Energie alternative

Con il termine di energie alternative (o rinnovabili) si intendono tutte quelle fonti energetiche che non derivano dai combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale). Esse fondamentalmente sono l’energia eolica, quella solare e il risparmio energetico. In verità fra le energie alternative dovrebbe essere annoverato anche il nucleare, ma raramente questa fondamentale fonte di energia viene considerata come possibile soluzione del problema energetico dai sostenitori delle tanto richieste “energie pulite”.

Analizziamo ora singolarmente le diverse fonti di energia alternativa iniziando da quella prodotta dal vento il quale si forma in seguito all’assorbimento diseguale della radiazione solare che crea nell’atmosfera zone di alta e di bassa pressione con conseguenti moti convettivi.

 

IL VENTO

Come è noto, il vento (e il Sole che lo genera) viene distribuito gratuitamente, anche se non equamente, a tutti i popoli della Terra; ma se vogliamo trarre da questa fonte naturale la forma di energia che più ci è comoda, ossia quella elettrica, dobbiamo fare i conti con i marchingegni che adoperiamo per la sua trasformazione. La possibilità di produrre elettricità sfruttando il vento è nota da molto tempo, ma la convenienza di ricavare da essa un efficace metodo di sfruttamento dipende dalla capacità di aumentare il rendimento degli impianti e di ridurne il costo. Si tratta di meccanismi che ricordano, nella loro parte esterna, i vecchi mulini a vento, mentre nella parte interna è presente un congegno che trasforma in elettricità il movimento di rotazione delle pale. L’ideale sarebbe quello di ridurre il costo di queste apparecchiature fino al punto in cui l’energia generata dal vento venisse a costare più o meno quanto quella prodotta con i metodi tradizionali.

L’energia eolica (da Eolo, il dio greco dei venti) presenta alcuni difetti in quanto i moderni mulini a vento deturperebbero il paesaggio e rappresenterebbero per i volatili un pericolo mortale che in realtà non è superiore a quello che corrono con le linee elettriche ad alta tensione ed a cui possono essere sottoposti anche altri animali per l’impatto con veicoli in movimento. In realtà pare che il difetto maggiore di queste apparecchiature rimanga comunque il rumore. Le turbine eoliche inoltre sono produttive solo se i venti cui sono esposte sono forti e regolari: questa caratteristica, tipica dei luoghi che si affacciano sull’Oceano, nel nostro Paese è presente parzialmente solo in alcune zone alpine ed appenniniche nonché sulle coste, specialmente quelle delle regioni meridionali, e nelle isole.

Fino ad oggi le cosiddette centrali o “fattorie eoliche” si sono sviluppate sulla terraferma lontano dai centri abitati, ma negli ultimi tempi è iniziato anche lo sfruttamento in mare. Al largo di Copenhagen, ad esempio, da alcuni anni è in funzione un grande parco eolico formato da venti mulini ciascuno da 2 mW (megawatt ossia milione di watt dove il watt è l’unità di misura della potenza elettrica. Il ferro da stiro ha normalmente una potenza di mille watt o 1 kilowatt e, se viene usato per due ore, consumerà due kilowattora: questa cifra, moltiplicata per il costo del kWh, è ciò che viene registrato nella bolletta della luce ed addebitato al contribuente).

Le strutture che sorreggono i mulini piazzati al largo delle coste su bassi fondali sono studiate in modo da resistere non solo alle sollecitazioni del vento, ma anche alle forze esercitate dal mare. Recentemente in Germania, seguendo l’esempio della Danimarca, è stato dato il via alla costruzione in mare della più grande centrale eolica al mondo la quale prevede la posa di 200 macchine aerogeneratrici che produrranno complessivamente 1000 mW, sufficienti per soddisfare le richieste di energia elettrica degli abitanti di una regione grande quanto il Friuli-Venezia Giulia.

