Il metodo scientifico

“È un errore capitale teorizzare prima di avere i dati. Senza volerlo si cominciano a distorcere i fatti per adattarli alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti… 
La difficoltà consiste nel separare l’intelaiatura dei fatti – dei fatti assolutamente innegabili – dagli abbellimenti dei teorici.”

Sherlock Holmes

 

SCIENZA E TECNOLOGIA

Cosa è la scienza e a cosa serve? E la poesia a cosa serve? E’ strano, ma scienza e poesia, in epoche passate, venivano considerate entrambe come imprese dell’immaginazione, modi complementari di esplorare il mondo della natura. In verità la scienza, come la poesia, non serve a niente di concreto, di materialmente utile. La scienza è puro interesse culturale, è desiderio di sapere finalizzato a soddisfare la curiosità innata nell’uomo di conoscere l’ambiente che lo circonda e sé stesso.

Spesso si confonde la scienza con la tecnologia: discipline in realtà molto diverse fra loro. La scienza, come abbiamo detto, consiste in uno sviluppo di idee, di teorie, il cui primo scopo è cercare di capire quali siano le leggi che regolano il mondo, mentre la tecnologia è l’insieme delle attività rivolte a modificare e controllare l’ambiente in cui si vive. Questo non vuole dire che anche le conoscenze scientifiche non possano incidere sulla nostra vita. Molte scoperte nel campo della medicina, dell’agricoltura, dell’industria sono dovute alla tecnologia, ma sarebbero state impossibili senza il supporto scientifico che le ha guidate. Pertanto medicine, fertilizzanti, televisione, aerei, satelliti artificiali, energia nucleare non sono scienza, sono i prodotti della tecnologia.

Ciò che distingue la ricerca scientifica da qualsiasi altra attività del pensiero è il metodo di indagine che essa utilizza. Questo metodo viene comunemente indicato come metodo scientifico (o metodo sperimentale) e consiste, fondamentalmente, nell’analisi sistematica, attraverso l’osservazione e la sperimentazione dei fenomeni naturali, nella organizzazione degli stessi e nella loro interpretazione. Vediamo, in sintesi, le tappe attraverso le quali si sviluppa il lavoro dello scienziato.

Si inizia con l’osservazione, scrupolosa e puntuale, degli aspetti della natura sui quali si desidera indagare e dei fenomeni che ne modificano le proprietà. Si eseguono, successivamente, e dove è possibile, degli esperimenti, cioè le riproduzioni artificiali dei fenomeni precedentemente osservati, per consentire l’esame degli stessi sotto un più attento controllo (Galilei, ad esempio, per studiare la caduta dei gravi, misurava tempi e distanze percorse da alcune biglie di bronzo che faceva rotolare lungo un piano inclinato). Prescindendo quindi dai caratteri occasionali che ciascun corpo e ciascun fenomeno presenta, si misurano quelli essenziali e si passa alla loro catalogazione. I valori numerici, ricavati attraverso la misurazione, rappresentano i cosiddetti dati sperimentali. In verità a volte i dati sperimentali non sono numeri, ma immagini prodotte da particolari apparecchiature in grado di penetrare nella struttura intima della materia o anche, come nel lavoro di Darwin, semplici descrizioni, ad esempio delle parti anatomiche di una particolare forma vivente.

Se all’interno di questi dati sperimentali si notano delle regolarità, queste rappresentano quella che viene chiamata legge scientifica. La legge scientifica quindi non è altro che l’espressione di un comportamento sistematico della natura e può essere descritta a parole o attraverso un’equazione matematica. A tale proposito è appena il caso di far notare che le leggi scientifiche sono ben altra cosa dalle leggi codificate dall’uomo, cioè quelle leggi che servono per disciplinare il comportamento della società in cui si vive. Queste ultime, ad esempio, possono cambiare a seconda delle esigenze organizzative, mentre le leggi scientifiche sono immutabili, in quanto si limitano a descrivere, in modo sintetico, un fatto reale, un particolare aspetto o comportamento della natura. Le leggi scientifiche tutt’al più potrebbero descrivere la realtà in modo incompleto o parziale perché espressione di misure ottenute con strumenti poco precisi o usati in modo inadeguato. La massa di un corpo, ad esempio, in meccanica classica è una costante, mentre in meccanica relativistica è una grandezza che varia con il variare della velocità dell’oggetto di studio, ma le leggi che ne derivano non sono in contraddizione fra loro.

