La relatività del tempo

Per valutare un intervallo di tempo è necessario applicare le formule contenute nella relatività di Einstein o è sufficiente una semplice operazione che prevede la divisione fra il tratto di strada percorso e la velocità mantenuta lungo il tragitto? Calcoliamo, per fare un esempio, la durata di un viaggio in treno da Trieste a Taranto e supponiamo che il treno mantenga la velocità di 100 km/h per tutto il percorso. Se la distanza fra le due cit­tà fosse esattamente di 1000 kilo­metri (in realtà è un po’ maggiore) e fossimo partiti alle 8 del mattino saremmo giunti a desti­nazione alle 6 di sera. Il viaggio sarebbe quindi durato esattamente dieci ore.

In realtà, per il viaggiatore il trasferimento è durato un po’ meno di dieci ore, ma la diffe­renza, calcolata applicando le formule della Teoria della Relatività Ristretta di Einstein, è di solo alcuni decimi di miliardesimi di secondo. Nessun orologio è in grado di valutare una frazio­ne tanto piccola di tempo. È facile comprendere che se le velocità in gioco sono piccole quel calcolo è del tutto inutile. Viceversa, se le velocità fossero notevoli, confronta­bili con quella della luce, quel calcolo diventerebbe indispensabile e le differenze di tempo non sarebbero più dell’ordine di miliardesimi di secondo, ma molto maggiori.

VIAGGIO NEL COSMO

Immaginiamo pertanto, in uno esperimento mentale, un passeggero a bordo di un’a­stronave diretta verso un pianeta che gira intorno ad un Sole simile al nostro che si trova a cento anni luce dalla Terra. L’astronave viaggia alla velocità della luce pari a 300.000 kilo­metri al secon­do, anzi in verità un po’ meno, in quanto nessun corpo materiale, come ve­dremo meglio, può viaggiare esattamente alla velocità della luce. Le astronavi esistenti al giorno d’oggi riescono a malapena a toccare i 30 kilometri al secondo (100.000 Km/h), e senza uomini a bordo. Esse sono quindi diecimila volte più lente della velocità massima raggiungibile che è, come abbiamo detto, di 300.000 km/s, pari a circa un miliardo di kilo­metri all’ora.

C’è chi pensa che un giorno, non molto lontano, l’uomo possa raggiungere la velocità della luce. Tale convinzione deriva dal fatto che solo centocinquanta anni fa il mezzo di trasporto più veloce era il treno con i suoi 100 Km/h (30 metri al secondo), mille volte di meno rispetto alla velocità a cui possiamo viaggiare attualmente e quindi perché non dovrebbe essere possibile aumentare la velocità attuale di solo un altro migliaio di volte? Vi sembra corretto il ragionamento?

Immaginiamo che chi resta a terra rimanga in contatto con l’astronauta diretto verso il pianeta lontano attraverso un videotelefono. A mano a mano che l’astronave si allontana i segnali video pur viaggiando alla velocità della luce impiegano ovviamente un tempo sem­pre maggiore a raggiungere la Terra. Immaginiamo anche di seguire il viaggio del nostro veicolo spaziale per mezzo di un telescopio molto potente che permette di vederlo allonta­narsi. All’inizio tutto appare normale e viaggiare su un’astronave a parte la velocità non sembra poi tanto diverso da un viaggio in treno. Ad un certo punto succede però qualche cosa di strano e ina­spettato.

L’astronave, vista dalla Terra, comincia a contrarsi ovvero a diventare sempre più corta fino a ridursi ad una lamina sottile. Nello stesso tempo si nota che, sempre osservando dalla Terra, l’orologio appeso alla parete interna del­la navetta rallenta, le sfere cioè girano più lentamente. La cosa strana è che l’orologio che sta sulla Terra procede regolarmente, ma anche quello sull’astronave non mostra variazioni, se viene osservato dal passeggero che sta a bordo. Frattanto si nota che l’astronave ha delle diffi­coltà a procedere sempre più velocemente. Più ci si avvicina alla velocità massima più energia deve consumare il motore per accelerare ulteriormente il veicolo. Il motivo è che il mezzo di trasporto diventa sempre più pesante a mano a mano che la velocità aumenta. Detto per inciso questa è la causa per la quale nessun mezzo può raggiungere la velocità della luce: a quella velocità il suo peso diventerebbe infinito e infinita dovrebbe essere l’energia ne­cessaria per spin­gerlo, ma nell’Universo non c’è energia infinita.

