Scienze

Storia della chimica

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GLI INIZI
La chimica si costituì come disciplina scientifica in tempi relativamente recenti ma come insieme di tecniche e di attività indirizzate alla estrazione e alla trasformazione della materia essa ha una storia molto antica che si confonde con le origini stesse dell’uomo. Si ritiene infatti che questa disciplina sia iniziata quando l’uomo ha imparato ad utilizzare il fuoco per estrarre i metalli dai loro minerali, per associarli in leghe, per produrre vetro, per cuocere l’argilla al fine di ottenere mattoni e vasellame e per arrostire la selvaggina con lo scopo di renderla più saporita e meglio digeribile. Successivamente, con lo sviluppo dell’economia agricola, comparvero e si affermarono nuove attività artigianali come la preparazione di bevande alcoliche e infusi con proprietà curative o coloranti.

Gli artigiani del settore, al fine di valorizzare il proprio lavoro custodivano gelosamente le loro ricette e le tecniche di lavorazione che riservavano solo a pochi e fidati adepti passando in questo modo per maghi o stregoni in diretto rapporto con la divinità.

La lontana origine della chimica è dimostrata anche dalla etimologia del termine khemeia che secondo alcuni deriva dalla parola egiziana Kham che significa “nero”, con allusione al colore scuro del fertile suolo dell’Egitto, dal quale si pensava provenissero le conoscenze naturali più remote: l’espressione potrebbe quindi significare “arte della terra d’Egitto”. Un’altra teoria afferma che khemeiaderiva dall’Arabo al-Kimiya dove al ha la funzione di articolo determinativo, mentre Kimiya dovrebbe intendersi come arte di fare leghe metalliche o, in alternativa, arte di trattare i succhi vegetali. E ciò perché quel termine rimanda ad una parola che noi traduciamo con “liquido”: i succhi sono liquidi e le leghe si ottengono dalla fusione di due o più metalli. Ora però, qualsiasi sia il significato che si intende attribuire a khemeia, è certo che con l’aggiunta dell’articolo arabo al si perviene alla parola “alchimia” e ciò fa ricordare i contributi arabi a questa pseudoscienza che pretendeva di trasformare in oro i metalli vili, mentre se si esclude l’articolo determinativo si ottiene la parola “chimica” ossia la scienza che con metodo sperimentale studia le proprietà, la composizione, la preparazione e le trasformazioni profonde e permanenti della materia.

Le prime sostanze utilizzate dall’uomo presumibilmente furono quelle presenti nell’ambiente in cui egli viveva e cioè legno, ossa, pelli e pietre. Fra queste la più durevole è la pietra e infatti non è un caso che proprio gli oggetti di pietra ci rechino testimonianza dell’attività dell’uomo primitivo. Per tale motivo si parla per l’appunto di età della pietra.

L’umanità viveva ancora in questo lontano periodo preistorico quando imparò ad addomesticare gli animali e a coltivare le piante. Con questa attività si garantì una fonte sicura di nutrimento che in precedenza era costretta a procurarsi andando a caccia o raccogliendo i prodotti spontanei della terra. Grazie allo sviluppo dell’allevamento del bestiame e dell’agricoltura l’uomo poté disporre di una fonte di alimenti più sicura ed abbondante che consentì fra l’altro un aumento della popolazione e con esso la necessità di costruire abitazioni permanenti. Ebbe così inizio la “civiltà” un termine che deriva da “città” parola che a sua volta discende dal latino civitas.

Alcuni secoli più tardi, i nostri antenati impararono a scheggiare la pietra con maggior precisione e a levigarla per poterla utilizzare come oggetto di lavoro o per fabbricare armi: si passò quindi dal paleolitico (o “età antica della pietra”), attraverso il mesolitico, (o “età di mezzo della pietra”) al periodo storico che prende il nome di neolitico (o “nuova età della pietra”).

In un tempo ancora successivo l’uomo imparò a servirsi di oggetti naturali relativamente rari. Già circa 8000 anni prima di Cristo egli scoprì alcuni metalli (parola che forse deriva da un termine greco che significa “cercare”) che si trovavano allo stato libero. Questi erano l’oro e il rame, elementi facili da individuare, fra le grigie rocce, per il loro colore luccicante. Essi, se riscaldati, potevano essere battuti fino a essere ridotti in lamine con bordi taglienti, senza che si spezzassero, cosa che invece avveniva facilmente con la pietra se trattata allo stesso modo.

