I meteoriti

Talvolta, osservando il tranquillo cielo notturno, può capitare di vedere una scia luminosa che all’improvviso attraversa la volta oscura e si ha quasi l’impressione che una stella si sia staccata dalle altre e stia precipitando sulla Terra. Gli antichi pensavano che si trattasse veramente di stelle cadenti e ancora oggi chiamiamo così questi oggetti luminosi che di notte solcano il cielo. I Greci, che avevano contato con precisione i corpi celesti, sapevano che quelle che cadevano non potevano essere vere stelle perché, dopo il passaggio di uno sciame di queste brillanti tracce luminose, fra le stelle presenti in cielo non ne mancava alcuna. Aristotele, il filosofo di Stagira, convinto della immutabilità e della incorruttibilità dei cieli, riteneva che le stelle cadenti non fossero fenomeni che avvenivano negli spazi lontani ma all’interno dell’involucro d’aria che circonda la Terra. Per questo motivo le chiamò meteore da un termine greco che significa “cose dell’aria”. Ora, ad evitare equivoci, è bene precisare che poiché il termine meteora in passato veniva usato per indicare fenomeni atmosferici come nubi, pioggia, fulmini e così via, la disciplina che si occupa di tali manifestazioni climatiche viene chiamata meteorologia, pertanto essa non è lo studio delle meteore. Lo studio delle meteore viene invece chiamato meteorica.

Il termine meteora si riferisce in modo specifico alla striscia di luce e in questo senso Aristotele aveva ragione perché tale striscia appare effettivamente nell’atmosfera. Essa è causata, nella maggior parte dei casi, da piccoli frammenti di materia delle dimensioni di una capocchia di spillo o anche meno, che dopo essersi incendiati per attrito al contatto con l’aria fluttuano lentamente verso il basso sotto forma di pulviscolo. In realtà l’ingresso di questi frammenti di materia cosmica nell’atmosfera produce intorno ad essi un involucro di gas luminosi che, a causa della contemporanea ionizzazione delle molecole d’aria, è molto più ampio delle dimensioni del piccolo corpuscolo diretto verso terra. A volte cadono dal cielo oggetti di maggiori dimensioni tali da riuscire ad attraversare l’atmosfera senza consumarsi completamente e finire a terra: in tal caso vengono chiamati meteoriti. L’insieme degli oggetti destinati a concludere il loro viaggio sul nostro pianeta, ma che si trovano ancora al di fuori dell’atmosfera sono detti meteoroidi (il suffisso –oidi deriva da un termine greco che significa “somiglianti a”).

Le meteoriti (il sostantivo è indifferentemente maschile o femminile) possono presentarsi isolate o a sciami. Per le prime l’origine è incerta e potrebbero provenire anche dallo spazio interstellare, mentre per quanto riguarda gli sciami questi sono invece legati alla traiettoria di comete conosciute oppure a sistemi di asteroidi che intersecano periodicamente l’orbita terrestre. Ad esempio, lo sciame delle Perseidi è legato alla cometa Swift-Tuttle il cui codazzo di detriti, intercettato dalla Terra, produce, intorno al 10 agosto di ogni anno, una pioggia meteorica (le ben note “lacrime di San Lorenzo”) con una media di 300 scie luminose per ora. La durata di questo evento normalmente è molto breve ed è proprio la fugace manifestazione del fenomeno che ha fatto scaturire il detto popolare secondo il quale se si esprime un desiderio all’apparire di una meteora questo si avvererà, a patto di esprimerlo durante il breve perdurare della scia.

Alcuni meteoriti, detti sideriti (dal greco sídëros = ferro) sono fatti prevalentemente di ferro e prima che l’uomo fosse stato capace di estrarre questo metallo dai suoi minerali, utilizzò quello contenuto nelle meteoriti che sporadicamente riusciva a trovare. Quel metallo era molto più duro e tagliente del rame e del bronzo, che a quel tempo venivano usati per ricavare punte di lance e vomeri. I popoli antichi naturalmente non lo sapevano, ma quegli oggetti scuri e pesanti che raccoglievano dal terreno erano meteoriti composte di ferro con una piccola percentuale di nichel e cobalto precipitati sulla Terra dallo spazio. Esistono anche meteoriti rocciose dette aeroliti (dal greco lithos = pietra) che, pur rappresentando il novanta per cento del totale, tuttavia sono meno facilmente identificabili perché passano inosservate fra i normali affioramenti rocciosi, a meno che non si assista di persona alla loro caduta. Esistono infine alcune meteoriti a composizione mista: metallica e litoide, dette sideroliti.