Una volta individuate le leggi, si passa ad indagare sul perché della regolarità che esse esprimono. Si formulano allora delle ipotesi che hanno lo scopo di spiegare, in modo chiaro e non contraddittorio, i fatti osservati, lasciandone eventualmente prevedere degli altri da verificare in un secondo tempo. L’osservazione e l’esperimento rappresentano quindi sia il momento iniziale sia quello finale del lavoro dello scienziato.

E’ ovvio che un’ipotesi corre sempre il rischio di essere abbandonata in quanto essa rappresenta un suggerimento, una spiegazione provvisoria di una serie di eventi. Basta infatti un solo fenomeno che non si accordi con essa perché cessi la sua validità. Qualora, però, detta ipotesi risulti tanto feconda da abbracciare un numero sempre più ampio di osservazioni e di esperienze, e tutte le verifiche abbiano un esito positivo, essa viene definitivamente acquisita dalla scienza e promossa a dignità di teoria.

Anche la teoria, tuttavia, essendo comunque un prodotto della mente dell’uomo, non potrà mai dare garanzie assolute di validità. Per quante siano state le osservazioni e gli esperimenti in accordo con una determinata teoria, non potremo mai escludere la possibilità di ottenere, una prossima volta, un risultato che la contraddica. Se quindi una teoria si dimostra errata, la si scarta o, eventualmente, la si modifica; in caso contrario si prosegue la verifica. La ricerca scientifica non ha quindi mai fine e non approda mai a verità ultime.

A volte, la spiegazione delle osservazioni e dei risultati sperimentali invece di essere formulata attraverso una proposizione, la teoria appunto, viene visualizzata per mezzo di analogie tratte dalla vita quotidiana, che prendono il nome di modelli. Il modello scientifico però non è semplicemente una copia o una rappresentazione in miniatura di qualche oggetto materiale come ad esempio potrebbe essere il modello di un’automobile o di un fiore. Esso è piuttosto un insieme di affermazioni (e talvolta di supposizioni) il cui scopo è di spiegare certi fenomeni, ovvero di farli comprendere con maggior chiarezza. I modelli possono essere ideali quando gli elementi che li compongono sono entità teoriche di carattere logico o matematico, o reali quando tali elementi sono entità fisiche, cioè appartenenti al mondo fenomenico (ad esempio una scala a chiocciola per rappresentare la molecola del DNA). Oggi grande importanza assumono i modelli matematici astratti i quali, senza conferire all’oggetto di studio un valore di rappresentazione concreta della realtà, sono in grado tuttavia di calcolare con esattezza come dovrebbero evolvere determinati fenomeni. La efficacia pratica da essi dimostrata, grazie anche alle possibilità forniteci dai computer capaci di eseguire con estrema rapidità lunghissimi e complicatissimi calcoli, ha indotto alcuni studiosi a considerare i modelli matematici come i soli provvisti di autentica dignità scientifica.

 

SCIENZA E MATEMATICA

I popoli antichi erano affascinati dal moto delle stelle e dalla possibilità di manipolare gli oggetti naturali per produrre utensili e medicinali. Quando però si trattava di spiegare la causa dei fenomeni naturali e delle trasformazioni della materia i nostri antenati, non essendo in grado di farlo in modo razionale, ricorrevano alla religione. Essi ad esempio curavano le malattie con esorcismi e purificazioni, perché pensavano che fossero gli spiriti maligni ad influenzare il corpo umano. Solo con Galileo Galilei, nel ‘600, la scienza riuscì finalmente ad affrancarsi dalla religione ed iniziare un autonomo e inarrestabile cammino. Bisogna però purtroppo constatare che, nonostante i progressi della medicina, ancora oggi e non solo fra le tribù più primitive, si ricorre agli stregoni e ai maghi per risolvere alcuni problemi inerenti la salute.

