Il megaverso

Nell’Universo molto si vede, ma è molto di più quello che non si vede. Oltre agli oggetti luminosi costituti da stelle, pianeti, comete e da tanti altri corpi minori che non emettono luce visibile, ma che producono comunque forme di radiazione elettromagnetica come raggi infrarossi e onde radio, vi è anche materia non visibile detta materia oscura e soprattutto è presente una grande quantità di energia oscura.

 

LA MATERIA OSCURA

La materia oscura non emette quindi onde elettromagnetiche e, come vedremo, può essere rivelata solo attraverso la sua influenza gravitazionale sulla materia visibile. Una parte di questa materia di cui si ignora origine e composizione potrebbe essere in realtà materia ordinaria costituita da corpi celesti dalla luce troppo flebile per essere rilevata, come ad esempio rocce, asteroidi o stelle nane, oppure da buchi neri che non emettono alcuna forma di radiazione elettromagnetica. Indubbiamente una parte della materia mancante è semplicemente questo, ma si tratterebbe in ogni caso di una quantità minima mentre la maggior parte non può essere di tale natura innanzitutto per motivi teorici connessi con il modello del Big Bang, ma anche per precisi riscontri oggettivi.

Il modello standard del Big Bang prevede che nel lasso di tempo, immediatamente successivo all’origine, noto con il nome di “periodo della nucleosintesi primordiale“ si siano costituiti i nuclei degli elementi più semplici assemblando protoni e neutroni che si erano formati in precedenza dalla unione a tre a tre dei quark. Quando successivamente la temperatura dell’Universo in espansione si abbassò ulteriormente fino a raggiungere poche migliaia di gradi Kelvin, gli elettroni rallentarono il loro moto sfrenato e i nuclei degli atomi più leggeri, in prevalenza idrogeno ed elio, riuscirono a catturarli. La formazione di atomi neutri non è solo frutto di una teoria in quanto oggi è possibile, grazie ad esperimenti e ad osservazioni molto meticolose, individuare non solo il tipo, ma anche la quantità degli elementi presenti nel Cosmo.

La teoria prevede che circa il 23% degli atomi prodotti all’origine consistesse di atomi di elio e in effetti, misurando la quantità di questo elemento visibile nelle stelle e nelle nebulose, si giunge ad un risultato solo leggermente superiore a quello teorico, in quanto una piccola parte di elio si è formata nel nucleo delle stelle a scapito dell’idrogeno. Ancora più sensazionale è la conferma della previsione che riguarda il deuterio (o idrogeno pesante) dato che, a differenza dell’elio, non esiste attualmente alcun processo astrofisico che possa spiegare la produzione di questo elemento il cui valore osservato è proprio quello previsto dalla nucleosintesi primordiale. Le stesse conferme sperimentali riguardano il litio.

Vi è inoltre un secondo aspetto che esclude la presenza nello spazio cosmico di materia ordinaria in gran quantità perché, se ci fosse, essa lascerebbe una traccia inconfondibile sotto forma di una radiazione riflessa di energia elettromagnetica che in effetti non è mai stata osservata. Oggi la maggior parte dei fisici crede che la materia oscura sia composta da qualche particella subatomica nuova e su questa convinzione si puntano le ricerche.

Nei pressi di Ginevra, al confine fra Francia e Svizzera, a cento metri di profondità è stato scavato un tunnel circolare lungo circa 27 kilometri che rappresenta uno strumento scientifico straordinario sia per le dimensioni sia per gli scopi cui è destinato. Esso consente la collisione di protoni e neutroni accelerati da giganteschi magneti a velocità prossime a quelle della luce al fine di rivelare le realtà più profonde del nostro Universo. Gli esperimenti sono organizzati dai fisici che lavorano al CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucleare , ossia il Consiglio Europeo per le Ricerche Nucleari) un organismo che costa molti miliardi di euro ai governi di mezza Europa.

Nell’autunno del 2008 ha avuto inizio l’esperimento di fisica più grande e più costoso della storia all’interno del tunnel sotterraneo denominato Large Hadron Collider (LHC) ma quasi subito l’acceleratore di particelle si inceppò ed ora sono in corso le necessarie riparazioni. Gli obiettivi dell’esperimento sono svariati e tutti ambiziosi. Uno di questi consiste nell’individuare il bosone di Higgs, ossia la cosiddetta “particella di Dio”, che è stata definita in questo modo dal fisico Leon Lederman (premio Nobel nel 1988) perché ritenuta responsabile delle proprietà delle particelle elementari che stanno alla base della materia ordinaria.

