La radiazione di 3k

Molte delle grandi scoperte scientifiche sono avvenute per caso: così è stato anche per la cosiddetta radiazione di fondo a 3 K (o radiazione fossile a microonde), individuata nel 1965 da due fisici americani della Bell Telephone Company (la società privata dei telefoni). A proposito di questa scoperta è doveroso rammentare il fatto che, a differenza di quanto avviene in Europa, negli USA le industrie impegnano notevoli capitali nella ricerca di base, anche se questa non ha stretti rapporti con le merci prodotte dalla stessa industria.

La società dei telefoni americana agli inizi degli anni sessanta aveva ingaggiato due giovani fisici, Arno Allan Penzias e Robert Woodrow Wilson, con il compito di rendere operativa una grande antenna “a corno” per la ricezione di onde radio provenienti dal primo satellite per telecomunicazioni messo in orbita intorno alla Terra, l’Echo. Si trattava, in particolare, di studiare la sensibilità dello specchio e del ricevitore di questa antenna, la quale stranamente produceva un fastidioso ronzio che i due ricercatori, in un primo momento, pensarono fosse dovuto alla presenza in zona di qualche radio trasmittente. Il ronzio era causato da onde elettromagnetiche della lunghezza di 7,35 cm, ma le ricerche accertarono che nei dintorni non vi era alcuna trasmittente che operasse su quella lunghezza d’onda. Inoltre, poiché la radiazione era del tutto analoga a quella emessa da un corpo freddo, si pensò anche di rimuovere i rifiuti organici che alcuni piccioni avevano depositato all’interno dell’antenna in cui avevano trovato dimora, perché potevano essere proprio quegli escrementi a produrre il fruscio indesiderato.

Il ronzio di fondo, nonostante tutte le ricerche delle cause e i tentativi di eliminarlo, rimaneva ed era del tutto indipendente dall’orientazione dell’antenna: proveniva cioè da tutte le direzioni e con la stessa intensità. I due giovani radioastronomi, incuriositi e interessati al fenomeno, ne parlarono con alcuni colleghi che li consigliarono di rivolgersi alla vicina Università di Princeton dove si trovavano due fisici, Robert Dicke e James Peebles i quali stavano progettando una strumentazione adeguata per tentare di captare una radiazione che, secondo le previsioni dell’astronomo George Gamow, avrebbe dovuto permeare di sé tutto l’Universo.

Gamow è lo scienziato che nel 1948 aveva avanzato l’idea che l’Universo fosse il risultato di una tremenda esplosione (il notissimo Big Bang) la quale, come tutte le esplosioni, oltre a lanciare materia tutto intorno, avrebbe anche generato grandi quantità di energia. Secondo questo modello la palla di fuoco primordiale, costituita da una miscela di radiazione e materia ad altissima temperatura, iniziò ad espandersi e, insieme con l’espansione, si dilatò anche la radiazione elettromagnetica, la quale, come vedremo meglio, è contraddistinta da onde di diversa lunghezza a seconda dell’energia che trasporta. Le onde elettromagnetiche che caratterizzavano la radiazione dell’Universo nei suoi primi istanti di vita dovevano essere cortissime, ma l’espansione le rese più lunghe.

Le moderne teorie sulla composizione della materia suggeriscono quindi che l’Universo all’inizio dei tempi fosse molto diverso da quello a noi familiare. Finché la temperatura rimase su valori molto elevati, i nuclei e gli elettroni non erano in grado di unirsi per formare atomi stabili: la materia per un certo tempo si presentò quindi sotto forma di plasma, cioè di particelle cariche di elettricità libere di muoversi e in continua interazione con la radiazione la quale, rimbalzando fra una particella e l’altra, si trovava intrappolata all’interno dei costituenti sciolti degli atomi. Però quando finalmente dopo circa 500.000 anni dal “bang” iniziale la temperatura, scesa al di sotto di alcune migliaia di gradi, consentì la formazione dei primi atomi stabili, la radiazione si svincolò dalla materia e cominciò a viaggiare liberamente nello spazio.