Lo stesso Galilei non solo indicò il metodo attraverso il quale arrivare a conclusioni inconfutabili e rigorose riguardo ai fenomeni naturali, ma inaugurò anche, con il telescopio (considerato in precedenza un giocattolo) e i piani inclinati, l’uso degli strumenti di misura per dare accuratezza e oggettività alle osservazioni. Egli scoprì inoltre che la “lingua” nella quale il libro della natura sembra scritto è quella matematica.

Come mai il linguaggio della matematica si adatta così bene alla descrizione della natura e alla spiegazione del suo funzionamento? Prima di rispondere occorre comprendere cosa sia la matematica e se la stessa nasca all’interno della mente umana o se sia presente all’esterno di essa. In altre parole è l’uomo che ha inventato la matematica come utile strumento di conoscenza o la matematica è già insita nella natura e in essa ci sarebbe anche se non esistessero i matematici?

L’utilità della matematica come strumento necessario per la descrizione scientifica dell’Universo è sotto gli occhi di tutti: i numeri e le equazioni caratterizzano qualsiasi libro di scienza. Secondo alcuni, è l’uomo che ha inventato la matematica e il fatto che del mondo siamo riusciti a capire solamente gli aspetti descrivibili con numeri sarebbe la prova dell’efficacia di questa disciplina nell’interpretazione della natura.

Di contro, se la matematica fosse interamente un’invenzione umana, ci dovremmo aspettare delle significative differenze culturali al suo interno. Invece sembra che queste differenze non ci siano: il teorema di Pitagora, ad esempio, è stato scoperto indipendentemente molte volte da pensatori diversi in diverse parti del mondo e questo dimostrerebbe che i fondamenti della matematica esistono al di fuori della mente umana. Alcuni scienziati, inoltre, sono talmente convinti che quello matematico sia un linguaggio universale che lo usano per comunicare con gli abitanti di eventuali altri pianeti il cui sviluppo intellettivo, verosimilmente, sarebbe stato diverso dal nostro.

La scienza procede quindi per fatti e idee, con i fatti che precedono le idee. Il metodo di indagine che essa adotta per spiegare i fenomeni naturali può essere pertanto definito un metodo induttivo. L’induzione consiste in un processo di astrazione che consente di trovare una regola generale partendo da pochi dati particolari. Per esempio, quando Galilei vide cadere dalla torre di Pisa oggetti di peso diverso che peraltro impiegavano tutti più o meno lo stesso tempo per arrivare a terra, concluse che la velocità di caduta dei gravi doveva essere la stessa per qualsiasi corpo, compreso per quelli che non aveva visto. Anche nel caso di Darwin furono poche ma ben selezionate specie viventi, incontrate nel lungo viaggio intorno al mondo, ad ispirare la sua teoria evoluzionistica.

Al metodo induttivo si oppone il metodo deduttivo che ha caratterizzato la conoscenza scientifica prima di Galilei. Il metodo deduttivo parte sempre da un postulato, ovvero da una verità assoluta che non ha bisogno di verifica, quindi deduce, attraverso un ragionamento logico, una serie di fatti tutti giusti e consequenziali, ma la cui validità crollerebbe se si dimostrassero false o arbitrarie le premesse su cui il ragionamento stesso si era fondato.