Questi metalli, come si è detto, erano però rari e quindi per approfittare delle loro caratteristiche l’uomo era costretto a lunghe e noiose ricerche e lavorazioni. Probabilmente per caso, i nostri antenati si accorsero che il rame si poteva ottenere anche riscaldando alcune pietre azzurre o verdastre (l’azzurrite e la malachite di colore verde, sono due minerali del rame) con un fuoco di legna e quindi questo metallo non fu più così raro e poté essere utilizzato per fabbricare utensili di vario genere. Il periodo storico prende pertanto il nome di età del rame. Sempre casualmente, circa 3000 anni prima di Cristo, l’uomo ottenne il bronzo scaldando insieme minerali di rame e di stagno. Nel 2000 a.C. il bronzo era abbastanza diffuso tanto da venire utilizzato su larga scala per foggiare armi e armature. Quel periodo della storia dell’umanità prende infatti il nome di età del bronzo.

Frattanto i nostri antenati vennero a conoscenza di un metallo ancora più duro e resistente del bronzo: il ferro. All’inizio questo elemento era molto scarso perché veniva fornito dalle meteoriti (corpi di provenienza cosmica) che non sono molto frequenti né facilmente distinguibili dalle pietre comuni presenti sul terreno; praticamente non si era ancora scoperto che quello stesso metallo poteva anche essere ricavato dalle rocce.

I minerali del ferro per poter essere trasformati in ferro puro richiedevano una quantità di calore superiore a quello che si poteva ottenere bruciando la legna, ma sostituendo questa con il carbone di legna si riuscì ad estrarre il ferro dai suoi minerali. Questo era però un metallo di qualità scadente che tuttavia migliorava se gli veniva addizionata una piccola quantità di carbonio: la lega ferro-carbonio prende il nome di acciaio. Con il ferro vennero costruite armi e corazze di qualità superiore a quelle di bronzo ed infatti gli eserciti forniti di queste attrezzature prevalsero sugli altri. Siamo così giunti nella cosiddetta età del ferro.

Molte delle tecnologie metallurgiche dell’antichità rimanevano tuttavia legate a pratiche magiche. Nell’antica Siria si era ad esempio scoperto che le spade di acciaio diventavano particolarmente flessibili se, dopo essere state arroventate, venivano fatte passare attraverso il corpo di uno schiavo. La spiegazione magica del fenomeno era che con questa procedura veniva trasferita l’energia vitale dello schiavo nella spada. In seguito si scoprì che lo stesso effetto si otteneva immergendo la spada rovente in una vasca piena d’acqua contenente pelli e corpi di animali morti perché, ciò che causava il miglioramento delle qualità del metallo era l’azoto organico, e non già la vita dello schiavo. Questa procedura cruenta dimostra fra l’altro come la mancanza di conoscenze teoriche abbia prodotto nell’antichità il sacrificio inutile di molti uomini innocenti.

LE PRIME IPOTESI
I primi tentativi di rielaborazione teorica delle conoscenze attorno al mondo della natura vennero operate dai pensatori greci del VI secolo avanti Cristo. Questi studiosi che venivano chiamati filosofi(ossia “amanti del sapere”) non si interessavano tanto alla tecnologia o alla possibilità di applicazioni pratiche delle scoperte quanto alla spiegazione delle stesse.

Colui che per primo propose una teoria in grado di giustificare le trasformazioni della materia, fu Talete, un filosofo che visse a cavallo fra il 600 e il 500 avanti Cristo. In realtà, è probabile che prima di lui vi fossero stati altri uomini, in Grecia o in altre parti del mondo, che meditarono sul significato delle trasformazioni della materia ma di essi non abbiamo conoscenze certe.

Le attività di questo famoso filosofo greco (uno dei sette savi del mondo antico) furono quindi guidate da curiosità intellettuale piuttosto che da necessità pratiche. Talete riteneva che tutto ciò che vi era di materiale derivasse da un’unica realtà, che egli aveva individuato nell’acqua. L’idea che alla base di tutto vi fosse l’acqua discendeva dalle stesse proprietà di questo elemento che quando evapora si trasforma in gas e quando gela diventa un solido, e quindi nell’intuizione del pensatore greco presumibilmente esso sarebbe stato in grado di trasformarsi anche in tutte le altre forme con cui si presenta la materia. Qualche interprete più tardo della dottrina di Talete aggiungeva che l’acqua è origine della vita: infatti i semi degli animali e delle piante sono umidi. A ciò si può aggiungere il fatto che il seme della pianta si sviluppa nella terra umida e ci fa assistere ad una progressiva trasformazione dell’acqua nella materia solida che costituisce il fusto dell’albero. In seguito altri filosofi proposero altre sostanze come principio originario dell’Universo: alcuni ad esempio suggerirono l’aria, altri il fuoco.

