La struttura geologica d’Italia


LE ALPI

L’attuale struttura geologica dell’Italia deriva essenzialmente dall’orogenesi alpina, detta anche alpino-himalaiana o alpidica. Si tratta di un complesso di deformazioni e di accavallamenti degli strati rocciosi, che è iniziato nel Cretaceo (circa 100 milioni di anni fa) e si è concluso praticamente nel Miocene (circa 15 milioni di anni fa) anche se alcuni contraccolpi, di non secondaria importanza, sono tuttora in atto.

L’orogenesi alpina si è manifestata in seguito alla collisione della zolla africana con quella europea. Questo scontro colossale fra due cratoni, cioè fra due grossi blocchi di crosta terrestre, ha provocato la compressione del materiale roccioso che costituiva il fondale di un piccolo bacino oceanico chiamato «piemontese-ligure» ampio probabilmente più di mille kilometri e lungo cinque volte tanto, situato fra la paleoeuropa e una propaggine dell’Africa occidentale, ora scomparsa, detta «Promontorio africano» o «Insubria».

Le rocce che formavano il pavimento abissale dell’antico oceano piemontese-ligure erano costituite da crosta sialica ricoperta da sedimenti provenienti dalle terre emerse. La maggior parte dei sedimenti che finirono nell’oceano andò però ad accumularsi all’interno di una profonda fossa, detta con termine tecnico geosinclinale, formatasi per l’azione di forze orogenetiche di distensione determinate, a loro volta, da correnti di convezione subcrostali rivolte in direzioni opposte, simili a quelle che si formano nell’acqua di una pentola posta sul fuoco. Per effetto di queste forze di trazione il fondo della geosinclinale fu interessato da una serie di faglie trasformi (fratture trasversali a scorrimento orizzontale) che provocarono l’emersione di materiale simatico del mantello e lo sprofondamento della geosinclinale stessa.

Tutte le rocce del fondo oceanico, in seguito alla spinta prodotta dal movimento del continente africano contro quello europeo, si sono compresse e ripiegate su sé stesse e quindi sono state sospinte sul bordo meridionale del continente paleoeuropeo dove le coltri rocciose si sono accavallate in modo caotico fino a formare quella che oggi è la più imponente catena montuosa d’Europa.

 

LA PANGEA

Ma l’Italia non è formata soltanto dalle Alpi. La storia geologica del nostro Paese è molto più lunga e complessa di quella che ha dato vita alla catena montuosa principale e possiamo farla iniziare circa duecento milioni di anni fa quando tutte le terre del globo erano raggruppate in un’unica grande massa detta Pangea (da due termini greci che significano «tutte le terre») circondata da un unico grande oceano detto Panthalassa (dal greco «tutti i mari»).

La vita della Pangea fu breve perché, subito dopo la sua comparsa, cominciarono a manifestarsi, sulla superficie, delle profonde spaccature, la prima delle quali, in senso orizzontale, portò alla formazione di due grandi blocchi, uno sistemato a nord, chiamato «Laurasia», che comprendeva le terre destinate a diventare l’America settentrionale, l’Europa e gran parte dell’Asia e l’altro sistemato a sud, chiamato «Gondwana», che comprendeva le terre che avrebbero formato l’America meridionale, l’Africa, l’Antartide, l’Australia e l’India. Fra questi due enormi blocchi di terre emerse si insinuava un oceano sterminato chiamato Tetide, o Mare mesogeo, esteso dall’attuale Mediterraneo fino al Borneo.

Circa 170 milioni di anni fa il settore occidentale del continente di Gondwana si staccò dal resto in seguito ad una frattura verticale che poi si sarebbe ampliata e riempita d’acqua fino ad originare l’attuale Oceano Atlantico. L’allargamento di questa frattura determinò lo spostamento verso est dell’Africa che, scivolando lungo il margine meridionale di quella che sarebbe diventata l’Europa, produsse l’isolamento dalla Tetide del già citato piccolo oceano piemontese-ligure, che si venne quindi a collocare fra la paleoeuropa e il promontorio africano che abbiamo chiamato «Insubria».