Secondo la teoria della relatività, tutto ciò che si sposta a una velocità prossima a quella del­la luce si accorcia, diventa più pesante e subisce un rallentamento del tempo. Esiste la prova di tutto ciò o dob­biamo fidarci della teoria? Si potrebbe pensare che velocità così vi­cine a quella della luce siano attualmente irraggiungibili trasformando in pia illusione qual­siasi tentativo di verifica sperimentale. Ma non è così. I fisici hanno costruito grandi mac­chine in grado di accelerare atomi, elettroni ed altre particelle elementari fin quasi alla ve­locità della luce. La più poten­te di queste macchine è il Large Hadron Collider (LHC) il grande ac­celeratore di 27 kilome­tri di circonferenza costruito dal CERN (Centro Europeo per la Ricer­ca Nucleare) 100 metri sotto terra alla frontiera franco-svizzera ed entrato in funzione nel 2009. Ciò che i fisici hanno osservato in queste macchine dimostra che Ein­stein aveva ra­gione. La dilata­zione del tempo in particolare è stata verificata, oltre che ne­gli acceleratori di particelle, an­che nel comportamento dei raggi cosmici, che sono flussi di particelle ad alta energia provenienti dallo spazio che sottopongono la Terra ad un bombardamento inces­sante.

I raggi cosmici sono il prodotto, ad esempio, della morte di stelle molto massive che terminano la loro esistenza esplodendo e proiettando nello spazio particelle di ogni genere a grandissi­ma velocità. Il fenomeno, peraltro molto raro, si chiama di supernova perché in quella cir­costanza appare in cielo una stella molto luminosa che un tempo si pensava trattarsi di una nuova stella. Alcune delle particelle molto energetiche generate dall’esplosione rag­giungono il nostro pianeta ed entrano in collisione con i nuclei degli atomi presenti negli strati su­periori dell’atmosfera disintegrandoli e generando una pioggia di frammenti suba­tomici che si riversano a terra.

La maggior parte dei frammenti ha una vita molto breve che si disintegra molto prima di raggiungere la superficie terrestre. Fra questi vi è però un tipo che sopravvive abbastanza a lungo da giungere al suolo e venire registrato dai contatori Geiger. Si tratta dei “mesoni mu” (o muoni); mesoni perché di peso intermedio fra quello dell’elettrone e quello del pro­tone e mu (μ) per distinguerli da altri simili. Si tratta di particelle molto instabili con una vita media di soli 2 microsecondi: un tempo nel quale, qualora procedessero alla velocità della luce, potrebbero percorrere solo 600 metri. Ma allora come fanno queste particelle a vivere abbastanza a lungo per attraversare i 20 kilometri di spessore dell’atmosfera terre­stre e giungere fino al suolo? Evidentemente, viaggiando a grandi velocità, il tempo per loro si al­lunga.

Naturalmente, per gli scettici qualche clic di contatore Geiger generato da particelle elementari inaccessibili direttamente ai nostri sensi non è sufficiente per convincerli della dilatazione del tempo. Serve qualche cosa di più prossimo alla nostra esperienza quotidia­na. Se il tempo realmente si dilata viaggiando a grandi velocità, dicono gli scettici, mostra­telo su orologi reali e non su particelle invisibili. Ebbene nell’ottobre del 1971 è stato effet­tivamente realizzato da due fisici americani un esperimento di questo tipo. Essi imbarcaro­no su al­cuni jet di linea degli orologi atomici ad altissima precisione. Quattro di questi oro­logi sono stati posti su un aereo che volava verso est e altrettanti su un aereo che volava verso ovest. Al termine del viaggio si è confrontata l’ora segnata dagli orologi che avevano volato con quella di orologi dello stesso tipo rimasti a terra, osservando le differenze pro­prio nelle pro­porzioni previste da Einstein. Poiché la velocità tipica di un aereo di linea è in­feriore a un milionesimo della velocità della luce (1.000 km/h contro 1.000.000.000 di km/h) le diffe­renze in gioco sono piccolissime, dell’ordine di un milionesimo di secondo per giorno di volo. Si è constatato che gli orologi che hanno viaggiato verso est avevano 59 nanosecondi (miliardesimi di secondo) di ritardo rispetto a quelli rimasti al suolo, mentre quelli in viaggio verso ovest avevano guadagnato 273 nanosecondi. La ragione della diffe­renza fra est e ovest è che, come Einstein aveva anticipato, anche la rotazione terrestre produce una dilatazione temporale. Dopo aver eliminato l’effetto dovuto alla rotazione del­la Terra, la dilatazione temporale prodotta dal moto degli aerei confermava la formula di Einstein.

Viaggiando ad una velocità di poco inferiore a quella della luce il viaggio verso il pianeta simile alla Terra che si trova a cento anni luce in prossimità di una stella simile al Sole si sarebbe potuto concludere, per gli astronauti, anche solo in un paio di mesi. Se dopo poco essere arrivato a destinazione il nostro astronauta avesse giudicato poco confortevole il nuovo ambiente e deciso di ritornare a casa, viaggiando alla stessa velocità dell’andata sarebbe ritornato sulla Terra per Natale. Natale sì, ma di quale anno? Per l’astronauta il Natale apparterrebbe allo stesso anno in cui egli partì per l’avventura cosmica. In realtà sul nostro pianeta, da quando è partito il nostro temerario viaggiatore cosmico, sono passati 200 anni e ormai non è più rimasto nessuno dei parenti e degli amici che aveva salutato alla partenza.