Il secondo obiettivo dell’esperimento è quello di scoprire la natura della materia oscura, uno dei più importanti misteri irrisolti nel campo della ricerca scientifica. Oggi si pensa che solo il 5% di tutto ciò che esiste nell’Universo sia composto di materia ordinaria ossia di quella materia che forma le stelle, i pianeti e gli stessi organismi viventi che li abitano. La materia oscura rappresenterebbe un altro 25% mentre il rimanente 70% sarebbe costituito dall’energia oscura, una “sostanza” ancora più misteriosa della materia oscura.

L’idea della presenza della materia oscura fu avanzata dallo stravagante astrofisico bulgaro-svizzero-americano Fritz Zwicky nel lontano 1933. Osservando le galassie dell’ammasso della chioma di Berenice, posto a circa 300 anni luce dalla Terra, Zwicky notò che esse si muovevano più velocemente del limite di fuga stimato sommando le loro masse, il cui valore era dedotto a sua volta dalla loro luminosità. Secondo i suoi calcoli l’ammasso avrebbe dovuto disintegrarsi in meno di un miliardo di anni mentre esso esiste compatto da oltre dieci miliardi di anni. Se le galassie non si sono disperse nello spazio ciò non poteva che dipendere della presenza di una massa aggiuntiva che agisce con la sua forza di gravità su di esse.

Nei decenni successivi al lavoro di Zwicky, sono state scoperte altre galassie e ammassi di galassie che presentano lo stesso problema. Non si trattava quindi di una prerogativa che riguardava solo il gruppo di galassie dell’ammasso della chioma di Berenice, ma ora si aveva la prova che la maggior parte delle forze gravitazionali misurate nell’Universo nasceva da sostanze che non vediamo. Il problema della massa mancante fu ribattezzato “problema della luce mancante” nel convincimento che la massa c’era, mentre ciò che mancava era la luce. Ma forse la gravità in eccesso non nasce nemmeno dalla materia, bensì da qualche cosa di più astratto. Oggi infatti, con una conoscenza più precisa delle masse degli oggetti celesti, si parla di “gravità oscura” perché non è certo che tutta la forza di gravità che viene registrata sia associata alla materia. Ciò che non si capisce in realtà è proprio la gravità.

 

ENERGIA OSCURA

    Per quanto riguarda l’energia oscura, ad essa vi accennò Albert Einstein dopo che nel 1915 pubblicò la sua teoria della relatività generale. Quella teoria non era altro che un modo nuovo di interpretare la forza di gravità e cioè non più, come previsto da Newton, una azione a distanza fra corpi materiali, ma una deformazione dello spazio dovuta alla presenza in esso di corpi massicci. Spesso si sente sintetizzare la teoria di Einstein nel modo seguente: “la materia dice allo spazio come piegarsi e lo spazio dice alla materia come muoversi”. In altre parole, la teoria prevede che un corpo massiccio come ad esempio il Sole crei intorno a sé una specie di depressione in cui i pianeti tendono a rotolare ma, grazie alla loro inerzia, si mantengono in orbita ad una distanza praticamente costante dall’astro.

La stessa teoria prevede anche che un Universo, in cui la materia è distribuita in modo più o meno uniforme, non potrebbe essere statico come al contrario suggerivano tutte le osservazioni astronomiche effettuate fino ad allora. Invece che annunciare al mondo intero di aver scoperto che l’Universo doveva essere instabile, Einstein aggiunse alle sue equazioni un termine correttivo che rappresentava la quantità di energia indispensabile per rendere immobile l’Universo stesso. In seguito, questo termine con valore costante (anche se ignoto) venne chiamato costante cosmologica.

La soluzione di Einstein non incontrò il favore di tutti gli scienziati e nel 1922 il matematico russo Alexander Friedmann dimostrò che l’Universo statico di Einstein doveva essere malfermo come lo è una matita in equilibrio sulla punta: la più piccola perturbazione avrebbe portato lo spazio a contrarsi o a espandersi. In un primo momento Einstein dichiarò che Friedmann si sbagliava ma in seguito dovette riconoscere che il matematico russo aveva ragione e che a sbagliare era stato lui.