Mentre l’Africa si staccava dall’America meridionale, più a nord l’Europa e l’America settentrionale rimanevano ancora unite. Successivamente, però, queste terre si disgiunsero e l’Oceano Atlantico si poté estendere anche nel suo tratto settentrionale.

Frattanto l’India si separava dal continente di Gondwana e cominciava ad andare alla deriva verso nord. Dopo un viaggio di oltre 5.000 kilometri questo piccolo frammento di terra finì la sua corsa contro la Laurasia schiacciando in un’enorme morsa tutto il materiale accumulato nella geosinclinale che giaceva a sud del bordo meridionale di quel supercontinente. In seguito a quest’urto si formò la catena dell’Himalaya.

Mentre l’India si muoveva lentamente verso nord, più ad ovest il continente africano cominciava a spostarsi verso l’Europa, comprimendo energicamente i materiali che formavano il basamento del piccolo oceano piemontese-ligure. L’avvicinamento dell’Africa all’Europa si concluse con un’enorme collisione che causò gli stessi effetti che l’India aveva prodotto in precedenza scontrandosi con la Laurasia.

I materiali della geosinclinale si accavallarono in enormi falde di ricoprimento vergenti verso nord e lo stesso margine settentrionale del continente africano finì per scivolare su quello europeo. In questo modo si vennero a formare le due principali catene montuose italiane: le Alpi ad est e gli Appennini ad ovest.

 

GLI APPENNINI

Gli Appennini quindi, al momento della loro formazione, si trovavano sistemati in una posizione diversa dall’attuale. Essi erano disposti, infatti, sul prolungamento delle Alpi e quindi collegavano questa catena con i monti della Spagna meridionale. Subito dopo la nascita, però, gli Appennini subirono, nel loro insieme, un’imponente rotazione antioraria con perno nel golfo ligure. In questo movimento “a spazzola di tergicristallo” la catena appenninica si portò dietro anche un tratto del continente europeo che non era stato interessato dall’orogenesi alpina. Questa piccola zolla di antico continente europeo oggi è rappresentata dalla Sardegna e da gran parte della Corsica. Al movimento rotatorio della parte meridionale del paleocontinente europeo fu interessata anche la penisola iberica la quale, avvicinandosi al lato occidentale della Francia, andò a comprimere i sedimenti che riempivano una piccola depressione posta a ridosso di quel Paese. In seguito a questo evento si formarono i Pirenei.

Ora, poiché la migrazione della catena appenninica avveniva ad una velocità maggiore di quella che interessava il blocco sardo-corso, fra i due tratti di terra si aprì una frattura che in seguito si allargò e si riempì d’acqua formando il Tirreno, che quindi è un mare molto giovane, essendosi completati gli spostamenti, di cui si è detto, solo cinque milioni di anni fa.

Le deformazioni che hanno dato luogo alla costituzione della catena alpino-appenninica hanno interessato i sedimenti che si erano depositati nella geosinclinale, le rocce basaltiche del fondo della stessa geosinclinale e inoltre le parti marginali dei due blocchi continentali paleoeuropeo e paleoafricano.

 

LE FALDE DI RICOPRIMENTO

Le falde corrispondenti a quella che fu la zona marginale del paleocontinente europeo sono dette Elvetidi e sono costituite da sedimenti mesozoici e cenozoici che si erano depositati in corrispondenza della piattaforma continentale. Queste falde affiorano soprattutto nella parte esterna delle Alpi occidentali dove ricoprono il basamento sialico del vecchio continente europeo che oggi affiora in modo discontinuo nei massicci dell’Argentera, del Pelvoux-Belledonne, del Monte Bianco e dell’Aar-Gottardo.