La deduzione è un tipo di ragionamento attraverso il quale si giunge ad una conoscenza che non è da ritenersi meno valida dell’induzione, tuttavia questo metodo non è sempre applicabile nell’ambito delle scienze naturali. Coloro che fanno uso del metodo deduttivo in genere ricorrono a principi logici fondamentali codificati in qualche “libro sacro”. Deducono le verità dai rispettivi libri sacri, ad esempio, i giudici e i seguaci di tutte le religioni. Anche la matematica è una disciplina tipicamente deduttiva. In essa, infatti, fissati arbitrariamente alcuni postulati, è possibile dedurre tutta una serie di discorsi razionali e logici, ossia svariate matematiche, rigorosamente valide, almeno sul piano formale.

In realtà anche la scienza si serve del ragionamento deduttivo per verificare la validità di alcuni fenomeni naturali. Ad esempio, dopo che Newton ebbe scoperto le leggi che descrivevano il moto dei pianeti intorno al Sole, si andò a verificare se tutti i pianeti rispettavano effettivamente tali leggi. Si notò allora che Urano si muoveva in modo anomalo e da ciò si dedusse che doveva esserci un pianeta che ne disturbava la traiettoria. In questo modo, cioè attraverso il calcolo, fu scoperto Nettuno, e solo in un secondo tempo fu osservato in cielo il nuovo pianeta.

Aristotele, il principale esponente della filosofia naturale della Grecia antica, utilizzando esclusivamente il metodo deduttivo, costruì quel modello complesso e articolato della natura, ma in gran parte sbagliato, che influenzerà il pensiero scientifico per circa duemila anni. Spetterà a Galileo Galilei, come abbiamo visto, ribaltare il metodo di indagine della natura e quindi distruggere l’intero edificio del sapere costruito dai filosofi greci nell’antichità. Il conflitto fra Galilei e l’Inquisizione non fu – come fece notare il filosofo e matematico britannico Bertrand Russell – semplicemente l’antitesi fra libero pensiero e oscurantismo o fra scienza e religione, ma la contrapposizione fra il metodo induttivo e quello deduttivo applicato allo studio della natura. Con le regole imposte da Galilei nello studio dei fenomeni naturali, quello fra fede e scienza è divenuto un parlare fra sordi: la prima infatti offre verità assolute, spiegazioni complete e definitive, mentre la scienza è animata dal dubbio e si accontenta di risposte parziali o provvisorie. I due modi di pensare sono obiettivamente inconciliabili.

Il punto di partenza di ogni conoscenza del mondo fisico è quindi rappresentato dall’osservazione a cui, quando è possibile, segue la sperimentazione. In ogni caso la garanzia di oggettività che mancherebbe qualora ci si fermasse agli aspetti qualitativi del fenomeno, viene fornita dalla misurazione delle grandezze in gioco. La scienza moderna è nata nel momento in cui si sono introdotti nell’analisi dei fenomeni naturali gli strumenti di misura che hanno consentito di valutare in modo rigoroso le variabili significative dell’oggetto di studio. La chimica come scienza, ad esempio, è nata nel momento in cui Lavoisier si è servito della bilancia per dimostrare che il peso delle sostanze prima e dopo la reazione rimaneva invariato, smentendo le supposizioni alchimistiche. L’oggettività è per l’appunto uno dei punti di forza della scienza come approccio conoscitivo al reale.

Nella scienza non esistono affermazioni che non possano essere messe in discussione e anche le certezze scientifiche più radicate possono crollare davanti a nuove scoperte. Per secoli, ad esempio, l’uomo ha pensato che fosse il Sole a girare intorno alla Terra; un fatto ovvio che oltretutto corrispondeva a ciò che chiunque poteva osservare direttamente tutti i giorni alzando gli occhi al cielo. Successivamente però si è scoperto che i movimenti degli astri venivano spiegati meglio se si immaginava il Sole fisso al centro dell’Universo e la Terra ruotare intorno ad esso e contemporaneamente intorno a sé stessa. Il vecchio modello fu allora ripudiato e fu accolto quello nuovo.

