Giulio Natta

Giulio Natta, nato ad Imperia il 26 febbraio 1903, è l’unico italiano a cui sia stato conferito il premio Nobel per la chimica. Laureatosi nel 1924 in ingegneria chimica presso il Politecnico di Milano insegnò prima in quella città, indi nelle Università di Pavia, Roma e Torino per tornare poi definitivamente a Milano nel 1938, dove diresse l’Istituto di chimica industriale e dove concluse la sua carriera accademica e l’attività scientifica nel 1973. Morì a Bergamo il 2 maggio 1979.

Oltre ad aver introdotto in Italia l’uso dei raggi X nello studio delle configurazioni molecolari Natta ha compiuto importanti ricerche scientifiche di strutturistica e di cinetica chimica relative a processi di sintesi organiche. La sua attività è legata soprattutto alla realizzazione di una nuova classe di polimeri come materiale per la produzione di oggetti di uso comune.

 

LE MACROMOLECOLE

I polimeri (dal greco polys che significa molto e meros che significa parte) sono molecole molto grandi formate dall’unione di numerose piccole unità che si ripetono varie volte e che vengono chiamate monomeri (dal greco mónos che significa uno solo). Il monomero può essere paragonato ad un vagone ferroviario e come un insieme di vagoni forma un lunghissimo treno, così un insieme di unità monomeriche forma un polimero; pertanto per polimero si intende una successione di monomeri saldati insieme. Però, mentre il numero di vagoni che forma un convoglio ferroviario non supera i 30 o 40 elementi, il numero di unità monomeriche di una macromolecola non ha limiti; esistono polimeri costituiti da centinaia, da migliaia e a volte anche da centinaia di migliaia di unità monomeriche.

Il mondo degli organismi viventi è pieno di molecole gigantesche contenenti migliaia e perfino milioni di atomi. Queste macromolecole a volte sono formate dalla unione di molecole più piccole, che è facile isolare dal gruppo e studiare separatamente. Dallo studio degli elementi costitutivi di grosse molecole naturali, dalle reazioni di polimerizzazione e dalle tecniche relative ai polimeri naturali si è passati alla produzione di polimeri sintetici dalle caratteristiche simili a quelle dei polimeri naturali e a volte anche migliori.

Alcune molecole giganti, come ad esempio quelle che costituiscono la cellulosa del legno o l’amido, sono composte da un unico elemento di partenza ripetuto infinite volte, altre, come le proteine, sono formate dalla giustapposizione di una ventina di elementi di base tutti differenti, ma tutti strettamente imparentati. Si tratta dei notissimi aminoacidi ed è proprio per questo motivo che le proteine sono tanto versatili e di conseguenza è tanto difficile definire la struttura delle loro molecole.

Legando fra loro i monomeri è quindi possibile formare catene lunghe teoricamente quanto si vuole. Sono molte le variabili che determinano la lunghezza del polimero: fra queste vi sono la temperatura, la pressione, la presenza o assenza di altre sostanze che possono accelerare o rallentare la reazione, e così via.

La prima molecola gigante creata dall’uomo fu un esplosivo, la nitrocellulosa, ottenuta facendo reagire la cellulosa del legno con acido nitrico, ma subito si notò che se la cellulosa veniva nitrata solo parzialmente essa era meno pericolosa da maneggiare e infatti di quel prodotto, a cui fu assegnato il nome di pirossilina, vennero trovate importanti possibilità di utilizzazione. Trattata con la canfora il chimico americano John Wesley Hyatt ottenne una sostanza che venne chiamata celluloide e che fu la prima materia plastica sintetica.

Da essa si potevano ottenere oggetti di varia forma e consistenza comprese le palle da bigliardo, per la produzione delle quali era stato istituito addirittura un premio. Si trattava di sostituire il rarissimo avorio, con una sostanza con caratteristiche simili, ma meno costosa e nel 1869 vi riuscì lo stesso chimico americano che scoprì la celluloide, e così vinse il premio.