L’ultima frontiera dell’energia eolica è una giostra di vele. Di recente, un gruppo di ricercatori piemontesi, sponsorizzati dal Politecnico di Torino, ha progettato un nuovo tipo di mulino a vento che costa poco e dovrebbe produrre una notevole quantità di energia elettrica. Si tratta di una specie di giostra nella quale al posto dei seggiolini sono legate delle vele che salgono fino all’altezza di 500-800 metri dove il vento è più forte e costante. Le vele sono delle specie di paracadute (realizzate con materiale leggerissimo e ultraresistente) simili a quelli che a volte si vedono collegati alle tavole da surf. Queste, gonfiandosi sotto la spinta del vento, fanno girare la giostra all’interno della quale è sistemato l’apparecchio convertitore dell’energia meccanica in energia elettrica.

Di questo particolare mulino a vento è stato realizzato solo un prototipo ma sarà difficile che vengano investite ingenti somme per produrlo in serie. Da uno studio della Cee, risulta che in Italia esiste una potenzialità teorica di 400 miliardi di kilowattora all’anno che potrebbe derivare dallo sfruttamento del vento: si tratta di una quantità maggiore degli attuali consumi di elettricità (250 miliardi di kWh/anno). Occorre peraltro precisare che una cosa è la potenzialità teorica, altra cosa è la resa media del vento che nel nostro Paese è di solo il 12% e quindi l’energia elettrica, prodotta dai pochi mulini a vento attualmente in funzione, rappresenta una frazione insignificante del totale ed è difficile che in seguito possa aumentare.

Nemmeno la Germania e la Danimarca, che vengono indicate come esempio di successo nell’impiego dell’energia eolica, se la cavano meglio. Le 16.000 turbine installate in Germania contribuiscono per meno del 5% al fabbisogno elettrico di quel Paese. Inoltre, quando il vento non soffia o è troppo debole, devono essere pronti ad entrare in funzione gli impianti convenzionali se si vogliono evitare i black out. Insomma, con l’eolico non si aggiunge capacità al sistema, ma si risparmia solo carburante convenzionale. Per quanto riguarda la Danimarca, essa è sì il primo Paese al mondo che si serve dell’eolico ma, non bastandole questo e avendo rinunciato al nucleare, fa intenso uso di carbone con la conseguenza di essere uno dei Paesi più inquinati del mondo e per rispettare il Protocollo di Kyoto dovrebbe ridurre le proprie immissioni di anidride carbonica del 12% contro una riduzione media globale del 5,5%.

 

IL SOLE

Potrebbe essere l’energia solare la soluzione del problema? Vediamo.

L’energia solare è ogni tipo di energia che viene estratta dalla luce e dal calore del Sole in modo che gli uomini possano sfruttarla per le loro esigenze. Questo obiettivo ad esempio si può raggiungere riscaldando l’acqua (o altri liquidi) mediante specchi che concentrino su di essa i raggi del Sole, oppure sfruttando l’effetto fotovoltaico con il quale si produce elettricità direttamente.

I pannelli solari (da non confondersi con i pannelli fotovoltaici di cui si parlerà in seguito) producono calore a bassa temperatura: e questa è una forma di energia che non può essere né immagazzinata né trasportata. Essa tuttavia può essere utilizzata per riscaldare l’acqua ad uso domestico consentendo di ottenere un risparmio di energia elettrica che viene consumata in scaldabagni, lavatrici e altre apparecchiature che funzionano con l’energia elettrica la quale è prodotta, non dimentichiamolo, mediante l’uso dei combustibili fossili non rinnovabili e inquinanti.

Nonostante il nostro sia un Paese molto soleggiato, la superficie attrezzata a pannelli solari è otto volte meno estesa della piccola e fredda Austria e 13 volte inferiore a quella della Grecia. Altra assurdità è che buona parte degli impianti della nostra penisola siano localizzati in Alto Adige invece che nel più soleggiato Mezzogiorno dove l’acqua calda delle docce degli stabilimenti balneari è spesso ottenuta bruciando gas.