La scienza, inoltre, per sua stessa natura, non si occupa di tutto ciò che esiste. Essa studia solo cose tangibili, cioè cose che possono cadere sotto i nostri sensi e di cui sia possibile misurare i parametri fondamentali. Questo è un limite che la scienza stessa si è posta e che ne sminuisce il valore e la credibilità agli occhi dell’uomo della strada in quanto, non essendo in grado di rispondere a interrogativi che riguardano, ad esempio, la bellezza, l’amore o la creatività, non può servire da guida nel campo dell’esperienza soggettiva. La scienza non si interessa nemmeno dell’anima o di altre convinzioni spirituali perché, non potendo queste entità essere percepite materialmente, non è possibile nemmeno decidere se esse esistano o no. Inoltre, come è evidente a tutti, vi sono dei fenomeni naturali che la scienza non riesce a spiegare ma sarebbe un’illusione pensare di poter ottenere da altre fonti ciò che essa non è in grado di darci.

 

AFFERMAZIONI SCIENTIFICHE

Un’altra prerogativa fondamentale della ricerca scientifica sta nella concretezza dei suoi enunciati: nessuna affermazione ha senso se non è verificabile empiricamente almeno in linea di principio. Dire, ad esempio, che il numero telefonico 87120114 corrisponde all’abitazione di mio cugino a Roma ha senso in quanto si tratta di un’affermazione che può essere verificata, ma affermare che il sapore delle felicità è dolce e il suo colore è rosa non può essere in alcun modo verificato e quindi non ha senso, o almeno non ne ha da un punto di vista scientifico.

Questo concetto è stato ripreso dal filosofo della scienza recentemente scomparso, Karl Popper, secondo il quale non si può mai essere certi che una teoria scientifica sia giusta; al più la si può falsificare, ossia dimostrare, attraverso un esperimento, che è sbagliata. Popper, come abbiamo accennato, generalizzò questo concetto fino ad affermare che una proposizione, per avere valore scientifico, deve essere falsificabile, cioè di essa deve essere concepibile almeno un esperimento in grado di dimostrare (se non dà il risultato previsto) che è falsa. Affermare, per esempio, che comprando le azioni quando il loro prezzo è basso e rivendendole quando il loro prezzo è alto ci si guadagna, non è un’affermazione scientifica, semplicemente perché è vera. Sono scientifiche solo quelle affermazioni di cui è possibile dimostrare, almeno sul piano teorico, che potrebbero essere false. La teoria della gravitazione di Newton, ad esempio, è falsificabile perché fa previsioni precise e qualora si riuscisse in qualche modo a verificare che l’orbita di un pianeta non corrisponde ai calcoli ciò significherebbe che la teoria è sbagliata, o quanto meno imperfetta.

Proprio attraverso la misura precisa dell’orbita di Mercurio si è riusciti a scoprire che la teoria gravitazionale di Newton conteneva un difetto che solo una nuova teoria della gravitazione, quella proposta da Einstein, avrebbe successivamente corretto. Ecco un altro elemento molto importante della scienza: la precisione della misura. Questo è un aspetto che nella cultura occidentale è sempre stato trascurato, mentre era presente nella scienza islamica. Furono infatti gli arabi a suggerire a noi occidentali l’importanza dell’esattezza nelle misurazioni.

Al contrario dell’astronomia, l’astrologia non è una disciplina scientifica perché non può essere messa in dubbio sulla base di un esperimento riuscito male. Se un oroscopo non funziona o una predizione non si avvera, nessuno può dire che l’astrologia ha fallito. L’astrologia si fonda infatti su convinzioni personali e non su verità oggettive.

