Il principio di precauzione

LA PRUDENZA IMPOSTA PER LEGGE

Nella prima metà di giugno del 1992 si è tenuta a Rio de Janeiro (Brasile) la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo, l’«Earth Summit». Si trattò della più grande Conferenza internazionale della storia a cui parteciparono circa settanta capi di Stato, cinquanta capi di governo, centottanta delegazioni governative ufficiali ed anche qualche principe ereditario. Senza prendere alcuna decisione definitiva, il convegno cercò di mettere d’accordo le esigenze dell’ecologia con le ragioni dello sviluppo lasciando però sul tavolo gli obiettivi concreti e i mezzi per ottenerli, che le singole Nazioni avrebbero dovuto affrontare in un momento successivo.

Fra le tante proposte venne anche raccomandata l’applicazione del cosiddetto “principio di precauzione” una norma che fece la sua prima comparsa agli inizi degli anni ’70 e che, dopo una serie di modifiche e aggiustamenti, trovò in quella occasione la sua formulazione definitiva divenendo materia dei trattati internazionali.

Tale principio, contenuto nell’articolo 15 della Dichiarazione di Rio, afferma quanto segue: “Ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure di prevenzione della degradazione ambientale”. Esso sembra quindi esprimere il saggio consiglio per cui “è meglio prevenire che curare”, ma in realtà sostiene che non si devono applicare i risultati della ricerca scientifica fino a che non si sia sicuri della loro assoluta non pericolosità per l’ambiente.

L’Unione europea, ratificando il principio di precauzione, ha ritenuto che esso dovesse avere una portata più generale in modo da potersi applicare a tutte le situazioni nelle quali si rendesse necessario tutelare la salute dei consumatori. Il campo d’applicazione divenne quindi più vasto di quello previsto nella Dichiarazione di Rio e si estese alla salute umana, animale e vegetale. Esso finì pertanto per assumere la forma seguente: “Quando un’attività crea possibilità di fare male alla salute umana o all’ambiente, misure precauzionali dovrebbero essere prese anche se alcune relazioni di causa-effetto non sono stabilite dalla scienza”. Il principio così ampliato è diventato un’esortazione invocata con sempre maggiore frequenza dai movimenti ambientalisti per indurre lo Stato ad intervenire a difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini, ma nello stesso tempo ha lasciato perplessi e molto critici gli scienziati.

Si tratta, come capisce anche chi ha solo un minimo di educazione scientifica, di una richiesta assurda e che, come vedremo, potrebbe persino diventare pericolosa. La “certezza scientifica” infatti non esiste perché la scienza per sua stessa natura crea dubbi e non certezze: le certezze scientifiche prosperano solo sulla bocca dei maghi e dei ciarlatani, e sulle pagine degli oroscopi. Parlare quindi di certezze scientifiche è una contraddizione in termini: ogni affermazione scientifica non è affatto certa, ma provvisoria e di conseguenza suscettibile di modifica.

Ciò premesso, occorre anche avere l’avvertenza di non confondere il “principio di precauzione” con la precauzione, ovvero con la prudenza, che è un comportamento saggio da adottare in qualsiasi attività umana. Per chiarirci le idee facciamo un esempio. Quando un cittadino responsabile si trova alla guida del proprio automezzo è buona norma che adotti tutte le precauzioni necessarie per non recare danno a sé e agli altri e quindi è opportuno, ad esempio, che egli non abbia assunto bevande alcoliche o droghe, che moderi la velocità in caso di nebbia, che tenga rigorosamente la distanza di sicurezza, che allacci le cinture di sicurezza, che non usi il telefonino e così via. Applicando invece il principio di precauzione egli, prima di salire in macchina, dovrebbe essere certo che i freni rispondano con prontezza in caso di necessità, che non scoppi una gomma lungo il tragitto e che non si blocchi il volante mentre affronta una curva: ebbene di tutto ciò, come è facile comprendere, qualsiasi automobilista non potrà mai avere l’assoluta certezza. Se un guidatore prima di partire pretendesse tutte queste garanzie dal suo automezzo non salirebbe mai in macchina e forse non uscirebbe nemmeno di casa.