Veniamo ora all’effetto fotovoltaico che consiste nella conversione di luce di determinata frequenza in corrente elettrica e fu scoperto nel 1839 dal fisico francese Antoine-César Becquerel. Alcuni anni più tardi fu osservato un fenomeno simile, l’effetto fotoelettrico, che consiste nella capacità della luce di estrarre elettroni dagli atomi di alcuni metalli ma, come il primo, anche questo secondo fenomeno rimase a lungo incompreso. Si deve al genio di Albert Einstein (1879-1955) averne dato spiegazione, tanto che proprio per questa scoperta (e non per le più famose teorie relativistiche) egli ricevette il premio Nobel.

Il fisico Carlo Rubbia, presidente dell’Enea (Ente Nazionale per lo sviluppo dell’Energia nucleare e delle energie Alternative), ha calcolato che se si coprisse con impianti solari anche solo un quinto dei palazzi del nostro Paese, si produrrebbe l’intero fabbisogno nazionale di energia elettrica. I tetti fotovoltaici, come sono chiamati questi piccoli generatori locali di elettricità, avrebbero il vantaggio di non sottrarre superficie al verde e all’agricoltura e di versare in rete elettricità vicino al luogo in cui essa verrebbe consumata, limitando in questo modo anche le perdite dovute al trasporto a distanza. Dal momento che l’utilizzo dell’effetto fotoelettrico è limitato dalla presenza del Sole, che però alla sera tramonta, a volte è coperto dalle nuvole, ed inoltre, nella stagione invernale, invia una luce meno intensa che in piena estate, sorge il problema relativo allo sfasamento fra produzione e richiesta. Per ovviare a questa lacuna sono possibili due opzioni di cui la prima è ricorrere a batterie che accumulino l’energia eccedente finché splende il Sole e poi la restituiscano quando necessario, ma ciò aumenterebbe i costi di tutto il sistema; la seconda possibilità sarebbe quella di mandare il surplus in rete e poi la Compagnia per l’elettricità lo restituirebbe quando ce ne fosse bisogno.

Oggi si producono materiali da copertura tetti che sono fotovoltaici ma di aspetto gradevole anche se molto cari: bisogna però tener conto che dal loro costo andrebbe dedotto quello dei materiali convenzionali che sostituiscono. Edifici con tetti fotovoltaici si stanno diffondendo in molti paesi del mondo come Olanda, Germania, Svizzera, Giappone e Australia ma in Italia poco o niente si fa in questo senso.

Quando per produrre energia elettrica facciamo ruotare le turbine con un flusso di acqua che cade entro condotte forzate, recuperiamo il lavoro prodotto dal Sole che fa evaporare quell’acqua dal suolo e la porta all’altezza da cui precipita dopo essersi raccolta dietro una diga in alta montagna.

Anche l’energia che traiamo dai nostri cibi, vegetali o animali, ha origine nel Sole, che produce la fotosintesi: un processo che permette alle piante di immagazzinare energia. Questo fondamentale processo biochimico si svolge da che il mondo esiste e quando bruciamo carbone, petrolio o gas naturale non facciamo altro che recuperare energia solare che era stata immagazzinata molti milioni di anni fa entro organismi viventi.

Attualmente il Sole produce la cosiddetta biomassa (legna da ardere principalmente, ma anche altri prodotti che possono venire trattati in modo da generare combustibili di varia natura). Il cosiddetto bio-diesel ad esempio è un combustibile che si ottiene dall’olio di colza, di arachidi o altre piante. Con questo prodotto si alimentano i taxi di Amburgo, ma anche altri veicoli nel mondo. Chimicamente il bio-diesel è un estere ovvero un composto formato dall’unione di un acido organico con un alcol, mentre l’altro carburante, il bio-etanolo, è un alcol di cui si fa largo uso in Brasile, dove lo si ottiene dalla canna da zucchero, mescolato alla benzina.