Alcuni anni più tardi l’astronomo americano Edwin Hubble scoprì, attraverso osservazioni molto precise e incontrovertibili, che l’Universo si stava in realtà espandendo. A quel punto anche i più riottosi si convinsero della inutilità della costante cosmologica, ma verso la fine del Ventesimo secolo si dovette di nuovo cambiare idea.

Nel 1998 due gruppi di astronomi, in modo indipendente, scoprirono che lo spazio vuoto contiene energia la quale determina l’accelerazione delle galassie. Fino a quel momento si era sempre pensato che l’espansione del Cosmo stesse rallentando per effetto della gravità generata dalle masse in esso contenute, le quali frenavano la spinta originaria conseguente al Big Bang: allora invece si scopriva che l’Universo non solo non rallenta, ma accelera.

La prova inconfutabile dell’esistenza di questa misteriosa forma di energia venne dall’osservazione di alcune particolari supernove dette di tipo Ia o SN Ia (Super Novae di tipo “primo a”) le quali differiscono dal tipo classico di supernove che esplodono in seguito al collasso dei nuclei di stelle massicce, quando termina in esse la produzione di energia generata attraverso la fusione nucleare. Le stelle SN Ia hanno invece un’origine diversa in quanto derivano da nane bianche appartenenti a sistemi binari.

Si è osservato che quando due stelle si trovano a breve distanza l’una dall’altra orbitano entrambe intorno al centro di massa comune. Ora, qualora una delle due avesse una massa maggiore dell’altra questa invecchierebbe prima della compagna perché esaurirebbe più velocemente il combustibile e quindi si contrarrebbe fino a diventare una nana bianca ossia una stella piccola come la Terra, ma con una massa grande quanto quella del Sole. Questa nana bianca sarebbe quindi in grado di sottrarre alla compagna che le sta vicino parte del suo materiale gassoso. Si tratterebbe di materiale ancora ricco di idrogeno che si accumula sulla nana bianca aumentandone temperatura e densità fino a far riprendere i processi di fusione nucleare che causeranno la sua esplosione violenta, ossia fino a dar luogo appunto ad una supernova di tipo Ia.

Le supernove di tipo Ia si dimostrarono molto utili agli astronomi per due ordini di motivi. Innanzitutto perché le esplosioni di queste stelle sono di una potenza tale da essere viste anche a miliardi di anni luce di distanza. In secondo luogo perché si tratta di stelle che, in virtù della loro origine, sono molto simili, per cui generano, quando esplodono, la stessa emissione massima di energia e dopo aver raggiunto il picco di luminosità si spengono tutte alla stessa velocità.

Grazie a questa doppia proprietà le SN Ia rappresentano delle “candele standard” luminosissime e facilmente riconoscibili la cui emissione di energia è la stessa, ovunque esse appaiano. Quella descritta è però la luminosità assoluta, mentre quella apparente dipende dalla distanza a cui la stella si trova. Una SN Ia posta ad esempio a una distanza doppia di un’altra apparirà quattro volte meno luminosa della prima, dal momento che la luminosità apparente di una fonte luminosa qualsiasi diminuisce con il quadrato della sua distanza dall’osservatore.

Paragonando la luminosità apparente delle SN Ia più vicine con quelle più lontane, i due gruppi di specialisti delle supernovae riuscirono a determinare la velocità di allontanamento delle galassie più distanti.

 

IL MODELLO INFLAZIONARIO

Secondo quanto espresso dalle equazioni fondamentali di Einstein lo spazio dovrebbe essere curvo e la curvatura potrebbe essere positiva, negativa o nulla. Se fosse nulla esso sarebbe uno spazio piatto ossia simile ad un piano di estensione infinita, a tre dimensioni anziché a due. Uno spazio a curvatura positiva corrisponderebbe invece, sempre in termini di analogia, alla superficie di una sfera e quindi, in tal caso, si tratterebbe di uno spazio finito come è finita la superficie della sfera. Infine, uno spazio a curvatura negativa dovrebbe estendersi all’infinito come avviene per la superficie di una sella di dimensioni infinite. L’una forma o l’altra dipende dalla quantità di materia presente nel Cosmo.

Verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, i cosmologi avevano calcolato che sommando alla materia visibile quella oscura si raggiungeva una quantità totale di essa che era meno di un terzo di quella necessaria a creare un Universo piatto. Con la scarsa quantità di materia presente l’Universo sarebbe stato a curvatura negativa e quindi si sarebbe espanso per sempre e ciò in realtà non rappresentava in sé un fatto negativo, se non fosse che molti cosmologi, orientati verso la teoria, ritenevano che lo spazio dovesse essere piatto.

Questo convincimento derivava dal modello inflazionario di Universo che era stato proposto dal fisico americano Alan Guth nel 1979. Il giovane fisico ipotizzava, al fine di eliminare alcune incongruenze insite nel modello classico del Big Bang, che nei primi istanti di vita il Cosmo si fosse espanso in modo incredibile raggiungendo in un tempo infinitamente piccolo dimensioni enormi.

Il modello spiegava una serie di osservazioni che quello classico del Big Bang non riusciva a chiarire ma nel contempo mostrava che l’Universo avrebbe dovuto essere piatto. Spieghiamo questa caratteristica con un esempio. Immaginiamo allora di gonfiare una pallina da pingpong fino a farla diventare grande come la Terra. Ebbene una formichina che si fosse mossa sulla superficie di quella pallina si sarebbe sicuramente convinta di trovarsi su una superficie curva. Dopo l’espansione la nostra formichina si sarebbe trovata improvvisamente al centro di una superficie molto estesa (per esempio su un campo di calcio) che indubbiamente avrebbe giudicato piatta.

Ma per quale motivo l’energia oscura dovrebbe appiattire lo spazio? La risposta sta nella considerazione che l’energia è materia. La famosissima equazione di Einstein: E=mc² suggerisce proprio questo e cioè che una certa quantità di energia E la si può immaginare in termini della corrispondente quantità di massa m, uguale a E diviso per c² (velocità della luce al quadrato). Ciò porta come conseguenza che la quantità totale della massa presente nell’Universo è uguale alla somma dei contributi della materia (visibile e oscura) e dell’energia intesa come massa equivalente.

Ora, se la quantità totale della materia presente nell’Universo raggiungesse un determinato valore, lo spazio diverrebbe piatto. Tale conclusione coinciderebbe con la predizione del modello inflazionario, perché nel calcolo della massa totale dell’Universo non ha alcuna importanza se essa derivi solo dalla materia o solo dall’energia del vuoto o dalla somma di entrambe.

L’entità della spinta espansionistica dell’energia oscura ci consente di valutarne la massa che corrisponde per l’appunto a circa il 70% della materia presente nell’Universo. Poiché gli astronomi, come abbiamo visto, avevano calcolato che la quantità di materia (luminosa e oscura) presente nell’Universo valeva circa il 30% di ciò che era necessario a rendere l’Universo piatto, ora, aggiungendo a questa la massa corrispondente all’energia oscura si arriva al valore necessario a rendere l’Universo piatto, cioè quello previsto dal modello inflazionario.

Attualmente l’influenza relativa della materia e quella dell’energia oscura nel determinare la piattezza dell’Universo come ordine di grandezza sono fra loro comparabili (30 contro 70 per cento): ma non è stato sempre così. Con lo scorrere del tempo l’Universo è rimasto piatto ma il contributo della materia e dell’energia oscura nel garantire questo aspetto è cambiato. È infatti evidente che nel tempo immediatamente successivo al Big Bang l’energia oscura non aveva alcuna influenza perché lo spazio era occupato interamente dalla materia la quale creava tutta la gravità necessaria ad attirare le masse. Con il passare del tempo tuttavia questa cominciò a diradarsi mentre aumentava lo spazio a disposizione dell’energia oscura fino ad arrivare al tempo attuale in cui, come abbiamo visto, le due grandezze sono confrontabili. In un futuro immensamente remoto la materia sarà così rarefatta che la sua influenza sarà quasi ridotta a zero mentre rimarrà solo quella corrispondente all’energia oscura a mantenere piatto lo spazio.