In rarissime occasioni, alcune meteoriti sono state effettivamente viste cadere dal cielo e schiantarsi al suolo. Gli spettatori di tali eventi, nel lontano passato, consideravano naturalmente gli oggetti venuti dal cielo come messaggi inviati dagli dèi e, di conseguenza, è probabile che venissero venerati. La Pietra Nera , conservata nella Mecca, il santuario sacro dell’Islam, è molto probabilmente una meteorite.

 

L’ ETÀ DEI METEORITI 

I meteoriti, come abbiamo detto, sono campioni di materiale extraterrestre che, rinvenuti sul terreno, oggi finiscono esclusivamente nei nostri laboratori di analisi dove sono sottoposti ad un gran numero di esami e di controlli volti a determinarne la composizione, l’ambiente di origine e la loro successiva storia. Attraverso lo studio di questi oggetti piovuti dal cielo è stato anche possibile determinare con buona approssimazione l’età del nostro pianeta e di tutto il Sistema Solare.

Un tempo l’età della Terra veniva valutata sulla base della interpretazione letterale della Bibbia. Famosa è rimasta la datazione del vescovo anglicano di nascita irlandese James Ussher (1581-1656), il quale, nel 1650, calcolò, sommando le successive generazioni bibliche a partire da Adamo, che la creazione della Terra era avvenuta esattamente nel 4004 a.C. Secondo i calcoli di Ussher la Terra(anzi l’Universo intero) in questo momento avrebbe quindi solo 6015 anni.

Dopo un centinaio di anni dai calcoli eseguiti dal vescovo irlandese, grazie ad una serie di valutazioni scientifiche da parte di alcune menti libere da pregiudizi, fu possibile, con metodi geologici e paleontologici, stabilire le età relative dei vari terreni, ossia mostrare quali rocce si erano formate prima e quali dopo. In verità la questione da risolvere era quella di stabilire le età assolute delle rocce e non quelle relative, ma a quel tempo non era disponibile alcun metodo scientifico per farlo. Un passo importante relativo al tempo di esistenza del nostro pianeta fu compiuto tuttavia grazie all’evoluzione biologica mostrata dalle ricerche di Darwin, il quale formulò una teoria che richiedeva tempi di vita del nostro pianeta di almeno centinaia di milioni d’anni e, di conseguenza, la necessità di trovare per il Sole una fonte di energia in grado di consentire all’astro la produzione di luce e di calore al ritmo attuale per tempi altrettanto lunghi.

Il problema della determinazione dell’età assoluta delle rocce trovò infine soluzione grazie agli studi del fisico francese Henry Becquerel (1852-1908) il quale, nel 1896, aveva scoperto la radioattività naturale, ossia la capacità di alcuni elementi chimici di trasformarsi in altri emettendo particelle o radiazioni. Si era allora compreso che le sostanze radioattive presenti nelle rocce potevano costituire un vero e proprio “orologio naturale”. Ad esempio, l’isotopo radioattivo 238 dell’uranio dopo una serie di trasformazioni finisce nell’isotopo stabile 206 del piombo con un ritmo molto preciso e tale che in quattro miliardi e mezzo di anni una certa quantità di esso si riduce alla metà (il cosiddetto periodo di semitrasformazione).

In realtà la misura del rapporto piombo-206/uranio-238 si dimostrò poco precisa a causa della difficoltà di separare l’isotopo del piombo-206, originato dal decadimento dell’uranio, dal piombo-204 di origine non radioattiva. Per tale motivo in seguito si preferì servirsi di altre sostanze radioattive quali ad esempio il potassio-40 che decade in argon-40, un gas nobile, che quindi non si combina con altri elementi, come fa invece il piombo che forma molti composti. Ma l’argon ha anche un altro pregio rispetto al piombo in quanto è facilmente distinguibile dagli altri suoi isotopi mediante lo spettrografo di massa, un apparecchio specifico molto preciso.