In verità se si fosse applicato il principio di precauzione ad ogni nuova scoperta scientifica e tecnologica l’umanità non avrebbe fatto passi avanti e non sarebbero in circolazione automobili e aerei, ma non esisterebbero nemmeno la luce elettrica, i vaccini, gli anticrittogamici e molti farmaci: ottimi prodotti in verità, sulla sicurezza al 100% dei quali tuttavia nessuno potrebbe garantire. Proprio l’applicazione del principio di precauzione, di cui faremo alcuni esempi, ha invece provocato in passato e provoca tuttora gravi danni.

Il principio di precauzione è in realtà una forma di proibizionismo mascherato e il proibizionismo, come la storia insegna, non ha mai risolto i problemi: se mai li ha aggravati; si pensi ad esempio al divieto della fabbricazione e del commercio di bevande alcoliche negli anni Venti del secolo scorso negli Stati Uniti, un espediente che invece di combattere l’alcolismo, come era nelle intenzioni del Governo, rafforzò le organizzazioni illegali.

Vi sono persone che, in perfetta buona fede e per ragioni apparentemente ineccepibili, vorrebbero limitare la libera espressione delle idee. Prendiamo ad esempio la pornografia che agli occhi di molta gente appare spiacevole e disgustosa poiché ne teme gli effetti deleteri soprattutto sui giovani. Ebbene le persone che paventano un danno dalla diffusione di comportamenti immorali vorrebbero venissero soppressi almeno i più osceni esempi di pornografia. La tendenza alla censura però si autoalimenta e una volta eliminati gli aspetti più evidenti del fenomeno rimarrebbero quelli meno espliciti di cui si chiederebbe con altrettanta forza l’esclusione e poi, rimossi anche questi, rimarrebbero quelli che solo si avvicinano alla linea di confine di cui si chiederebbe a sua volta l’eliminazione e così via.

E una volta applicata la censura alla pornografia si passerebbe alla stampa e agli altri mezzi di informazione a sfondo politico che il potere costituito potrebbe giudicare contrari ai valori tradizionali e quindi pericolosi per la sicurezza nazionale. Si porrebbe alla fine anche il problema di chi dovrebbe essere il censore, con quali poteri e con quali limiti dovrebbe agire e di chi dovrebbe conferirgli questi poteri e questi limiti.

 

IL RAPPORTO COSTI-BENEFICI

Facciamo ora alcuni esempi che dimostrano quanto sia pericolosa l’applicazione senza riserve del principio di precauzione.

Tutti sanno che il DDT è stato ritirato dal commercio alcuni anni fa perché lo si riteneva un prodotto pericoloso per la salute dell’uomo. Il DDT (diclorodifeniltricloroetano) è una molecola molto resistente e questo ha rappresentato il suo maggiore pregio perché permane a lungo nell’ambiente conservando intatta la sua efficacia ma ciò rappresenta anche un aspetto negativo in quanto tracce di DDT sono state rinvenute perfino nel grasso degli orsi polari e nel latte delle puerpere. Bandire un pesticida come il DDT è sembrata quindi agli occhi degli abitanti dei Paesi più progrediti, che non hanno più da lottare con i parassiti, una decisione saggia. Il divieto dell’uso di questo insetticida basato su una presunta e non scientificamente dimostrata connessione con gravi malattie e perfino con il cancro produce però ogni anno centinaia di migliaia di morti di malaria fra gli abitanti del Terzo Mondo dove il contagio è trasmesso dalle zanzare che potrebbero essere tenute sotto controllo proprio da questo pesticida. L’applicazione del principio di precauzione avrebbe quindi trasformato un pericolo teorico per la salute dell’uomo che abita nei ricchi Paesi industrializzati in un reale e mortale danno per gli abitanti poveri del Terzo Mondo.

Un altro caso in cui il principio di precauzione è stato applicato a sproposito è quello relativo alla cosiddetta “mucca pazza”. La gente, informata male, ritiene che la diffusione dell’epidemia sia stata causata dalla particolare alimentazione a base di proteine animali cui erano sottoposte le vacche, ma non è così: il mangime ricco di proteine non è per nulla dannoso e il suo uso è una pratica di lunga data. Il danno si è verificato quando è stato abbandonato il metodo tradizionale per ottenere gli integratori animali a favore di un altro ritenuto meno pericoloso.