Ci fu un tempo in cui l’energia usata dall’uomo era interamente ed esclusivamente energia solare. Questo tempo abbraccia tutta la storia dell’umanità e si conclude circa 200 anni fa quando il contributo diretto del Sole all’energia usata dall’uomo è progressivamente diminuito. Quella solare, pertanto, più che energia del futuro deve essere considerata energia del passato.

 

IL RISPARMIO

Dopo il black out del 28 settembre 2003, e anche più di recente, molti ministri e parlamentari del nostro Paese hanno dichiarato che era necessaria la costruzione di nuove centrali, ivi comprese quelle nucleari. Stranamente nessuno ha detto che sarebbe più saggio risparmiare energia elettrica e petrolio. Ma ha senso risparmiare?

Prima di rispondere a questa domanda è opportuno chiarire il significato da dare al verbo “risparmiare”. Se per risparmio energetico si intende non sprecare elettricità per esempio usando lampadine a basso consumo o spegnendo la luce quando si esce da una stanza dove non rimane nessuno, allora in questo senso risparmiare è un bene perché significa pagare una bolletta meno cara a fine mese. Altra cosa sarebbe invece risparmiare energia in un contesto di politica energetica in cui il risparmio avrebbe un senso anche se l’energia fosse gratis.

È evidente che, se le riserve di un bene fossero infinite, risparmiare non sarebbe di alcuna necessità (se non, come abbiamo detto, per la spesa). Ad esempio l’energia nucleare (soprattutto quella di fusione, che fra l’altro non è nemmeno inquinante), è una fonte energetica praticamente inesauribile e di conseguenza risparmiarla sarebbe del tutto superfluo.

Discorso diverso ovviamente sarebbe se le riserve energetiche fossero finite. Ad esempio il petrolio fra alcuni anni si sarà esaurito quindi risparmiarlo significherebbe poterlo utilizzare più a lungo. Quanto più a lungo? Dieci anni, cinquant’anni? Poco cambia: il petrolio prima o poi si esaurirà. Il risparmio avrebbe quindi un senso solo se il bene di cui si dispone fosse poco ma costante nel tempo. L’energia che ci proviene dal Sole ad esempio, è una fonte diluita ma costante che, se diventasse l’unica disponibile, come fu in passato, allora il risparmio avrebbe un senso: si dovrebbe bruciare il legno delle foreste con parsimonia o non sottrarre troppo terreno alle culture alimentari per produrre piante da convertire in bio-etanolo o bio-disel. Dovremo anche far scendere l’acqua dai bacini idroelettrici meno velocemente di quanto cresce il livello per l’apporto delle piogge in modo da non prosciugarli. Fino a quando la scienza e la tecnologia non avranno trovato il sistema per creare energia attraverso la fusione nucleare e l’uso più intenso dell’energia solare, il risparmio deve essere considerato anch’esso una fonte di energia.

In definitiva, se per risparmio energetico si intende consumare meno energia, in realtà si tratta di un risparmio di denaro conseguenza di una bolletta meno cara. Risparmiare sul consumo di una fonte di energia non rinnovabile come il petrolio, il metano e il carbone, significa semplicemente rimandare la loro fine che in tutti i casi prima o poi avverrà.

Se invece l’energia derivasse da una fonte inesauribile come è quella del Sole, che fino a due o tre secoli fa era praticamente l’unica fonte di cui l’uomo disponeva, allora il risparmio energetico non avrebbe senso. Il Sole, dispensatore inesauribile di energia, attraverso la fotosintesi crea materiale organico come ad esempio il legno che può essere utilizzato come combustibile, ovvero trasporta l’acqua dal mare in cima alle montagne il cui ritorno di essa al mare per gravità può essere sfruttato per ricavare energia, o ancora, modificando la pressione atmosferica, crea i venti che possono anch’essi generare energia.