Infine, la prerogativa irrinunciabile e forse determinante della scienza moderna sta nella diffusione delle scoperte. Oggigiorno nessuna scoperta scientifica può essere ritenuta tale se è tenuta segreta. La pubblicazione dei risultati della ricerca serve per dare linfa alle nuove conoscenze e per mettere la comunità scientifica nella condizione di verificare la loro validità. Si tratta tuttavia di una conquista molto recente e non sempre rispettata da tutti. Lo stesso Galilei quando osservò le fasi di Venere che rappresentavano un’ulteriore prova del modello copernicano di Universo, comunicò la notizia all’amico Keplero con un messaggio criptico che così suonava: “Haec immatura a me iam frustra leguntur o y.” (in italiano: Queste cose premature da me già invano vengono lette o y.). In realtà si trattava di un anagramma che, una volta messe in ordine le lettere, formava una frase con un senso decisamente più chiaro. Alcune settimane più tardi Galilei spedì infatti a Keplero la chiave dell’anagramma e la frase latina assunse allora la forma seguente: “Cynthiae figuras aemulatur mater amorum”, che tradotto significa: Venere imita le figure della Luna. Per quale motivo Galilei seguì un modo così tortuoso per comunicare la sua scoperta? La risposta è semplice: se si fosse accorto di essersi sbagliato non avrebbe comunicato niente di falso, ma se avesse avuto ragione e qualcun altro nel frattempo si fosse attribuito la scoperta, sarebbe stato sufficiente rivelare il senso del suo anagramma per provare la sua priorità.

Più recentemente esempi di false scoperte sono stati numerosi. Possiamo ricordare la notizia del marzo del 1989 data da due chimici americani, Martin Fleischmann e Stanley Pons, i quali annunciarono, con molto clamore, di aver realizzato la fusione fredda, ossia il processo fisico che doveva consentire di estrarre energia a basso costo da due elettrodi immersi in una vaschetta di acqua pesante. La notizia risultò fasulla e il sospetto che i due avessero barato per specularci sopra era forte. Lo stesso sospetto ebbero molti scienziati nel maggio del 2000 quando una società privata americana la “Celera” (un nome che è tutto un programma) ha battuto sul tempo i colleghi sperimentatori di mezzo mondo comunicando di avere decodificato il genoma umano.

Nel suo lento procedere, la scienza va verso l’accumulo di conoscenze che tuttavia, come abbiamo visto, non dichiara mai che sono “vere”, ma solo “plausibili”. Un punto di forza del metodo della scienza è che tutti possono verificare che i risultati di una determinata scoperta sono trasparenti e non mostrano parti oscure o misteriose. Quindi lo scienziato ha il dovere di spiegare, nei minimi dettagli, come fare, ad esempio, per riprodurre l’esperimento da lui eseguito in modo che lo stesso possa essere ripetuto e che il medesimo risultato sia ottenuto da un’altra persona in una qualsiasi altra parte del mondo. I maghi che riescono a fare cose che solo loro sono in grado di realizzare, così come i due chimici americani che dissero di aver ottenuto energia dalla fusione fredda, non possono essere considerati degli scienziati. In ogni caso, se uno scienziato annuncia una scoperta di un certo rilievo si può essere certi che prima o poi qualcun altro tenterà di ripetere i suoi esperimenti e, se si trattasse di una truffa, questa verrebbe immancabilmente smascherata. La vita media di una truffa scientifica di tipo moderno si aggira sugli otto mesi, ma il record di durata va assegnato probabilmente alla frode di Piltdown (il falso cranio umano), che ha resistito per più di 40 anni.

Anche il modo di lavorare ultimamente è cambiato: la figura dello scienziato isolato ha lasciato il posto a gruppi di ricerca composti spesso da centinaia o migliaia di persone sparse in tutti i laboratori del mondo. La comunità scientifica, in questo modo, ha raggiunto dimensioni planetarie, le risorse che essa assorbe e i risultati che produce hanno una incidenza determinante sulla società contemporanea, sulla forza di una nazione e sullo sviluppo di un continente. Ma alla base di tutta questa grande costruzione che continua ad aggiungere conoscenza e benessere all’umanità e che con le sue applicazioni tecnologiche sta sempre più profondamente modificando il nostro modo di vivere, rimane sempre la stessa: l’interpretazione della realtà per mezzo della ragione.

Prof. Antonio Vecchia

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