Facendo passare la soluzione di quel prodotto attraverso fori minuscoli il chimico francese Louis Marie Hilaire Bernigaud, conte di Chardonnet (1839-1924) ottenne un filo sottilissimo che si poteva tessere e dal quale si poteva ricavare un tessuto simile alla seta cui venne dato il nome di rayon, perché era talmente lucente che sembrava emettere raggi di luce.

La formazione dei polimeri sintetici (o artificiali) può avvenire attraverso due processi distinti di reazione: l’uno detto di addizione e l’altro di condensazione. Il primo consiste nella reazione a catena di monomeri che danno luogo a polimeri formati da centinaia o migliaia di unità monomeriche. Il polietilene (o politene), una delle più comuni sostanze plastiche costituite da un insieme di lunghe catene intrecciate in modo caotico fra di loro, è un esempio di polimero ottenuto attraverso il processo di addizione.

Le catene di questa sostanza sono formate da una successione di migliaia (o milioni) di atomi di carbonio a loro volta legati ad atomi di idrogeno. Il politene è un polimero in quanto formato da un insieme di migliaia di molecole di etilene (CH2=CH2) saldate insieme attraverso legami che si formano in seguito alla rottura del doppio legame (–CH2–CH2–) della singola molecola. Il polimero viene anche detto composto macromolecolare in quanto ciascuna di queste successioni o catene può essere considerata di per sé una grandissima (in greco makrós) molecola. La parte terminale della molecola del polietilene può essere rappresentata nel modo seguente:

… –CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–CH3

     I polimeri di condensazione hanno bisogno di almeno due specie molecolari di partenza dalla cui unione si ha sempre l’eliminazione di piccole molecole (di solito acqua). Fra i polimeri di questo tipo il più conosciuto è senz’altro il nylon. I composti di partenza sono una molecola di acido adipico (HOOC–CH2–CH2–CH2–CH2–COOH) ed una di esametilendiammina (H2N–CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–NH2) entrambi a sei atomi di carbonio ragion per cui il prodotto finale si chiama più precisamente nylon 6.6. La sintesi dei due composti che rappresenta il monomero da cui deriva il polimero è la seguente:

…–HN–CH2 CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–NH–C–CH2–CH2–CH2–CH2–CH2–C– … +H2O
.                                                                                               \\                                                       \\
.                                                                                                 O                                                        O

 

LA CARRIERASCIENTIFICA DEL CHIMICO ITALIANO

I monomeri presenti nella lunga catena polimerica possono disporsi in modo del tutto casuale e disordinato oppure con un ordine preciso. Le strutture ordinate, conferendo al polimero una certa percentuale di cristallinità sono quelle tecnologicamente più utili dal punto di vista delle applicazioni pratiche.

Natta riuscì ad ottenere i primi polimeri con struttura tridimensionale ordinata al Politecnico di Milano nel 1954 usando i catalizzatori a base di titanio e alluminio scoperti poco tempo prima dal chimico tedesco Karl Ziegler (1898-1973) con il quale condivise il premio Nobel per la chimica. Partendo dal propilene, un composto facilmente ottenibile e a buon mercato, la cui formula chimica è la seguente:

CH3

.        CH=CH2

Natta ottenne un polimero con alta regolarità stereochimica, ossia con una disposizione dei radicali metilici (–CH3) ordinata e non casuale, come avveniva in precedenza, quando la reazione si svolgeva senza fare uso dei catalizzatori.