Come tutti sanno, ogni corpo, quando viene riscaldato al di sopra di una certa temperatura, emette luce. Se la temperatura non è sufficientemente alta, il corpo non emette luce però da esso fuoriesce lo stesso dell’energia che viene percepita sotto forma di calore. Sia la luce sia il calore che escono dai corpi caldi sono tipi di energia che appartengono alla gamma delle cosiddette «radiazioni elettromagnetiche» le quali, come abbiamo detto, si propagano per onde che viaggiano nello spazio alla massima velocità consentita, cioè alla velocità della luce. La lunghezza di queste onde è molto variabile e va da pochi nanometri (miliardesimi di metro) a molti kilometri (migliaia di metri). Le onde più corte prendono il nome di raggi gamma e sono molto energetiche mentre quelle più lunghe sono dette onde radio e sono poco energetiche. I nostri occhi sono dei rivelatori limitati di onde elettromagnetiche in quanto possono percepire solo una piccolissima banda di esse e precisamente quella compresa fra i 720 nanometri e i 400 nanometri: la cosiddetta «finestra ottica», ossia luce.

Quando la temperatura di un corpo non è troppo alta, tali radiazioni non sono visibili perché si trovano nella zona dell’infrarosso, dove l’occhio non è sensibile, ma sono tuttavia avvertibili accostando la mano all’oggetto che irradia. In verità anche quando la temperatura di un oggetto è molto bassa e l’oggetto appare freddo al tatto, da esso escono comunque delle radiazioni, ma di lunghezza d’onda via via maggiore a mano a mano che la temperatura si avvicina allo zero assoluto. Solo particolari apparecchi possono allora captare questo tipo di radiazione ad onda molto lunga.

All’inizio della sua esistenza, secondo la teoria del Big Bang, l’Universo doveva essere caldissimo e la sua materia tutta addensata in uno spazio molto limitato. La radiazione corrispondente a quelle temperature aveva una lunghezza d’onda molto corta e quindi era molto energetica. Essa tuttavia non era libera di viaggiare nello spazio perché, come abbiamo visto, era intrappolata all’interno della materia dove determinava la separazione degli elettroni dai protoni che la forza elettrica tentava invece di legare insieme per formare atomi stabili.

Quando la temperatura in seguito all’espansione cosmica diminuì fino al valore di circa 3.000 gradi kelvin, la radiazione corrispondente non aveva più l’energia sufficiente per staccare gli elettroni dai protoni e pertanto si poterono formare i primi atomi stabili dell’idrogeno. Da quel momento la radiazione, finalmente svincolata dalla materia, prese a viaggiare liberamente nello spazio.

Frattanto la materia che costituiva l’Universo primordiale, in seguito all’espansione, si diradò molto velocemente e la radiazione da essa emessa aumentò progressivamente la sua lunghezza d’onda, fino a raggiungere quella attuale di alcuni centimetri. Una radiazione elettromagnetica con l’onda di alcuni centimetri è un’onda radio e corrisponde a quella che emergerebbe da un corpo che si trovasse alla temperatura di 3 K, cioè a 270 °C sotto zero.

Se non ci fosse stata la dilatazione dell’Universo, esso oggi sarebbe caldissimo e vedremmo di giorno e di notte il cielo illuminato di quella luce abbagliante che si liberò dalla materia il giorno in cui questa raggiunse la temperatura di 3.000 K. Quella radiazione invece attualmente non è più visibile perché l’onda corrispondente si è allungata di molto fino a diventare un’onda radio e il nostro occhio non è sensibile ad onde elettromagnetiche di notevole lunghezza. Il nostro occhio, come abbiamo visto, è sensibile solamente a radiazioni elettromagnetiche piuttosto corte (intorno a 0,005 mm) e questa combinazione per noi è una fortuna, perché se l’occhio fosse sensibile anche alle onde radio rimarremmo perennemente accecati da luce intensa.

Per analogia con i fossili animali e vegetali che sono il residuo di ciò che erano questi organismi originariamente, la radiazione proveniente dal fondo dell’Universo viene anche chiamata «radiazione fossile».

Prof. Antonio Vecchia

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