Attraverso la lettura dei vari orologi radioattivi fu quindi possibile determinare l’età di molte rocce terrestri, le più antiche delle quali sono state rinvenute in Groenlandia dove alcune hanno mostrato un’età massima di 3,75 miliardi di anni. Più vecchie delle rocce terrestri si sono tuttavia rivelate la maggioranza delle meteoriti in particolare le cosiddette condriti (dal greco còndros = grumo) carbonacee (cioè contenenti composti del carbonio) che sembravano non essere mai state fuse o alterate chimicamente all’interno dei corpi celesti dai quali si erano liberate. Grazie a tali misurazioni eseguite su queste particolari meteoriti si poté infine determinarne l’età che risultava compresa fra 4,5 e 4,6 miliardi di anni.

La condriti carbonacee sono importanti anche per il contributo che hanno dato per capire come è sorta la vita sul nostro pianeta. In queste particolari e rare meteoriti il carbonio è presente in composti organici alquanto complessi come idrocarburi, acidi grassi, ammino-acidi, ecc. Poiché in parte si tratta di molecole presenti negli organismi viventi, alcuni scienziati hanno ipotizzato che siano state le condriti carbonacee a rendere la nostra Terra un ambiente adatto all’origine della vita. A completare il quadro si era anche scoperto che i nuclei degli atomi di idrogeno si univano per formare quelli degli atomi di elio e contemporaneamente rilasciavano quantità enormi di energia, esattamente quello che serviva per garantire un flusso di radiazione abbondante e costante dal Sole.

Frattanto gli astronomi si erano fatti il convincimento che l’intero Sistema Solare si fosse formato simultaneamente e che l’età di una parte qualsiasi di esso avrebbe fornito l’età della Terra. L’analisi delle rocce lunari, per esempio, sarebbe stata utile alla bisogna quanto l’analisi delle rocce terrestri. Nel 1969, i primi astronauti raggiungevano finalmente la Luna dove poterono raccogliere diversi campioni di rocce che portarono a Terra. Si scoprì così che tali rocce mostravano un’età di quasi 4,4 miliardi di anni, quindi di oltre mezzo miliardo di anni più vecchie di quelle terrestri (che erano state esaminate in precedenza). Le età più antiche che siano state determinate su frammenti di roccia rimanevano tuttavia quelle di alcuni meteoriti e se l’intero Sistema Solare si fosse effettivamente formato tutto nello stesso momento l’età dei corpi più antichi in esso presenti avrebbe rappresentato anche l’età della Terra e di tutto il resto del materiale che gravita intorno al nostro Sole, Sole compreso.

Le zone in cui si trovano più facilmente i meteoriti sono quelle con scarsa vegetazione come i deserti e soprattutto i ghiacciai, in cui il colore uniformemente bianco della candida distesa gelata rende immediato il riconoscimento di un corpo scuro. Da una quarantina d’anni a questa parte, i ghiacci che ricoprono il continente polare australe si sono rivelati un vero e proprio serbatoio di meteoriti. Si sono mostrate particolarmente preziose le meteoriti rocciose che di solito passavano inosservate in quanto si confondevano con le normali pietre del nostro pianeta. I meteoriti dell’Antartide hanno anche riservato una sorpresa perché fra i tanti ne sono stati raccolti alcuni che hanno mostrato un’età giudicata troppo giovane per essersi formati all’origine del Sistema Solare.

La maggior parte delle meteoriti pietrose rinvenute sulle distese ghiacciate del polo sud, come abbiamo visto, hanno rivelato un’età che è stata stimata in 4,5 miliardi di anni o poco più, ma una piccola frazione di esse ha esibito un’età di cristallizzazione di soli 1,3 miliardi di anni. Le rocce da cui queste meteoriti derivano devono quindi essere state eruttate da una qualche bocca vulcanica presente nel Sistema Solare in tempi relativamente recenti.