 

I NUOVI MODELLI DI UNIVERSO

L’Universo non coincide con l’Universo visibile. Quest’ultimo è la regione dello spazio che fa centro sulla Terra dalla quale i segnali luminosi, dopo l’inizio dell’espansione, hanno avuto il tempo di raggiungere i nostri telescopi, ma l’Universo intero è molto più grande e forse anche diverso da quello che sta all’interno del nostro orizzonte visibile. Le osservazioni possono infatti fornire informazioni solo su qualcosa che è necessariamente finito perché tale è la velocità della luce e pertanto la nostra esperienza dell’Universo non può che essere limitata.

Tutto ciò che gli astronomi riescono ad osservare entro un raggio di circa quindici miliardi di anni luce (limite determinato dalla distanza che un segnale che viaggi alla velocità della luce ha percorso da Big Bang ad oggi) potrebbe aver avuto origine dalla dilatazione inflativa di una regione infinitesima del minuscolo Universo primordiale. Tuttavia questa espansione, come abbiamo detto, potrebbe aver generato un Universo di dimensioni enormi, ma perfino questa estensione smisurata del Cosmo potrebbe non esaurire la totalità di ciò che esiste.

Il fisico russo-americano Andrei Linde ha suggerito che la violenta esplosione iniziale potrebbe non essere stato un evento unico ma che condizioni simili al Big Bang potrebbero essersi presentate svariate volte in regioni isolate del Cosmo. Ciascuna di queste regioni si sarebbe quindi evoluta in un Universo distinto. In ognuno di questi nuovi Universi il processo andrebbe avanti e nuovi Universi scaturirebbero da quelli vecchi generando una rete interminabile di nuovi mondi in espansione. Tutto questo smisurato grappolo di Universi viene chiamato megaverso, un neologismo che deriva dalla contrazione dei termini mega (grande) e Universo; ma forse più corretto sarebbe chiamarlo multiverso.

Anche altre congetture suggeriscono una molteplicità di Universi. Ad esempio, ogni qualvolta si formi un buco nero i processi che avvengono al suo interno potrebbero innescare la creazione di un altro Universo in uno spazio disgiunto dal nostro. Traendo spunto dalla analogia fra le condizioni fisiche in cui si trovava l’Universo prima del Big Bang e quelle di un buco nero, entrambi caratterizzati da un’enorme densità di materia, alcuni astrofisici hanno pensato che quest’ultimo potrebbe essere il seme da cui si formerebbe un nuovo Universo. E se il nuovo Universo fosse simile al nostro si originerebbero in esso stelle, galassie e buchi neri i quali ultimi produrrebbero una nuova generazione di Universi e così via, magari all’infinito.

Alan Guth e il collega Edward Harrison hanno addirittura ipotizzato che si possano fabbricare Universi in laboratorio concentrando una certa quantità di materia fino a trasformarla in un buco nero. Essi immaginano quindi che il nostro Universo, come tanti altri, possa essere il risultato di un esperimento eseguito da un folle.

Naturalmente possiamo pensare che la fisica cambi da un Universo all’altro. In alcuni le differenze potrebbero essere minime mentre in altri la fisica potrebbe essere radicalmente diversa da quella che vige nell’Universo nel quale viviamo. Ad esempio le particelle elementari e le quattro forze fondamentali potrebbero presentare valori completamente diversi da quelli che conosciamo e perfino – come suggerisce la teoria delle stringhe – il numero di dimensioni spaziali potrebbe essere diverso da tre. La teoria delle stringhe suggerisce infatti che le dimensioni dello spazio siano dieci ma di queste solo quattro – tre spaziali ed una temporale – sono diventate astronomicamente grandi mentre le rimanenti sarebbero rimaste strettamente arrotolate in sé stesse e impercettibilmente piccole.

Negli altri Universi, però, le dimensioni spaziali macroscopiche potrebbero essere solo due o addirittura nessuna, o forse nove o dieci. Naturalmente anche le leggi di natura potrebbero cambiare da un Universo all’altro: le possibilità sono infinite. Ebbene, esplorando questo numero sconfinato di Universi si scopre che la maggior parte di essi non presenta condizioni favorevoli alla vita mentre il nostro sembra essere finemente regolato non solo per la vita, ma proprio per il nostro tipo di vita.