 

ALTRE FONTI ENERGETICHE

Non tutte le forme potenzialmente fruibili di energia rinnovabile sono di origine solare. A parte quella nucleare (di fissione e di fusione), esiste quella geotermica, quella gravitazionale dell’interazione Terra-Luna che provoca le maree e perfino quella che si può ricavare dalla spazzatura.

L’energia geotermica ha teoricamente un potenziale enorme legato al fatto che la temperatura della crosta terrestre aumenta in media di 3 °C ogni cento metri di profondità e il calore irradiato verso lo spazio esterno è infatti pari a circa quattro volte il consumo mondiale di energia. Le manifestazioni più evidenti di questa forma di energia sono i fenomeni vulcanici primari e secondari e la dinamica delle zolle crostali che determina i terremoti; tuttavia le quantità enormi di energia che mettono in gioco questi fenomeni endogeni non sono utilizzabili direttamente. Il calore del sottosuolo che si può sfruttare a fini pratici è limitato a pochissime aree geografiche come quella dell’Islanda dove è particolarmente diffuso l’impiego di energia geotermica per il riscaldamento: il calore dell’interno della Terra, trasferito in superficie, viene impiegato per riscaldare a temperatura relativamente bassa dell’acqua che poi viene fatta circolare nei termosifoni.

Il vapore in pressione proveniente dal sottosuolo viene anche utilizzato per la produzione di energia elettrica e il nostro Paese è stato antesignano nello sfruttamento di questo tipo di energia: il primo campo geotermico del mondo destinato alla produzione di energia elettrica si trova a Larderello, in Toscana, dove esce dal sottosuolo del vapore ad alta temperatura che attiva turbine e generatori tradizionali, i quali sono in funzione dai primi anni dello scorso secolo. La produzione è di un paio di miliardi di kilowattora annui, una quantità tuttavia modesta dei consumi totali.

Anche le maree offrono ottime possibilità di produzione di energia elettrica ma solo il 2% della potenza disponibile risulta tecnicamente utilizzabile. Gli impianti sono costituiti da una barriera posizionata su di un estuario che cattura l’acqua durante l’alta marea e la rilascia nel periodo di bassa marea in modo da azionare le turbine elettriche. Le correnti di marea sono periodiche e reversibili, ma si producono in aree circoscritte. In Italia, ad esempio, nello stretto di Messina la velocità dell’acqua raggiunge anche alcuni metri al secondo e sarebbe una discreta fonte di energia, ma non è utilizzata.

Si è tentato anche di sfruttare il moto ondoso per ottenere energia elettrica installando “pale marine” simili a quelle eoliche che si muovono sotto l’azione delle onde. I primi impianti sono stati realizzati nel Mare del Nord ma i progetti sono molti e distribuiti in varie parti del mondo. L’impatto visivo è nullo perché si tratta di impianti sottomarini ma i costi di manutenzione di dispositivi perennemente immersi in acqua salata non sono trascurabili.

Attualmente è possibile trasformare le montagne di spazzatura, che i Paesi più progrediti producono in grande quantità, in una fonte energetica. Nessuno vorrebbe vicino casa un inceneritore di rifiuti da cui escono fumi che contengono centinaia di composti diversi sotto forma di polveri sottili responsabili di malattie all’apparato respiratorio e gas tossici di ogni genere compresa la famigerata diossina, che si pensa possa svolgere un ruolo nella insorgenza di tumori. Oggi, con le recenti rigorose norme per il controllo dei fumi, non c’è più motivo di demonizzare gli inceneritori che possono diventare una nuova fonte energetica in grado di produrre elettricità e calore con i cosiddetti termovalorizzatori, sistemi non più inquinanti di una qualsiasi centrale elettrica.