In precedenza, per eliminare acqua e grasso, gli scarti animali venivano riscaldati alla temperatura di 130 °C e quindi trattati con il diclorometano, un solvente dei grassi. Il mangime che si otteneva era di ottima qualità e non contaminato dal prione, la molecola responsabile dell’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), che veniva distrutto dal procedimento in uso. Sennonché alcuni ambientalisti avviarono una lotta al diclorometano ritenendolo responsabile, al pari dei clorofluorocarburi (CFC), della distruzione dell’ozono. I CFC, come pure le molecole di diclorometano, contengono atomi di cloro legati ad atomi di carbonio e siccome i primi sono ritenuti i massimi responsabili del cosiddetto “buco dell’ozono” la stessa minaccia sarebbe dovuta esistere per il solvente dei grassi, ma il diclorometano si decompone all’aria senza arrecare danno all’ozono.

Vi era in realtà da parte degli ambientalisti un altro timore legato al fatto che alcuni topi esposti al diclorometano contraevano il tumore, ma si trattava di topi geneticamente modificati proprio al fine di renderli predisposti alla malattia. La pressione degli ambientalisti fu tale da indurre le imprese britanniche ad adottare un procedimento per ottenere farine animali, che non utilizzasse diclorometano. Con il nuovo metodo il prione rimase intatto e si trasmise dal mangime alle vacche. Non è quindi fuori di luogo sostenere che il morbo della “mucca pazza” sia nato proprio da un uso scorretto del principio di precauzione: tutto il danno è dipeso infatti dall’aver sostituito un dubbio con una presunta certezza.

Un ulteriore esempio di un uso scorretto del principio di precauzione è quello riguardante la legge velleitaria contro l’inesistente elettrosmog (che genera forse un caso di leucemia infantile all’anno a fronte di molte decine di migliaia di tumori provocati dal fumo e dall’abuso di alcol) votata dal Parlamento italiano su proposta dei Verdi. Non si tratta solo di spostare in luoghi sicuri le antenne per la telefonia mobile ma anche di schermare gli impianti elettrici. Solo per mettere a norma gli impianti delle ferrovie italiane entro il 2010 (come impone la legge) è prevista una spesa di decine di miliardi di euro e ancora maggiore sarà l’impegno finanziario per sistemare gli elettrodotti dell’ENEL: con quei soldi, ha fatto notare il ministro della sanità, verrebbe sconfitto il cancro. L’unico effetto positivo di questa legge sarà invece quello di dare lavoro ai burocrati e di arricchire le multinazionali (tanto odiate dai Verdi) cui toccherà il compito di mettere a punto gli impianti. Si dimostra così come una legge sbagliata e demagogica possa ritorcersi contro chi la propone.

Inoltre, ad aggravare ulteriormente le cose, si mettono di mezzo anche le lungaggini burocratiche che hanno causato, per esempio, l’incidente aereo di Linate nell’ottobre del 2001. Quella sciagura si sarebbe potuta evitare se solo fosse stato in funzione il radar che disgraziatamente mancava a causa della verifica che si protraeva da mesi sulla sua compatibilità con la normativa concernente l’inquinamento elettromagnetico.

Esaminiamo, per concludere, il caso che riguarda il problema dell’effetto serra. A Rio, fra le altre cose, venne preso l’impegno di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera al fine di evitare il riscaldamento globale del Pianeta con tutte le conseguenze che questo innalzamento della temperatura avrebbe comportato sugli ecosistemi. Ma la riduzione di anidride carbonica come previsto dal Protocollo di Rio produrrebbe un effetto quasi irrilevante sul clima, mentre sarebbe disastrosa sull’economia dei Paesi industrializzati che dovrebbero ridurre drasticamente la produzione.

Se l’applicazione del principio di precauzione produce più danni che benefici tanto varrebbe eliminarlo. Vi è qualche scienziato infatti che ritiene utile la cancellazione definitiva di tale principio.

Prof. Antonio Vecchia

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