Alla fine venne trovata una soluzione di compromesso nella sintesi di tutti gli elementi indicati e fu così che, con l’aggiunta della terra, nacque la dottrina dei quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra). In realtà esistevano validi motivi per ritenere che gli elementi stessi fossero interscambiabili: l’acqua ad esempio, come aveva già fatto notare Talete, si trasformava in aria attraverso l’evaporazione e l’aria ridiventava acqua sotto forma di pioggia. Inoltre, riscaldando il legno, questo si trasformava in fuoco, in fumo (una specie di aria scura) e in cenere, cioè in terra, e così via. Pareva quindi possibile produrre una trasformazione qualsiasi: si trattava soltanto di trovare la tecnica adatta.

La teoria dei quattro elementi sostenuta da Empedocle, filosofo greco nato in Sicilia circa nel 490 a.C., fu accettata e diffusa dal più grande dei filosofi greci, Aristotele (384-322 a.C.), il quale ne aggiunse un quinto che chiamò etere (da un termine greco che significa “brillante”). Di questo elemento perfetto, eterno e incorruttibile dovevano essere fatti i corpi celesti mentre le cose terrene erano composte da elementi imperfetti e deteriorabili.

Aria, acqua, terra e fuoco sono concetti primitivi superati dalle nuove scoperte ma se li sostituiamo rispettivamente con gas, liquido, solido ed energia finiamo con l’esprimere concetti moderni perché i gas se vengono raffreddati si convertono in liquidi e se si abbassa ulteriormente la temperatura i liquidi diventano solidi. Inoltre, il concetto di fuoco come elemento fondamentale può essere interpretato come “energia”: causa ed effetto essa stessa delle trasformazioni della materia.

Frattanto veniva discusso un altro problema altrettanto importante: ossia quello relativo alla divisibilità della materia. Due erano le ipotesi che prevalevano in quel periodo: secondo la prima di esse era possibile dividere la materia all’infinito e all’origine dei corpi materiali stava qualche cosa di immateriale, come ad esempio una non meglio specificata “proprietà elementare”; l’altra affermava che era possibile suddividere un corpo materiale solo fino ad un limite finito, cioè fino ad ottenere una particella minuta e non più divisibile ulteriormente. È facile notare come alla base di queste due posizioni vi siano aspetti fortemente spiritualistici nella prima di esse e materialistici nell’altra: si tratta di giudizi tuttora presenti nel pensiero scientifico moderno.

Sembra che il filosofo ionico Leucippo (450 a.C. circa) per primo abbia messo in dubbio il fatto che un pezzetto di materia, per quanto piccolo, potesse essere diviso in parti ancora più piccole. Il suo discepolo Democrito, accettò il ragionamento del maestro e chiamò atomo (parola che in greco significa “indivisibile”) la particella minima della materia. Egli riteneva che gli atomi di ciascun elemento fossero diversi per forma e dimensioni e che proprio questa diversità spiegasse le differenti proprietà dei corpi materiali. Democrito pensava inoltre che gli atomi fossero in grado di muoversi nello spazio vuoto e di aggregarsi in vario modo e quindi ogni sostanza potesse trasformarsi in un’altra modificando la natura e il numero degli atomi che la costituivano. Proprio questa visione disordinata delle cose convinse Dante a riservare nell’Infero un posto a “colui che il mondo a caso pone”.

L’ALCHIMIA
Nel II secolo dopo Cristo ha inizio quella diffusione delle scienze occulte che preparerà il terreno favorevole al sorgere e al prosperare dell’alchimia. Durante tutto il Medioevo e soprattutto nel Rinascimento gli alchimisti si dedicarono alla ricerca della pietra filosofale, l’ipotetico reagente capace di trasformare in oro i metalli vili. Oltre alla pietra filosofale la ricerca era indirizzata anche alla preparazione di un liquido, l’elisir di lunga vita, che doveva avere le proprietà di allungare la vita e di guarire le malattie. Obiettivi evidentemente assai lontani dalle possibilità umane, ma così affascinanti da nutrire per secoli il desiderio di ricerca.

Dell’alchimia e degli alchimisti in genere si dà una un’immagine negativa anche perché questa attività, per molti aspetti oscura, appare congiunta con la magia e spesso con la religione mentre in realtà essa accumulò, attraverso una lunghissima serie di errori e di tentativi nel buio, un patrimonio inestimabile di osservazioni e scoperte; tale fatto costituì l’indispensabile premessa alla creazione della chimica sistematica moderna che in un certo senso sta all’alchimia come l’astronomia sta all’astrologia.