Quando i metili sono disposti tutti dalla stessa parte della catena il polimero prende il nome di isotattico (parola di origine greca che significa “uguale disposizione”) ed ha delle caratteristiche molto interessanti per le sue applicazioni pratiche. La sostanza, ad esempio, si scioglie molto difficilmente nei solventi comuni, fonde solo a temperature relativamente alte (175 °C), può essere prodotta in fibre di notevole tenacità e in pellicole trasparenti e flessibili. I radicali metilici possono disporsi anche in posizione alternativamente opposta alla catena e in tal caso i polimeri si chiamano sindiotattici. Come conseguenza di questa “stereoregolarità” le catene possono risultare strettamente ravvicinate dando luogo a materiali di elevata densità e a struttura fortemente cristallina. Di contro, qualora i radicali metilici si trovassero disposti in modo casuale dalle due parti della catena le molecole non potrebbero venire strettamente impacchettate e i polimeri, con caratteristiche molto scadenti, si chiamano atattici (ossia senza ordine, dal greco alfa privativo e táksis = ordinamento).

Il polipropilene atattico presenta una struttura che lo rende di aspetto gommoso e appiccicoso. Scartato in un primo tempo, successivamente venne utilizzato per rendere più stabile il manto d’asfalto stradale e, date le sue caratteristiche antisdrucciolo, nella posa delle moquette.

Nel 1957 la Montecatini (la principale industria chimica italiana che nel 1966 incorporò la società elettrica Edison, divenendo l’attuale Montedison) iniziò la produzione industriale del polipropilene che venne commercializzato con il nome di Moplen (da Montecatini polipropilene) e trovò applicazione nell’industria automobilistica, chimica, degli elettrodomestici, dei giocattoli, ma soprattutto dei contenitori di uso casalingo di varie forme e dimensioni. Contemporaneamente il prodotto trovava notevole impiego nella produzione di fibre tessili con il nome di Meraklon e di pellicole per imballaggi con il nome di Moplefan.

L’importanza pratica delle scoperte di Natta non fu inferiore all’interesse scientifico in quanto aprì la strada allo studio della stereochimica macromolecolare, che avrebbe condotto alla scoperta di altri tipi di ordine dei polimeri di cui la disposizione ordinata delle catene del polipropilene è solo un caso. Variando poi il numero e il tipo dei monomeri e con l’aiuto della diffrazione dei raggi X, di cui il Natta era stato il promotore, vennero scoperti altri tipi, anche complessi, di ordinamento sterico.

Data la migliore conoscenza del rapporto fra struttura molecolare e caratteristiche delle macromolecole, sono stati realizzati nuovi materiali adatti alle condizioni più estreme: le cosiddette materie plastiche da ingegneria. Esse si basano generalmente su monomeri che contengono anelli di benzene, ma che spesso contengono anche altri elementi quali ossigeno e zolfo.

Una delle materie plastiche più conosciute è il polivinilcloruro, più noto con la sigla PVC. Il suo monomero, il cloruro di vinile, è simile all’etilene nel quale un atomo di idrogeno è sostituito da un atomo di cloro (CH2=CHCl). L’atomo di cloro è più grosso di quello di idrogeno ed equivale al metile presente nel propilene. Tuttavia, dato che il cloro è chimicamente differente dal gruppo metilico, il polimero risultante presenta caratteristiche diverse da quelle del polipropilene.

Il PVC presenta una buona stabilità chimica, ma si decompone per effetto della luce e del calore per cui, durante la produzione, si devono aggiungere stabilizzanti termici e della luce. Per renderlo più lavorabile si aggiungono inoltre riempitivi come caolino e talco, lubrificanti e plastificanti. Il PVC rigido si impiega per fabbricare tubi, valvole, dischi, giocattoli e numerosi oggetti casalinghi. Il PVC flessibile si usa invece per preparare nastri adesivi, bottiglie, mastici, suole per scarpe ed altri prodotti. A proposito di bottiglie di plastica è interessante ricordare che all’inizio potevano essere stampate solo con estremità arrotondate alle quali si dovevano incollare delle basi di colore nero. Recentemente sono stati ideati metodi di stampaggio di basi quasi piatte e resistenti alle pressioni generate dalle bevande gassate.

Prof. Antonio Vecchia

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