Leggi ponderali

L’osservazione superficiale dei fenomeni chimici porterebbe a pensare che la materia pos­sa in qualche modo venire creata dal nulla o scomparire nel nulla. Se ad esempio si brucia un foglio di carta si ha la sensazione che scompaia della materia perché alla fine rimane un resi­duo impalpabile di cenere molto più leggero della carta di partenza. D’altra parte, bruciando del magnesio si ottiene una polvere bianca che esibisce, in questo caso, un peso nettamente superiore a quello del magnesio che è stato bruciato. 

 

LA PRIMA LEGGE PONDERALE

      Il problema legato alla variazione di massa nelle reazioni chimiche trovò definitiva soluzio­ne solo nel 1785 ad opera del chimico francese Antoine-Laurent de Lavoisier (1743-1794). Questo scienziato è considerato, a buon diritto, il fondatore della chimica moderna perché fu il primo che utilizzò, in modo sistematico, uno strumento di misura per la valutazio­ne dei feno­meni di trasformazione della materia. 

     Lo strumento che permise al chimico francese di controllare le variazioni di massa delle so­stanze reagenti e dei prodotti finali delle reazioni chimiche, era la bilancia. Con questo mezzo egli pervenne al risultato che prima e dopo le reazioni chimiche non si riscon­trava alcu­na apprezzabile variazione di peso delle sostanze coinvolte nelle reazioni stesse.

      Lavoisier enunciò quindi una legge di carattere generale che va sotto il nome di Legge di conservazione della massa o Prima legge ponderale della chimica. Essa può essere formula­ta nel modo seguente: “In ogni reazioni chimica, la massa dei reagenti è uguale alla massa dei prodotti”. Questa legge è molto nota anche fra la gente comune, che enuncia così: “In natura nulla si crea, nulla si distrugge: tutto si trasforma.”

      Se a volte può sembrare che materia sparisca nel nulla, o che si formi materia dal nulla ciò è dovuto semplicemente al fatto che le osservazioni vengono condotte in modo superficiale. Nel caso della carta che brucia, ad esempio, se si tenesse conto dell’aria che si è consumata durante la reazione e dei gas che si sono formati con la combustione si osserverebbe che il peso complessivo di tutti i reagenti e di tutti i prodotti non è variato. Stesso discorso vale per il magnesio: il peso del prodotto della reazione, che è l’ossido di magnesio, è uguale alla somma dei pesi del magnesio e dell’ossigeno che hanno partecipato alla reazione. 

      Prima di proseguire è forse opportuno chiarire i concetti profondamente diversi di peso e massa in quanto è solo un’analisi superficiale delle nostre esperienze quotidiane che ci induce a ritenere che siano la stessa cosa. 

      La massa m rappresenta, per così dire, la quantità di materia della quale è fatto un certo oggetto dunque è una grandezza invariabile caratteristica dell’oggetto che consideriamo. Il peso P invece dipende dalla forza di gravità che agisce su un oggetto ed è variabile da luogo a luogo.

      La massa di un corpo quindi non varia mai, mentre il suo peso dipende dal luogo in cui si effettuano le misure. Per misurare la massa di un corpo lo si mette su un piatto di una bilan­cia a due piatti mentre sull’altro si mette un peso di riferimento che gli faccia equilibrio. Il peso invece si misura su una bilancia pesapersone del tipo di quella che si trova frequente­mente nei nostri bagni in cui la registrazione è garantita dalla compressione di una molla. In alta montagna dove la forza di gravità è minore che al livello del mare l’oggetto di cui si vuole determinare il peso pe­serà di meno; anche nel caso della definizione della massa l’oggetto di cui si vuole determinare la massa in montagna peserà di meno ma altrettanto di meno peserà il corpo di ri­ferimento che gli fa equilibrio.

      Massa e peso sono legati dalla seguente relazione: P=m⋅g, e sono pertanto due grandez­ze che vanno di pari passo nel senso che tanto più grande è la massa di un certo oggetto tan­to maggiore è il suo peso. Di fatto, un oggetto che ha una massa doppia di quella di partenza pesa anche il doppio, un oggetto di massa tripla pesa il triplo; e così via. In pratica, poiché la forza di gravità (g) sulla superficie terrestre non cambia molto da punto a punto, il peso di un oggetto molto piccolo, qual è l’atomo, rimane costante come è costante la sua massa. Questo è il motivo per il quale in chimica si usa spesso il termine “peso” al posto di “massa”.