Le falde del continente paleoeuropeo furono quindi ricoperte dai terreni che si erano accumulati nella geosinclinale del bacino piemontese-ligure e che erano stati spinti verso nord dal paleocontinente africano. Questi terreni, unitamente alle rocce basaltiche che costituivano il fondo della geosinclinale, formano le Pennidi (così chiamate dalle Alpi Pennine dove appaiono molto estese). Le Pennidi furono, a loro volta, ricoperte dalle falde del continente africano che ne hanno provocato lo sprofondamento. In seguito a questo abbassamento, le rocce si vennero a trovare in zone interne della terra in cui le elevate temperature produssero il loro metamorfismo. La falda pennidica è infatti caratterizzata anche dalla presenza di un buon numero di rocce scistose fra le quali le ofioliti, o pietre verdi, derivate dal metamorfismo delle effusioni basaltiche del fondo della geosinclinale.

La parte corrispondente al bordo del continente paleoafricano è stata quindi sospinta sulle Elvetidi e sulle Pennidi, subendo deformazioni assai più evidenti di quelle che hanno interessato il continente europeo e raggiungendo, soprattutto sul lato orientale delle Alpi, la zona più esterna. Qui le falde sovrascorse del vecchio continente africano coprono completamente i terreni della geosinclinale, i quali affiorano solo in due zone messe allo scoperto dall’erosione, chiamate rispettivamente «finestra della Bassa Engadina» e «finestra degli Alti Tauri».

Non tutta la parte corrispondente al bordo del paleocontinente africano è sovrascorsa sui terreni sottostanti. La porzione sovrascorsa è rappresentata da un insieme di falde chiamate Austridi, mentre la frazione che non si è accavallata sulle falde già posizionate corrisponde alle cosiddette Alpi calcaree meridionali, una serie di catene montuose che comprende, fra le altre, le Dolomiti.

Mentre ad est si formavano le Alpi, ad ovest si andavano costituendo, sempre a seguito dell’accavallarsi di falde di ricoprimento, gli Appennini nei quali tuttavia non sono rappresentati tutti i componenti dell’edificio strutturale alpino. Negli Appennini mancano infatti la parte esterna delle Pennidi e tutte le Elvetidi mentre sono presenti i terreni corrispondenti alle porzioni interne della geosinclinale e le Austridi.

Il carattere strutturale incompleto degli Appennini, rispetto a quello delle Alpi, è stato acquisito posteriormente alla formazione delle due catene. I terreni corrispondenti al bordo del continente paleoeuropeo si trovano infatti sotto il mare, dove sono finiti in seguito allo sprofondamento tettonico causato dalla rotazione a cui sono stati sottoposti gli Appennini dopo la loro nascita.

Inoltre, passando dalle Alpi agli Appennini, si nota una profonda diversità nei rapporti fra le falde delle Pennidi e quelle delle Austridi. Mentre sulle Alpi, come si ricorderà, le falde delle Austridi appaiono sovrascorse su quelle delle Pennidi, negli Appennini si nota esattamente l’opposto, ossia l’accavallamento delle coltri di ricoprimento delle Pennidi su quelle delle Austridi. Ciò è dovuto al fatto che nella zona appenninica dell’orogenesi, si è verificata la subduzione (sottoscorrimento) del bordo del continente africano sotto la falda pennidica. Questo fatto ha comportato anche una diversa localizzazione del metamorfismo in seno alle rocce delle due catene montuose. Nelle Alpi, infatti, sono state metamorfosate le formazioni pennidiche, mentre sugli Appennini risultano metamorfosate le formazioni austridiche.

 

I TERRENI PIU’ ANTICHI

Le Alpi e gli Appennini (con annesso il blocco sardo-corso), rappresentano, senza dubbio, l’ossatura centrale della nostra Penisola, ma, come vedremo, non sono le uniche strutture geologiche che la costituiscono. Esistono infatti, nel nostro Paese, territori molto estesi formati da rocce che hanno avuto origine in epoche antecedenti e susseguenti quelle che hanno generato la catena alpino-appenninica e che sono stati coinvolti in processi geodinamici di varia natura.