L’esistenza della vita, e in particolare della vita intelligente è il presupposto necessario per potersi domandare per quale motivo il nostro Universo abbia le caratteristiche che ha. In altre parole l’aspetto del nostro Universo è quello che è perché, se fosse diverso, noi non saremmo qui ad osservarlo. Questo ragionamento è la versione elegante del problema che va sotto il nome di “principio antropico”. Esso afferma proprio questo e cioè che in un qualsiasi Universo vi saranno osservatori che lo studiano solo se si verificheranno certe condizioni particolari. Il Cosmo, in altre parole, non potrebbe esistere senza qualcuno che lo osservi e alcuni cattolici integralisti vedono in questo un sostegno alle proprie convinzioni. Essi asseriscono che poiché all’umanità viene assegnato un ruolo centrale, il Cosmo deve essere stato creato su misura per noi da una potenza superiore.

Un oppositore di una simile conclusione farebbe notare che tale prova a sostegno dell’esistenza di Dio implicherebbe che costui è il creatore più sprecone che si possa immaginare: un creatore costretto a dar vita a innumerevoli Universi solo perché la vita possa nascere e svilupparsi in un piccolo settore di uno solo di essi.

Inoltre, l’ipotesi che il nostro Universo possegga delle proprietà attentamente calibrate appare antieconomica e irrispettosa del precetto di ordine metodologico che va sotto il nome di “rasoio di Occam”. Il filosofo inglese Guglielmo di Occam, vissuto nella prima metà del Quattordicesimo secolo, raccomandava di escludere dal mondo e dalla scienza tutti gli enti e i concetti superflui. Il suo precetto era il seguente: “entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem” (cioè non dobbiamo moltiplicare gli enti oltre necessità). È inutile quindi immaginare una molteplicità di Universi per poi sceglierne uno solo adatto alla vita.

Per concludere facciamo un cenno ad un recente modello di Universo che elimina la sua nascita dal nulla, senza dover invocare un numero infinito di essi. Il modello si ispira alla “gravità quantistica” una teoria cercata da decenni che combina Relatività generale e Meccanica quantistica in un quadro coerente. Un particolare aspetto di questa teoria, chiamato con termine inglese a “loop”, descrive lo spazio come una danza di minutissimi anellini (appunto i loop) ma, cosa più importante, nelle equazioni esclude la variabile tempo poiché quello che emerge dai calcoli è la possibilità che il Big Bang non sia stato un vero inizio della storia del mondo. La teoria immagina la presenza di undici dimensioni, di cui la maggior parte “compattate”, cioè arrotolate su loro stesse così strettamente da risultare invisibili. Noi, come ben si sa, abbiamo esperienza diretta con solo tre di esse a cui dobbiamo aggiungere il tempo.

Per visualizzare un modello così complesso chiamato Big Bounce (ossia “grande rimbalzo”) dobbiamo immaginare il nostro Universo come una “membrana” a tre dimensioni spaziali immersa in un iperspazio ad 11 dimensioni. A fianco di questo Universo-membrana, si deve supporre la presenza di un altro che si avvicina al primo fino ad entrare in collisione con esso. Questo scontro darebbe origine al Big Bang a cui seguirebbe il rimbalzo dei due Universi e il loro reciproco allontanamento. Esaurita la spinta seguente allo scontro i due Universi tornerebbero ad avvicinarsi per entrare nuovamente in contatto e dar luogo ad un’altra collisione e così via all’infinito. L’Universo avrebbe quindi una storia ciclica che si ripete ad intervalli di centinaia di miliardi di anni. Come si vede il modello non tiene conto del tempo inteso quale inizio di tutte le cose.

È importante chiarire che tutte le teorie che abbiamo esposto sono pure speculazioni tanto che dovrebbero essere precedute da inviti alla cautela. Tuttavia, chiedersi se esistano Universi non osservabili non è assurdo, né privo di senso. La questione, è ovvio, non potrà essere risolta dall’osservazione diretta, perché nulla può uscire né entrare nel nostro Universo, nemmeno un segnale elettromagnetico, ma è sicuramente possibile andare in cerca di dati empirici pertinenti che potrebbero condurci ad una risposta. D’altronde nessuno ha mai visto i buchi neri o le reazioni di sintesi nucleare che avvengono all’interno del Sole e delle altre stelle, tuttavia siamo convinti della loro esistenza perché le teorie sulle quali questi fenomeni si fondano sono ben comprese dalla comunità scientifica.

Prof. Antonio Vecchia

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