       Vediamo ora di concludere l’esposizione della legge della conservazione della massa, una legge che è stata verificata un’infinità di volte ed ha sempre trovato conferma. Per la precisio­ne, la teoria della relatività ristretta di Ein­stein afferma che in ogni trasfor­mazione della mate­ria, che avvenga con emissione o assorbi­mento di energia, si determina sempre una certa va­riazione di massa. La stessa teoria, però, suggerisce anche che per varia­zioni di energia mo­deste, come quelle che si realizzano nelle trasformazioni chimiche, le varia­zioni di massa sono tal­mente esigue da non poter essere rile­vate nemmeno dalle bilance più sensibili.

       L’equazione di Einstein che lega la massa all’energia è la seguente: E=m, dove E è l’e­nergia, m la massa e c² è la velocità della luce al quadrato. Dato il valore molto elevato di c² si comprende come solo se si realizzassero grandi variazioni di energia si potrebbero ottenere difetti di massa misurabili. È importante notare che per poter misurare la scomparsa di un sol grammo di materia si dovrebbe bruciare tutto il carbone trasportato da un lungo treno mer­ci. Variazioni di massa apprezzabili si realizzano in pratica solo nelle reazioni nucleari, cioè in rea­zioni che interessano i nuclei degli atomi mentre, come sappiamo, le trasformazioni chimi­che interessano solo la parte periferica degli atomi stessi.

      Nel 1789, l’anno in cui venne pubblicato il testo della legge di Lavoisier scoppiava la Rivolu­zione francese che degenerò ben presto nei selvaggi eccessi del Terrore. Disgraziatamente La­voisier era coinvolto in una organizzazione per la riscossione delle imposte, che i rivoluzionari consideravano perfido strumento dell’odiata monarchia. Vennero così condannati alla ghigliot­tina tutti i funzionari che era stato possibile arrestare. Lavoisier fu uno di essi.

       Quest’uomo, dunque, uno dei più grandi chimici che siano mai esistiti, fu ucciso nel 1974, nel fiore degli anni, inutilmente e senza motivo. “È bastato un momento per tagliare quella te­sta, e forse non basterà un secolo per generarne un’altra pari alla sua” disse di lui Joseph Lagran­ge, il grande matematico.

 

LA SECONDA LEGGE PONDERALE

     Il successo conseguito da Lavoisier con la sua legge incitò i chimici a cercare ed esplo­rare altri campi in cui l’impiego di misurazioni accurate potesse illuminare lo studio delle rea­zioni chimiche. Uno di questi campi era costituito dagli acidi. Di fronte agli acidi, con caratteri­stiche opposte vi erano le basi, composti altrettanto chimicamente attivi in grado di neutraliz­zare le soluzioni di acidi. In altri termini, si notò che se si mescolavano acidi e basi nelle proporzioni adatte, si otteneva una miscela con proprietà che non erano né acide né basiche. La miscela era infatti un sale in soluzione, prodotto chimico con caratteristiche molto più blande sia degli acidi che delle basi. 

     Il chimico tedesco Benjamin Richter (1762-1807) rivolse l’attenzione su queste reazioni di neutralizzazione e misurò le quantità esatte dei diversi acidi che occorrevano per neutralizzare una data quantità di una determinata base, e viceversa. In seguito a misurazioni accurate Ri­chter scoprì che per ottenere la neutralizzazione dei due composti occorrevano quantità fisse e definite di essi e non esisteva quella tolleranza su cui possono contare i cuochi in cucina dove una certa variazione in più o in meno di un determi­nato ingrediente non ha eccessiva importanza. 

     Vi erano però all’epoca alcuni scienziati convinti che variando le proporzioni degli ele­menti che formavano i composti era possibile ottenere prodotti con composizione chimica di volta in vol­ta diversa. Questi chimici ritenevano che fosse possibile che le proporzioni fra gli elementi che formavano i composti non fossero necessariamente fisse ma che potessero anche variare a seconda del metodo di preparazione. Fra coloro che si opponevano a questo convincimento verso la fine del 1700 vi era il chimico francese Josep Louis Proust (1754-1826) il quale effet­tuava i propri esperimenti in Spagna, al sicuro, almeno per il momento, dagli sconvolgimenti provocati dalla Rivoluzione francese. Ricorrendo ad analisi meticolosamente accurate nel 1799 Proust dimo­strò, senza ombra di dubbio, che i composti chimici, contengono sempre la stessa percen­tuale in peso degli elementi costituenti. 

      Da queste misurazioni il chimico francese individuò una legge detta Legge delle proporzio­ni definite e costanti o Seconda legge ponderale della chimica che può essere enunciata nel modo seguente: “Quando due o più elementi si combinano per formare un composto lo fanno sempre in rapporto di pesi fisso e costante”.

