Il legame millenario tra l’Antico Egitto e il mondo felino continua a suscitare grande interesse tra storici, archeologi e appassionati di cultura antica. Recenti scoperte archeologiche e studi aggiornati confermano l’importanza centrale che i gatti rivestivano nella vita quotidiana, nella religione e nell’arte egizia, non solo come animali da compagnia ma soprattutto come simboli sacri di protezione, fertilità e potere divino.
Il gatto nell’Antico Egitto: da animale domestico a icona sacra
Gli antichi Egizi chiamavano il gatto Mau, discendente diretto del gatto selvatico africano (Felis lybica), addomesticato circa 10.000 anni fa nella Mezzaluna Fertile. In Egitto, il gatto veniva apprezzato soprattutto per le sue doti di cacciatore di roditori, insetti nocivi e serpenti velenosi, come il temibile cobra. Questa funzione pratica, tuttavia, si trasformò nel tempo in un valore simbolico profondo: il gatto divenne un essere sacro, emblema di grazia, protezione e benevolenza.
Le divinità feline dell’antico Egitto incarnavano questo dualismo tra forza e protezione. La dea Mafdet, raffigurata con testa di leonessa, simboleggiava la giustizia e la punizione capitale. La guerriera Sekhmet, anch’essa leonina, era associata alla guerra e alle epidemie. In un’evoluzione significativa, la dea leonina Bastet, inizialmente aggressiva come Sekhmet, si trasformò in una figura protettiva e materna, patrona della fertilità, della maternità e della vita domestica. L’immagine di Bastet con cuccioli accanto è emblematica della sua associazione con la dolcezza e la protezione familiare.
Nel contesto quotidiano, la presenza dei gatti era segno di prestigio e affetto. Durante il Nuovo Regno (circa XVI-XI secolo a.C.), infatti, i gatti erano animali da compagnia molto diffusi, anche tra le famiglie reali. La regina Tiy e sua figlia Sitamon sono ritratte con una gatta domestica accanto, testimonianza dell’amore e della considerazione verso questi animali sacri.
Il ruolo sacro e mitologico del gatto
La dimensione religiosa del gatto nell’antico Egitto è comprovata dalla pratica della mummificazione, riservata solitamente agli esseri umani. I gatti venivano imbalsamati e offerti alla dea Bastet, soprattutto durante il periodo greco-romano (IV secolo a.C. – III secolo d.C.). La città di Bubasti, centro religioso dedicato a Bastet, era meta di pellegrinaggi annuali durante i quali si celebravano processioni, riti e offerte in onore della dea-gatta.
Nel pantheon egizio, il gatto maschio assumeva anche l’aspetto del dio sole Ra, noto come il Grande Gatto di Eliopoli. In questa forma, il gatto aveva il compito di proteggere Ra durante la notte dagli attacchi del serpente demone Apopi, simbolo del caos. Scene di questo combattimento sono visibili nelle pitture murali delle tombe di Deir el-Medina, sottolineando il ruolo apotropaico e salvifico dell’animale.
Gli amuleti raffiguranti Bastet e i suoi cuccioli erano molto diffusi, in particolare tra le donne in cerca di fertilità e protezione durante la gravidanza. La figura di Bastet, quindi, era strettamente connessa ai temi della rinascita, della protezione e della prosperità familiare.
I gatti nella vita quotidiana e nelle arti egizie
Le testimonianze archeologiche mostrano che i gatti erano parte integrante della vita domestica. Nelle tombe del Nuovo Regno, sono frequenti le immagini di gatti che cacciano uccelli nelle paludi o che si accoccolano accanto alle donne, sottolineando il doppio ruolo funzionale e affettivo dell’animale. La loro presenza nelle tombe indica un rispetto profondo, riconoscendo ai gatti un ruolo di compagni fedeli anche nell’aldilà.
Un caso emblematico è rappresentato dal sarcofago di pietra della gatta Myt, appartenuta al principe ereditario Thutmose, figlio del faraone Amenofi III. Myt fu sepolta con tutti i rituali previsti per gli esseri umani, con iscrizioni che la elevavano a “Osiride” felino, simbolo di rinascita nell’aldilà. All’interno del sarcofago furono rinvenuti anche oggetti rituali come la statuetta ushabti, destinata a servire la gatta nel mondo dei morti.
Le rappresentazioni artistiche spesso mostrano i gatti sotto le sedie delle donne, in compagnia di altri animali domestici come oche e scimmie, simboli potenti di sessualità e fertilità. Questi dettagli sottolineano il ruolo emblematico del gatto come animale legato alla vita familiare e alla prosperità.
L’universo simbolico e pratico dei gatti nell’Antico Egitto si presenta quindi come un complesso intreccio di aspetti religiosi, sociali e affettivi, che hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura egizia e continuano a influenzare il nostro immaginario contemporaneo.
L’affascinante legame tra i gatti e l’Antico Egitto tra mito, fede e vita quotidiana