Molti indizi facevano ritenere che queste giovani meteoriti raccolte in Antartide potessero provenire da un altro pianeta anche perché la composizione isotopica dei minerali presenti in esse era diversa da quella delle rocce terrestri dello stesso tipo. I minerali che le componevano erano molto simili a quelli rivelati dalle analisi in loco dalle due sonde Viking inviate su Marte nel 1975 con lo scopo di analizzare il suolo di quel pianeta. La prova decisiva relativa alla provenienza di queste particolari meteoriti si ebbe alla fine del 1979 quando fu raccolto un campione in cui si trovarono intrappolate all’interno delle miscele di gas inerti (verosimilmente assorbiti nel momento della loro formazione) che presentavano valori molto diversi, sia relativamente alle abbondanze relative sia per le composizioni isotopiche, da quelli terrestri e praticamente identici a quelli dell’atmosfera marziana analizzata dalle Viking.

Nel 1992 gli scienziati hanno anche fornito le prove della presenza in tali campioni di piccole tracce di acqua; dall’analisi degli isotopi di ossigeno era emerso che quelle molecole non potevano essere di origine terrestre ed inoltre la composizione isotopica dell’ossigeno che componeva le molecole di acqua era diversa dallo stesso ossigeno libero. Ciò dimostrerebbe che su Marte esistono due riserve differenti di atomi di ossigeno.

Le osservazioni hanno mostrato fra l’altro che su Marte vi sono grandi vulcani che probabilmente sono rimasti attivi per miliardi di anni dopo la formazione del pianeta e benché l’età di queste strutture sia difficile da accertare, il valore di 1,3 miliardi di anni assegnato a quei particolari meteoriti, rilevato con il metodo radioattivo, sembra plausibile. Più difficile è capire come abbia potuto l’impatto di un meteorite, evidentemente di grosse dimensioni, scagliare via dalla superficie di quel pianeta dei frammenti di roccia imprimendo ad alcuni di essi la velocità di fuga adeguata a vincere la gravità, tale cioè che parte dei frammenti di suolo scagliati in aria invece che ricadere su di esso si sia allontanato dal pianeta per essere catturato dalla forza gravitazionale della Terra e verosimilmente anche da parte di altri corpi massicci del Sistema Solare.

 

LA FORMAZIONE DEL SISTEMA SOLARE

Il Sole e i pianeti, inclusa la Terra, sono agglomerati di materia cosmica in quanto, sin dalle origini, sono state le collisioni con meteoriti a determinare l’accrescimento di quei corpi celesti. Secondo la teoria più accreditata sull’origine del Sistema Solare, Sole, pianeti e satelliti si sarebbero formati a partire da una nebulosa di polvere e gas staccatasi da una molto più grande.

Come abbiamo visto in precedenza per il Sole, così anche la maggior parte delle stelle vive grazie all’energia nucleare rilasciata convertendo idrogeno in elio. Naturalmente tale processo di trasformazione non è eterno e circa cinque miliardi di anni fa, quando in una stella molto più grande del Sole si esaurì tutto l’idrogeno disponibile, essa perse l’energia che la manteneva compatta e quindi crollò su sé stessa generando energia gravitazionale. Questo processo surriscaldò la stella incendiando l’elio che dette il via alla formazione degli elementi più pesanti. Nel momento in cui anche la riserva di elio fu consumata il nucleo della stella subì un secondo rapido collasso che provocò una violenta esplosione gettando gli elementi che frattanto si erano prodotti al suo interno tutto intorno e che in parte finirono nella nebulosa la quale si trovava in vicinanza. Questa a sua volta per effetto della tremenda onda d’urto si frantumò in una serie di nubi di dimensioni minori, una delle quali sarebbe stata quella che avrebbe formato il nostro Sistema Solare.

La gran parte della massa della nebulosa che creerà il Sistema Solare si concentrò nel centro mentre la materia rimanente formò un grande disco in lenta rotazione contenente tutti gli elementi chimici attualmente presenti nei pianeti e quindi, oltre ad idrogeno ed elio generati al tempo del Big Bang, anche quelli che si sono formati nella grande stella la quale, dopo l’esplosione, prese le sembianze di una supernova. Le particelle solide microscopiche presenti inizialmente nella nebulosa subirono una serie incessante di collisioni reciproche che le portarono ad aggregarsi le une alle altre fino a formare frammenti che a loro volta si aggregarono in altri più grandi. Con il crescere delle dimensioni di questi corpi crebbe anche la violenza delle loro collisioni. I granelli di materia dettero forma e sostanza prima a sassi, poi a massi e macigni che infine divennero planetesimali, ossia oggetti rocciosi di decine di kilometri di lunghezza, che rappresentavano gli embrioni dei pianeti.