      Facendo ricorso alla corrente elettrica, è possibile, ad esempio, scomporre l’acqua nei suoi costituenti che, come sappiamo, sono ossigeno e idrogeno. Ebbene, raccogliendo i due gas che si formano nel corso della reazione in appositi contenitori è possibile successivamente pesarli. In tutti i casi si riscontra che il peso dell’ossigeno che si produce dalla decomposizione di una certa quantità di acqua è sempre 8 volte maggiore del peso dell’idrogeno che si produce simultaneamente. 

     Se ora, invece che fare l’analisi dell’acqua, si fa la sintesi, ossia si fanno reagire idrogeno e ossigeno, si riscontra la stessa regolarità. Idrogeno e ossigeno reagiscono, per formare acqua, sempre nel rapporto di peso di 1 a 8 anche quando vengono messe a reagire quantità qual­siasi di questi due gas. Se ad esempio si pone a reagire 1 grammo di idrogeno e 10 grammi di ossigeno, si osserva il formarsi di 9 grammi di acqua mentre restano inalterati 2 grammi di os­sigeno che erano stati posti a reagire in quantità eccedente il rapporto indicato. 

      Proust dimostrò chiaramente che esiste una differenza sostanziale fra i miscugli e i compo­sti: mentre nei primi vi è la possibilità di graduare la composizione quantitativa entro i limiti molto ampi, come fanno ad esempio i cuochi in cucina, nel caso dei composti non vi erano margini di variabilità. Per usare le stessa pa­role di Proust possiamo concludere dicendo che il composto è “un oggetto che la Natura non crea altrimenti che con la bilancia in mano”. La combinazione di atomi, con il passar del tempo, prese il nome di molecola dalla parola latina che significa “piccola massa”.

 

A TERZA LEGGE PONDERALE

      Dal momento stesso in cui fu annunciata la legge di Proust il mondo scientifico fu costretto a compiere profonde riflessioni su di essa. Se la natura della materia fosse stata continua, ragionarono i chimici, per quale motivo doveva essere valida la legge delle proporzioni definite? E per quale motivo un determinato composto doveva sempre essere costituito ad esempio da 8 parti di un elemento e da 1 di un altro e non qualche volta da 8,1 o 7,9 parti del primo elemento?

      Nei primi anni del XIX secolo, il chimico inglese John Dalton (1766-1844), nel tentativo di confermare la validità della legge di Proust si dedicò alla verifica dei rapporti ponderali di un gran numero di composti chimici. In questo modo egli venne a scoprire che talvolta due elementi potevano dar vita a due o più composti.

     Idrogeno e ossigeno, ad esempio, oltre all’acqua, possono anche reagire per formare ac­qua ossigenata. Quest’ultimo composto, pur essendo costituito dagli stessi elementi di cui è formata l’acqua, presenta tuttavia caratteristiche chimiche e fisiche completamente diverse; è logico quindi attendersi per esso un rapporto di combinazione di altro tipo rispetto a quello dell’ac­qua. Nell’acqua ossigenata, infatti, idrogeno e ossigeno sono presenti nel rapporto di combi­nazione di 1 a 16. Egli inoltre osservò che la stessa regolarità si presentava in altri casi, come si può osserva­re nella tabella riportata qui sotto. In essa si nota che ad esempio nella combi­nazione di azoto e ossigeno in cui ad una quantità fissa di azoto corrispondono quantità di os­sigeno variabili nei cinque composti possibili secondo i numeri 1, 2, 3, 4 e 5.

 

             Composto                     Azoto (%)         Ossigeno (%)         Grammi di Ossigeno
                                                                                                   combinati con 1g di Azoto

Protossido di azoto              63,70                  36,30                 0,57 = 0,57 x 1 

Ossido di azoto                   46,74                  53,26                 1,14 = 0,57 x 2

Anidride nitrosa                  36,91                  63,09                 1,71 = 0,57 x 3

Ipoazotide                         30,49                  69,51                 2,28 = 0,57 x 4

Anidride nitrica                 25,98                  70,02                 2,85 = 0,57 x 5
Legge delle proporzioni multiple. Ossigeno e azoto reagiscono per formare cinque differenti composti; le quantità di ossigeno

che si combinano con la stessa quantità di azoto stanno fra di loro come multipli interi e semplici della quantità più piccola.

 

      Dalton allora, nel 1803, generalizzò le sue osservazioni sperimentali in una legge che porta il nome di Legge delle proporzioni multiple o terza legge ponderale della chimica. Essa può essere enunciata nel modo seguente: “Quando due elementi reagiscono fra loro per formare più di un composto, le quantità dell’uno che si uniscono alla stessa quantità dell’altro, stanno fra loro nel rapporto di numeri interi generalmente piccoli”.

Prof. Antonio Vecchia

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