     

    ESEMPIO 3 – Scrivere la formula dell’acido triossocarbonico (IV).

    Si tratta di un ossiacido e quindi di un composto costituito di idrogeno, carbonio e ossigeno: questi tre elementi devono essere scritti nell’ordine. Nel nome del composto è specificato che gli atomi di ossigeno sono tre e che il carbonio presenta n.o. +4. Possiamo quindi iniziare a scrivere:

    +4
    H C O3.

    Sapendo ora che i n.o. di idrogeno e ossigeno sono rispettivamente +1 e -2, risulta:

    +1 +4 -2
    H C O3.

    Infine, siccome la somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi del composto deve risultare zero, si deduce che gli atomi di idrogeno presenti nel composto dovranno essere due. La formula completa sarà quindi: H2CO3.

    E’ opportuno infine far osservare che i sali binari del tipo NaCl, si possono considerare anche come dei derivati degli idracidi. Così ad esempio, il solfuro rameoso lo si può immaginare derivato dall’acido solfidrico, H2S. Il residuo alogenico di detto idracido è =S: ad esso si legherà il rame monovalente (-oso significa valenza minore):

    Cu
    \
    S                          Cu2S
    /
    Cu

    Non si incontra alcuna difficoltà, invece, nello scrivere le formule quando esse vengono indicate con la nomenclatura IUPAC. In tal caso infatti esiste una precisa corrispondenza fra nome e formula e un solo esempio sarà sufficiente per chiarirlo.

    Per concludere riteniamo utile mostrare gli elementi più comuni con a fianco indicate le valenze più usate nei composti.

    alluminio   3                    ferro           2-3               ossigeno   2
    argento     1                     fluoro         1                  potassio    1
    azoto        1-2-3-4-5         fosforo        3-5               rame        1-2
    bario        2                     idrogeno      1                  silicio        4
    boro         1-3-5-7            iodio           1-3-5-7         sodio         1
    calcio        2                    litio             1                  stagno       2-4
    carbonio   2-4                  magnesio     2                 zinco          2
    cloro        1-3-5-7            manganese   2-4-6-7        zolfo          2-4-6

     

    Prof. Antonio Vecchia

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