Sono presenti, ad esempio, nelle Alpi orientali, al di sotto di terreni fossiliferi del Siluriano, alcune rocce scistose e granitoidi che potrebbero essere di età archeozoica, quindi molto antiche, e che, per la complessità delle loro deformazioni, prima di venire imprigionate nella catena alpina, con molta probabilità furono coinvolte in cicli orogenetici prepaleozoici.

Scisti cristallini simili a quelli presenti nelle Alpi orientali affiorano anche su vaste aree della Calabria, nella parte sud-orientale della Sicilia e in Sardegna. Questi terreni, forse non sono così antichi come quelli presenti nelle Alpi, ma sicuramente si possono ascrivere almeno al Paleozoico inferiore.

Terreni, invece, sicuramente del Paleozoico inferiore, sono presenti in Sardegna e in Carnia dove affiorano rocce del Cambriano, del Siluriano e del Devoniano ricche di fossili. Questi terreni molto antichi hanno potuto conservare, pressoché inalterato, il loro prezioso contenuto paleontologico anche perché non hanno subito notevoli deformazioni durante le orogenesi precedenti a quella alpino-himalaiana.

Assai più diffusi sono i terreni del Paleozoico superiore. Il Carbonifero, ad esempio, è presente, oltre che nelle Alpi carniche, anche in quelle occidentali e in Sardegna. Sono del Carbonifero, i cosiddetti «massicci cristallini esterni» delle Alpi occidentali che abbiamo già ricordato (Argentera, Pelvoux-Belledonne, Monte Bianco ed Aar-Gottardo), e i «massicci interni» del Monte Rosa e del Gran Paradiso. Anche il Permiano è ben rappresentato, soprattutto nell’arco alpino, in Sardegna e in Sicilia. In particolare in Sardegna è presente con formazioni continentali derivanti dalla demolizione dei rilievi creati dall’orogenesi ercinica. Nelle Alpi orientali invece il Permiano è rappresentato da vulcaniti e tufi acidi nella cosiddetta «piattaforma porfirica atesina», della zona di Bolzano.

Terreni del Mesozoico inferiore (Trias) affiorano un po’ dovunque e vi si possono riconoscere successioni marine e continentali. Importanti per la varietà dei litotipi e per la ricchezza dei fossili sono soprattutto le Prealpi lombarde e le Dolomiti. Il Trias fu anche interessato da manifestazioni vulcaniche nelle Alpi Giulie, nelle Dolomiti e in Lombardia.

Durante il periodo giurassico avviene l’apertura del bacino oceanico piemontese-ligure e subito iniziano a depositarsi in esso, a seconda della profondità dei fondali, sedimenti neritici o pelagici. Verso la fine del periodo si verificano, nel fondo della geosinclinale, le prime effusioni di rocce basiche ed ultrabasiche che in seguito verranno coperte dai sedimenti e quindi strizzate e dislocate dalle forze orogenetiche. In questo modo si vennero a formare le già citate ofioliti o pietre verdi presenti soprattutto nell’Appennino settentrionale e nelle Alpi occidentali.

Nel Cretaceo si verificò una prima fase di compressione del bacino oceanico e dei materiali in esso contenuti che cominciarono ad emergere dal mare. In questo modo si formarono una serie di arcipelaghi stretti e allungati, paralleli fra loro e separati da fosse marine in via di veloce sprofondamento, nei quali si andava accumulando il materiale clastico derivante dalla demolizione delle terre emerse da parte degli agenti esogeni. Questo tipo di sedimentazione determinò la formazione di una facies molto tipica che va sotto il nome di flysch.