A distanze regolari dal Sole, come risultato finale di innumerevoli scontri con corpi più piccoli, si formarono i pianeti interni ed esterni. I primi, Mercurio, Venere, Terra e Marte, composti di metallo e materiale roccioso, i secondi, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone, costituiti fondamentalmente di idrogeno contenuto nelle miscele di metano (CH4), ammoniaca (NH3), acido solfidrico (H2S) e acqua (H2O).

In seguito la nostra Terra subì ogni genere di cambiamenti chimici e geologici per cui oggi è impossibile identificare in essa le rocce presenti all’inizio della sua esistenza. Non essendo più disponibili tali rocce dal cui studio sarebbe stato possibile determinare l’età del pianeta, non possediamo dati diretti sul primo miliardo di anni di vita del nostro pianeta.

La Luna, più piccola della Terra e meno “viva” dal punto di vista geologico ha conservato invece rocce di oltre 4,4 miliardi di anni. Anche il nostro satellite naturale, però, fin dalle origini non è rimasto completamente indisturbato. Nelle prime centinaia di milioni di anni della loro esistenza, sia la Terra, sia la Luna, sono state pesantemente bombardate da piccoli corpi solidi mentre si completava il loro processo di formazione. I segni dei numerosi impatti non esistono più sulla Terra dove l’azione dei venti, delle acque e della vita ha cancellato ogni traccia del bombardamento meteorico, ma sulla Luna sono rimaste chiare le prove delle collisioni di meteoriti costituite dai numerosi crateri che segnano i siti delle cadute di questi corpi piovuti dal cielo.

La pioggia di grossi frammenti alterò e polverizzò, e con ogni probabilità fuse gran parte della superficie della Luna. Le cicatrici lasciate dai meteoriti sulla sua superficie sono attualmente ancora molto evidenti ma non sappiamo con certezza quando cessò sul nostro satellite il bombardamento. È facilmente comprensibile che la caduta di meteoriti sui grossi corpi celesti che hanno modificato la struttura delle rocce superficiali è durato tanto più a lungo quanto più grande era il corpo mentre è rimasto praticamente integro quello dei corpi più piccoli. La Terra, più grande della Luna ha indubbiamente subito un bombardamento di meteoriti molto intenso mentre i piccoli corpi da cui derivano i meteoriti sono rimasti intatti da quando si sono formati ad oggi e determinarne l’età corrisponde a conoscere le prime fasi della storia del Sistema Solare.

Seguendo i vari metodi della lenta disintegrazione radioattiva di diversi elementi presenti nei meteoriti si è potuto stabilire che l’età di questi corpi celesti è compresa fra i 4,4 e i 4,6 miliardi di anni e questa dovrebbe essere anche l’età della Terra e dell’intero Sistema Solare. Dal momento della loro formazione per circa cinquecento milioni di anni vi fu un bombardamento lentamente decrescente di detriti che investì i corpi più grandi e quindi per i successivi quattro miliardi di anni i mondi del Sistema Solare, Terra compresa, rimasero ragionevolmente in pace.

Il Sole e i pianeti con la loro corte di satelliti sono i corpi maggiori del nostro Sistema Solare ma molti altri tipi di oggetti ne fanno parte. Fra questi i più importanti nella storia delle collisioni cosmiche sono gli asteroidi e le comete. I primi presentano la stessa composizione di base dei pianeti interni, roccia e metallo, e si trovano nella zona situata fra le orbite di Marte e Giove, la cosiddetta cintura degli asteroidi. Le comete si trovano invece ai margini del Sistema Solare, al di là di Plutone e, come i pianeti esterni, sono costituite di roccia e ghiaccio, oltre che di metano, ammoniaca e solfuro di idrogeno.