IL PARADOSSO DEI GEMELLI

Una volta deciso che l’effetto di dilatazione temporale è reale, si può credere che ciò possa essere dimostrato anche dai raggi cosmici e altre particelle ad alta velocità. Gli esperimenti non lasciano ombra di dubbio: gli orologi sono influenzati dal moto, ma i fisici insistono nel dire che con le alte velocità è il tempo ad essere dilatato. In verità per i fisici il tempo è ciò che viene misurato con l’orologio. Naturalmente dobbiamo supporre che tutti gli orologi siano influenzati dal tempo nello stesso modo.

Facciamo un altro esperimento ideale e immaginaniamo due orologi: tic e tac, ognuno al polso di due persone in moto relativo, l’una ferma a terra e l’altra in viaggio su un’astrona­ve. L’uomo fermo a terra vede l’orologio al polso del collega che si sta allontanando a grande velocità rallentare a causa della dilatazione temporale. Ma l’astronauta nella navet­ta vede l’orologio del collega che è rimasto a terra a sua volta allontanarsi e quindi rallen­tare. Ogni osservatore, dunque, vede rallentare l’orologio dell’altro. Sembra un paradosso. Se tic rallenta deve rimanere indietro rispetto a tac. Ma se è tac a rallentare tic deve guada­gnare su tac. Come è possibile che tic sia, simultaneamente, indietro e avanti rispetto a tac? Questo problema è indicato come il “paradosso dei gemelli”, per il modo in cui viene formulato.

Per chiarirci le idee immaginiamo allora due gemelli, Toni e Bepi, con quest’ultimo che parte su una navetta spaziale che viaggia ad una velocità prossima a quella della luce e ritorna sulla Terra dopo alcuni anni. Toni frattanto non si muove. Visto da Terra è il tempo di Bepi ad essere rallentato quindi al suo ritorno Bepi dovrebbe trovare Toni più vecchio di lui. Ma, vista dall’astronave, è la Terra che si sta allontanando, perciò è il tempo di Toni a essere rallentato e, tornando indietro, Bepi dovrebbe scoprire di essere lui il più vecchio. Comunque sia, non è possibile che entrambe le spiegazioni siano corrette: quando i due gemelli si ritrovano Bepi può essere più giovane o più vecchio di Toni, ma non le due cose insieme. Da qui il paradosso, ossia la conclusione contraddittoria dell’evento.

In realtà non c’è alcun paradosso in quanto le due prospettive, quella di Toni e quella di Bepi non sono simmetriche: per compiere il suo viaggio Bepi in partenza deve accelera­re, viaggiare a velocità costante per un certo tratto quindi fermarsi, girarsi, accelerare di nuovo, viaggiare ancora per un po’ a velocità costante e quindi atterrare nel luogo da dove era partito. Toni invece rimane a terra e non si muove. Le manovre compiute dai due ge­melli non sono quindi le stesse e pertanto ad esse non può essere applicato il principio di relatività. L’effetto dei gemelli non più tali dopo il viaggio di uno di loro è reale e dipende dal viaggio nello spazio.

Supponiamo che Bepi decida di partire a giugno del 2015 e che il ritorno sia previsto per la primavera del 2035. Il viaggio durerà quindi venti anni e Toni al ritorno del fra­tello avrà venti anni di più. Bepi invece, se avesse viaggiato alla velocità dell’80% della ve­locità della luce, cioè a 240.000 km/s, ritornerà a casa dopo solo 12 anni. Bepi ritornerà nell’an­no 2035 avendo effettivamente vissuto 12 anni ed essendo invecchiato di solo 12 anni. In­dubbiamente rimarrà sorpreso del fatto che venti anni terrestri per lui sono durati solo do­dici, ma l’invecchiamento del fratello glielo confermerà. Il problema è dunque che per Toni venti anni separano i due eventi mentre per Bepi gli anni sono dodici. Non c’è contraddi­zione in questo: bisogna solo accettare il fatto che per osservatori diversi trascorrono fra gli stessi eventi intervalli di tempo diversi.

Se invece che viaggiare all’80% della velocità della luce Bepi decidesse di viaggiare ad una velocità pari all’86% di quella della luce i venti anni verrebbero compressi in dieci. Per ridurre la durata del viaggio a soli due anni la navetta spaziale che trasporta Bepi dovrebbe raggiungere il 99,5% della velocità della luce. Il viaggio potrebbe durare anche solo poche ore se la velocità dell’astronave fosse del 99,9999999…% della velocità della luce.

Per completezza di informazione è necessario fare un cenno alle distanze. Si ricorderà che viaggiando a grandi velocità il mezzo si accorcia, diventa più pesante e subisce un rallentamento del tempo. Non solo il mezzo si accorcia, ma anche la distanza fra la Terra e il pianeta lontano si contrae dello stesso fattore di cui il tempo si dilata. L’astronauta non dovrà quindi percorrere la distanza misurata da terra, ma una minore ed è questo il motivo per cui il suo viaggio durerà meno del previsto.

Prof. Antonio Vecchia

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