 

I TERRENI PIU’ RECENTI

Nell’era cenozoica, si assiste ad un’evoluzione accelerata della nostra Penisola con il movimento delle grandi falde di ricoprimento verso nord. Il fenomeno inizia alla fine dell’Eocene quando i bacini che separavano gli arcipelaghi erano stati ormai completamente riempiti dal flysch e il mare cominciava a ritirarsi da vaste aree della regione alpina. Contemporaneamente si assistette alla compressione della geosinclinale fra il continente africano e quello europeo con conseguente deformazione e corrugamento del suo contenuto. La fase parossistica dell’orogenesi alpina può collocarsi quindi nell’Oligocene, circa 35 milioni di anni fa.

Alla fine dell’era cenozoica, nell’area corrispondente a quella che diventerà la pianura padana, inizia la deposizione di materiale clastico proveniente dallo smantellamento della catena alpina che stava emergendo dalle acque oceaniche. Questo materiale generò la molassa, una formazione rocciosa costituita da arenarie, argille, calcari e conglomerati, simile al flysch, ma depositatasi in una fase più avanzata dell’orogenesi. Contemporaneamente all’accumulo dei detriti provenienti dalla catena montuosa in via di sollevamento, si assistette ad una notevole attività magmatica che portò alla formazione delle aree vulcaniche dei Lessini, dei Berici e degli Euganei.

Frattanto, la convergenza fra la catena appenninica e quella alpina aveva delimitato un vasto golfo a forma triangolare con vertice in Piemonte e base in Veneto che poi proseguiva lungo la penisola bordando il lato degli Appennini rivolto verso l’Adriatico. In questo mare poco profondo si depositò, durante il Pliocene, la cosiddetta «Formazione gessoso-solfifera» un insieme di terreni di varia natura contenenti livelli di gesso e zolfo che affiora lungo tutto l’arco esterno dell’Appennino fino in Sicilia, mentre nella pianura padana la stessa formazione è ricoperta dai depositi fluvio-glaciali e alluvionali.

Nel Quaternario, infine, la catena alpina, e in parte anche quella appenninica, sono state ripetutamente ricoperte dai ghiacciai i quali hanno portato a valle ingenti quantità di materiale morenico che si è depositato nelle depressioni di fondovalle sbarrando quegli avvallamenti scavati dai ghiacciai stessi e riempiti successivamente d’acqua che formano gli attuali grandi laghi subalpini. Successivamente i fiumi che scendevano dalle Alpi e dagli Appennini hanno provveduto a riempire di materiale alluvionale la pianura padana e, contemporaneamente, il mare che la inondava si ritirò più o meno sulle posizioni che occupa attualmente.

Prima di concludere è necessario accennare a quell’intensa attività magmatica che caratterizza il nostro territorio e che, iniziatasi già nel Pliocene, è continuata poi per tutto il Quaternario e prosegue anche attualmente. Questa attività è consistita nella messa in posto di alcuni piccoli plutoni granitici e granodioritici come quelli dell’Isola d’Elba e del versante tirrenico della Toscana, e vulcanici come quelli di Monte Amiata e dei Monti Cimini. A questa attività endogena sono legati sia i giacimenti di cinabro del Monte Amiata, sia le manifestazioni geotermiche di Larderello.

Della stessa età sono gli apparati vulcanici dei Monti Vulsini e Sabatini, di Vico, di Albano, di Roccamonfina e del Vulture, mentre più recenti sono le prime manifestazioni eruttive dei vulcani attivi della nostra penisola: Vesuvio, Vulcano, Stromboli ed Etna.

 

Schema essenziale (che va letto dal basso verso l’alto) delle Ere e dei Periodi geologici:  

         ERE            PERIODI MILIONI
DI ANNI
NEOZOICA o QUATERNARIA Olocene
0
2
12
25
40
65
135
200
250
280
350
400
500
600

000

Pleistocene
CENOZOICA oTERZIARIA Pliocene
Miocene
Oligocene
Eocene
MESOZOICA oSECONDARIA Cretacico
Giurassico
Triassico
PALEOZOICA oPRIMARIA Permiano
Carbonifero
Devoniano
Siluriano
Cambriano
ARCHEOZOICA o
PRECAMBRIANA

Prof. Antonio Vecchia

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