 

UN METEORITE FAMOSO E MISTERIOSO

La caduta di oggetti extraterrestri, che è stata molto intensa soprattutto nei primi anni di esistenza del nostro, come di altri pianeti del Sistema Solare, ha plasmato la Terra e ha determinato l’evoluzione della vita su di essa. Dopo le prime intense collisioni cosmiche il bombardamento meteorico lentamente si è attenuato ma non si è mai concluso del tutto. Oggi sappiamo che esistono milioni di frammenti di roccia che orbitano intorno a noi e che potrebbero caderci sulla testa, ma sappiamo anche che questi corpi non sono tutti potenzialmente pericolosi. Alcuni di essi misurano meno di una decina di metri di diametro e dunque non destano grosse preoccupazioni. Ne esiste però anche un bel numero che misura intorno a 100 metri di diametro e che, se cadessero in zone fittamente abitate, basterebbero da soli a cancellare grandi città come Milano o Napoli.

Ve ne sono anche alcuni di dimensioni maggiori che, sulla terraferma, creerebbero crateri di vaste dimensioni e solleverebbero una nube di polvere che oscurerebbe il Sole in larghe zone del pianeta, abbassando di molti gradi la temperatura e compromettendo in questo modo la vita sia vegetale che animale. Tuttavia la probabilità che un meteorite cada in mare piuttosto che sulla terraferma è maggiore perché il pianeta è coperto dalle acque degli oceani per due terzi.

Ma quali sono quindi le probabilità concrete che ci cada in testa un grosso meteorite fino ad ucciderci? Moltissime, se teniamo conto dei dati statistici. I rischi che corriamo più frequentemente come ad esempio cadere a terra inciampando o ferirci maneggiando un attrezzo tagliente, sono quelli che hanno le conseguenze meno gravi, mentre sono spesso i pericoli più rari, come la caduta di un aeroplano o l’essere travolti dalla furia di uno tsunami, a causare delle vere e proprie catastrofi uccidendo centinaia o migliaia di persone. È stato calcolato che la probabilità di morire vittima dell’impatto di un meteorite è di una su 20.000, la stessa di perire in seguito alla caduta di un aereo.

In verità non risultano esserci mai state vittime umane colpite da meteoriti e sono anche rari quelli caduti vicino a noi. Si racconta di un meteorite che dopo aver sfondato il tetto di una villa sia finito ai piedi del padrone di casa che, seduto in poltrona, stava guardando la televisione; un altro finì su di un’automobile e un terzo colpì di striscio il piede di una donna ferendola, ma non si ha notizia di un meteorite che abbia ucciso un uomo. Come mai allora esiste una probabilità tanto alta di finire vittima di meteoriti? Ciò dipende dal fatto che se cadesse un meteorite di grosse dimensioni, come è già successo in passato, l’impatto provocherebbe uno sterminio. Si avrebbero pertanto non poche migliaia di vittime, ma miliardi, con il rischio di finire come i dinosauri di 65 milioni di anni fa estinti insieme con altre numerose specie viventi per la caduta di un grosso meteorite. Un fenomeno del genere infatti statisticamente avviene solo ogni molti milioni di anni.

Un secolo fa, per la precisione il 30 giugno del 1908 alle 7 e 17, un’enorme palla di fuoco sfrecciò in cielo. Si trattò di una esplosione terrificante la cui energia è stata stimata pari a quella prodotta da un milione di tonnellate di tritolo, ossia cento volte maggiore della bomba di Hiroshima le cui vittime in quel caso, è bene precisarlo, furono tuttavia provocate dalla pioggia radioattiva (il micidiale fallout).

In una sperduta regione della Siberia centrale, per fortuna quasi disabitata, in prossimità del fiume Tunguska, improvvisamente una colonna di fuoco comparve nel cielo terso del mattino come se si fosse acceso un secondo Sole, più luminoso di quello appena sorto all’orizzonte, e visibile a molti kilometri di distanza. Si trattò di un grosso oggetto, in realtà materialmente mai identificato, piovuto dal cielo, che abbatté ogni albero nel raggio di 30 kilometri e carbonizzò migliaia di animali.