L’alchimia sembra aver avuto origine in Egitto dove la conoscenza della chimica era strettamente connessa con l’imbalsamazione dei morti e i riti religiosi. Proprio per il fatto che quest’arte misteriosa appariva intimamente legata alla religione, la gente comune aveva un certo timore e rispetto per le persone che la praticavano, considerandole seguaci di arti segrete e depositarie di conoscenze misteriose. Il convincimento che questi personaggi possedessero poteri superiori finì per accrescere il loro prestigio e forse anche la fiducia in sé stessi.

L’alone di mistero che avvolgeva il lavoro degli alchimisti ebbe due aspetti negativi. In primo luogo esso ritardò il progresso in quanto ciascun ricercatore, non potendo venire a conoscenza del lavoro dei colleghi, non poteva trarre utili insegnamenti dagli errori altrui o approfittare degli esperimenti ben condotti da ricercatori onesti e coscienziosi. In secondo luogo dava a tutti i ciarlatani e agli imbroglioni la possibilità di spacciarsi per studiosi seri purché parlassero in modo abbastanza incomprensibile. (A ben pensarci ancora oggi circolano persone che dicono di essere in grado di far accrescere il poco denaro risparmiato con grandi sacrifici dalla povera gente o di guarire dalle malattie più gravi !)

Lungo i secoli IV e V l’alchimia pare fosse fiorentissima e il suo centro principale era ad Alessandria d’Egitto dove era stato edificato un tempio dedicato alle Muse (il “Museo”) con annessa la più grande biblioteca dei tempi antichi, in cui erano conservati più di 700.000 libri. Con il consolidarsi del cristianesimo la “scienza pagana” cominciò però ad essere considerata con sospetto. Il Museo e la biblioteca di Alessandria subirono gravi danni in seguito a tumulti cristiani che ebbero luogo dopo il Quattrocento e alla fine un incendio mandò a fuoco quasi tutti gli scritti che vi erano custoditi.

Nel Settimo secolo dall’Egitto l’arte alchimistica passò agli Arabi i quali molto la perfezionarono e soprattutto la trasferirono in Occidente. Essi pertanto scoprirono e utilizzarono molti procedimenti ancora oggi in uso come ad esempio la distillazione, la calcinazione e la filtrazione, e produssero anche alcuni composti come il carbonato di sodio, la potassa e il sale di ammonio. Inoltre molte parole usate ed arrivate fino a noi come alambicco, alcol, amalgama, alcalino ed altre ancora derivano dall’arabo.

Passate in Occidente le dottrine alchimistiche si diffusero con grande rapidità e furono coltivate, oltre che dai soliti ciarlatani, anche da uomini di reale valore fra i quali va ricordato il frate inglese Ruggero Bacone (1214-1292) famoso al giorno d’oggi soprattutto per avere chiaramente espresso la convinzione che, per aspirare al progresso, fosse necessario fondarsi sull’esperienza e applicare alla scienza metodi matematici. Aveva ragione, ma i tempi non erano ancora completamente maturi per questo salto di qualità.

I libri che insegnavano quest’arte erano un intreccio di empirismo e misticismo espresso con un linguaggio enigmatico, pieno di allegorie, metafore, allusioni e analogie che lo rendevano per lo più incomprensibile. Ma le pubbliche dimostrazioni degli alchimisti venivano spesso condotte con tanta consumata maestria da ingannare anche gli osservatori più vigili. I meno abili o i più ingenui di questi personaggi, tuttavia, pagarono spesso con la vita il fallimento dei loro esperimenti e le delusioni delle speranze dei loro protettori: le impiccagioni e i roghi furono frequenti particolarmente in Germania, regione assai sensibile al sospetto di stregoneria. Spesso le impiccagioni degli alchimisti bari venivano eseguite su forche dipinte, per l’occasione e al fine di macabro dileggio, con vernice dorata.

Riguardo ai risultati concreti ottenuti dagli alchimisti, cioè alle scoperte che hanno dato un contributo al progresso della chimica, è istruttivo ricordare la definizione che dell’alchimia dette il filosofo e uomo politico inglese Francesco Bacone (1561-1626), il quale paragonava questa pseudoscienza che condusse alla chimica, ossia alla vera scienza, alla favola dell’uomo che rivelò ai figli di aver nascosto l’oro in un luogo non precisato della vigna. I figli si impegnarono a scavare fra le piante senza tuttavia trovare nulla: lavorarono però così bene il terreno da ottenere un’abbondante vendemmia.

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