A prescindere da questa opportunità vantaggiosa, le montagne di immondizia generano anche gas, o meglio biogas che si forma dalla decomposizione della parte organica dei rifiuti. Questi gas possono essere recuperati perforando la collina con tubi di acciaio e fatti bruciare in appositi dispositivi per la produzione di energia elettrica.

 

L’IDROGENO

Infine è opportuno spendere qualche parola sull’idrogeno che sembra rappresentare la soluzione energetica ideale soprattutto per quanto riguarda il problema dell’inquinamento ambientale. L’idrogeno utilizzabile per avere energia è un gas di formula H2 il quale, quando brucia, ossia quando reagisce con l’ossigeno, oltre ad energia produce solo acqua. Ma l’idrogeno non è una fonte energetica in quanto non esistono giacimenti da cui lo si possa ricavare. Esso esiste invece in grande quantità combinato con altri elementi: per esempio, legato all’ossigeno, è presente nell’acqua e, legato al carbonio, negli idrocarburi fossili; quindi, se si volesse liberare questo elemento da quelli con cui è legato, bisognerebbe spendere una certa quantità di energia.

Questo elemento, come abbiamo visto, non esiste sulla Terra allo stato libero, ma qualcuno potrebbe obiettare che nemmeno l’elettricità esiste già bella e pronta. Tale considerazione è giusta però, mentre l’elettricità può essere prodotta utilizzando una fonte di energia già disponibile, per produrre energia utilizzando l’idrogeno bisognerebbe prima produrre l’idrogeno stesso, ma per fare ciò si dovrebbe consumare energia. Sarebbe come portare l’acqua dal mare in alta montagna per poi creare energia idroelettrica: un circolo vizioso che andrebbe contro i più elementari principi della termodinamica. A parte l’inquinamento esiste un altro motivo per il quale risulta conveniente la produzione di idrogeno da utilizzare come fonte di energia elettrica ed esso è legato al fatto che l’energia elettrica non può essere immagazzinata ma deve essere consumata subito dopo essere stata prodotta. L’idrogeno serve proprio per conservare e trasportare l’energia.

Attualmente l’idrogeno viene estratto dal metano e dal carbone attraverso un processo detto reforming che consiste nel far reagire questi prodotti con vapore acqueo ad alta temperatura su di un catalizzatore che cattura gli atomi di idrogeno. Il prodotto di scarto di questa reazione è l’anidride carbonica, il principale responsabile dell’inquinamento atmosferico.

L’alternativa ecologica è l’elettrolisi, il processo che utilizza una piccola quantità di corrente elettrica per dividere l’acqua nei suoi costituenti, idrogeno e ossigeno, senza produrre scarti inquinanti. La reazione contraria all’elettrolisi avviene all’interno delle cosiddette “celle a combustibile” (o fuel cell) dove idrogeno e ossigeno si combinano insieme e si ottiene direttamente elettricità e naturalmente acqua.

L’idrogeno sarebbe un buon carburante per le automobili se non causasse seri problemi per il trasporto: questo gas è infatti infiammabile ed esplosivo. Tutti noi abbiamo sentito parlare dell’incidente occorso al dirigibile gonfiato con l’idrogeno che nel maggio del 1937, colpito da un fulmine, si incendiò e cadde causando la morte di tutti i passeggeri che trasportava. Nella automobile l’idrogeno dovrebbe essere contenuto in una bombola ad alta pressione molto più pericolosa di un serbatoio pieno di benzina oppure portato a temperature molto basse affinché fosse ridotto allo stato liquido ma, in questo caso, dovrebbe essere spesa altra energia per mantenere bassa la temperatura quando l’elemento non reagisce.