Non vi furono vittime umane, almeno ufficialmente, ma in molti videro e raccontarono l’episodio. Subito dopo l’impatto un tremendo colpo d’aria scoperchiò case e scardinò porte e finestre delle abitazioni di un villaggio vicino. Uno spaventoso boato fu udito fino a 700 kilometri di distanza. Fra i pochi abitanti della zona si sparse subito la voce che in mezzo alla taiga siberiana (la particolare vegetazione, costituita da conifere e betulle, tipica delle zone fredde e pianeggianti) era accaduta una devastazione spaventosa, ma nella lontana capitale dell’Impero russo non si dette molto credito a queste notizie ritenute esagerazioni attorno ad un fenomeno conseguente alla caduta di un comune meteorite, e quindi non fu disposta alcuna indagine. In realtà, in seguito si scoprì che a impattare con la Terra fu un corpo celeste del peso di oltre mezzo milione di tonnellate i cui effetti furono registrati dai sismografi di mezza Europa. Oltre a quella sismica si formò anche un’onda di pressione che fu segnalata più di cinque ore dopo l’impatto in Inghilterra e, 24 ore più tardi, ancora in Siberia dopo che ebbe percorso tutto il giro del pianeta. Se il corpo precipitato nella foresta siberiana avesse avuto qualche ora di anticipo oggi la capitale della Finlandia, Helsinki, non esisterebbe più.

Solo nel 1927, cioè quasi vent’anni dopo il verificarsi dell’episodio, fu inviata dall’Accademia Sovietica delle Scienze, una spedizione nella lontana e inospitale regione siberiana guidata dal mineralogista Leonid A. Kulik (1883-1942). Fu ispezionata a più riprese la zona circostante l’epicentro individuato dalla disposizione radiale degli alberi abbattuti entro un’area di 30-40 kilometri di raggio. Le ricerche si protrassero per alcuni anni, ma nessuna prova della collisione fu trovata. Il comandate della spedizione russa fino alla morte rimase nella convinzione che il meteorite fosse nascosto nella desolata valle del Tunguska.

In verità, nonostante il violento impatto, sul posto non fu individuato alcun cratere per cui molti ricercatori hanno pensato che non si sia trattato di una meteorite ma di una cometa esplosa prima di arrivare a contatto con il suolo. La testa delle comete è fatta soprattutto di ghiaccio (la cosiddetta “palla di neve sporca”) che, urtando violentemente contro l’alta atmosfera, sarebbe vaporizzata quasi istantaneamente, disgregandosi. L’ipotesi che a colpire la taiga siberiana sia stata proprio una cometa oggi ha perso di credibilità in quanto i calcoli hanno dimostrato che quella enorme massa di ghiaccio e roccia sarebbe dovuta esplodere a 30 kilometri di altezza rispetto agli otto e mezzo stimati in base all’area incendiata.

Per risolvere il problema nel 1999 si è recata sul luogo una squadra composta prevalentemente da tecnici italiani che ha esaminato fin nei minimi dettagli la regione nel convincimento che un evento cosmico di tale portata avrebbe dovuto lasciare traccia all’interno degli alberi abbattuti o sopravvissuti e nei sedimenti del lago poco distante dal sito dell’impatto. In effetti gli studiosi hanno notato nelle resine degli alberi la presenza di particelle cosmiche e sul fondo del lago una particolare disposizione degli strati del terreno che potrebbero essere stati generati da un evento catastrofico, ma non sono stati rinvenuti i resti tipici della caduta di una meteorite ferrosa, ragion per cui si è pensato ad una rocciosa di cui però non si riuscì ad individuare alcun cratere evidente.

Ancora oggi si parla del “mistero di Tunguska” un fenomeno che ha stimolato oltre ogni limite la fantasia di scienziati e non solo. Sull’evento restano tuttora parecchi interrogativi e a causa della sua violenza e della mancanza di un cratere di impatto vennero fornite le spiegazioni più strampalate a cominciare da un mini buco nero, un oggettino più piccolo di un granellino di sabbia, ma con una massa di milioni di miliardi di tonnellate, a quella di un corpo di antimateria che si sarebbe annichilito nell’aria incontrando la materia, fino a tirare in ballo l’immancabile veicolo spaziale extraterrestre (UFO) a cui sarebbe esploso il motore nucleare.

Prof. Antonio Vecchia

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  1. Stefano

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