 

CONCLUSIONI

Attualmente nel mondo si consuma complessivamente l’equivalente di 170 milioni di barili di petrolio al giorno, ovvero 10 miliardi di tonnellate all’anno. La tonnellata equivalente di petrolio (o tep) è l’energia termica sviluppata dalla combustione completa di una tonnellata di petrolio ed equivale a 7,5 barili di quel prodotto. Le fonti energetiche consumate nel mondo sono così suddivise: 35% è petrolio; 24% carbone; 21% gas naturale; 11% biomasse (inclusa la legna); 6% energia nucleare; 2% energia idroelettrica; e infine non più dell’1% fra eolico, fotovoltaico e geotermico. Quindi, come si può vedere, circa l’80% dell’energia che si consuma nel mondo proviene dai combustibili fossili.

Il petrolio è il più scarso fra questi (con i consumi attuali ve ne sarà ancora per 40 anni), mentre il più abbondante è il carbone e per questo motivo si è pensato che sarebbe opportuno estrarre l’idrogeno da questa fonte usando una tecnologia che consenta la sistemazione dell’anidride carbonica prodotta dall’operazione in luoghi dove non entri in contatto con l’atmosfera. Per questo scopo si potrebbero utilizzare grossi serbatoi sotterranei, come giacimenti petroliferi o di metano esausti, in modo che questi gas non possano risalire in superficie. Frattanto la scienza è impegnata nella ricerca di un metodo economicamente vantaggioso per produrre idrogeno per elettrolisi dell’acqua sfruttando le fonti di energia pulita: idroelettrica, eolica e solare. Una volta trovata la tecnologia adatta anche l’idrogeno sarà una fonte di energia pulita.

Le risorse energetiche del nostro pianeta, come abbiamo visto, si possono dividere in due categorie: 1. quelle limitate che provengono dall’interno della Terra (combustibili fossili, uranio e calore) e 2. quelle abbondanti e immutabili nel tempo ma molto diluite e di difficile conversione in forme utili all’uomo, che hanno origine nel Sole.

Con la scoperta e l’utilizzazione dei combustibili fossili, una parte degli abitanti della Terra è riuscita a creare una civiltà tecnologica che non potrà continuare a svilupparsi in futuro a causa della limitatezza delle risorse energetiche su cui si è fondata e soprattutto per i danni che queste risorse hanno creato (e sempre più creeranno) all’ambiente. Se vogliamo assicurare un avvenire a questo tipo di società, sarebbe indispensabile progettare al più presto la transizione dalle fonti di energia non rinnovabili verso quelle rinnovabili.

Le tecnologie per l’utilizzazione delle energie alternative (soprattutto l’eolica e la fotovoltaica) si stanno sviluppando lentamente e gradualmente in diversi Paesi del mondo ma non in Italia, che pure sarebbe una Nazione avvantaggiata geograficamente.

Bisogna riconoscere che al momento nessuna delle energie alternative è in grado di fornire energia a costi competitivi con quella ottenibile dai combustibili fossili; però se si tenesse conto dei danni procurati alla salute umana e all’ambiente da queste fonti di energia, i costi sarebbero molto più elevati e a quel punto diventerebbe economico il ricorso ai generatori eolici e alle celle fotovoltaiche il cui utilizzo potrebbe definitivamente decollare.

Attualmente l’Italia importa l’83% dell’energia che si consuma di cui il 54% è petrolio, il 30% metano, l’8% carbone e il 7% elettricità (prodotta soprattutto dalle centrali nucleari francesi, ma anche svizzere e slovene). E le fonti rinnovabili? Siamo molto indietro nello sviluppo delle energie alternative, nonostante per molti anni la bolletta della luce abbia previsto una maggiorazione, a carico dell’utente; la quale avrebbe dovuto andare a sostegno di queste fonti energetiche. In quella normativa, alla dizione “fonti rinnovabili” venne aggiunto “o assimilate” e così, con una semplice e apparentemente insignificante appendice quei denari (decine di milioni di euro) invece che alle rinnovabili vere sono andati ad incrementare l’uso di energie inquinanti, a tutto beneficio dei petrolieri.

Prof. Antonio Vecchia

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