Lo stato gassoso e le sue leggi


LE PROPRIETÀ DELLA MATERIA

Il modo più naturale di classificare i corpi materiali è quello di suddividerli in base al loro stato fisico. Fissata una certa temperatura, si può infatti osservare che i corpi si presentano o sotto forma di solidi, o sotto forma di liquidi, o sotto forma di gas. Cambiando la temperatura cambia anche lo stato fisico di alcuni di essi. Ad esempio, i  solidi possono diventare liquidi.

Fra i solidi vengono inclusi i corpi rigidi che possiedono volume e forma definiti. Fra i liquidi vengono inclusi i corpi fluidi che possiedono volume definito, ma forma indefinita. Infine, fra i gas vengono inclusi i corpi, anch’essi fluidi, che non possiedono però né volume né forma definiti in quanto occupano tutto il recipiente in cui sono contenuti.

Una classificazione basata esclusivamente sul volume e sulla forma, come quella che abbiamo appena esposto, non è soddisfacente e se si analizzano con maggiore attenzione le proprietà di alcuni corpi ci si rende conto che non è così automatico come sembra a prima vista inserirli nell’una o nell’altra categoria. Se ad esempio si prende della pece, che è una sostanza che si presenta in corpi con volume e forma definiti e che quindi dovrebbe essere classificata fra i solidi, e la si pone in un recipiente, si nota, dopo un tempo sufficientemente lungo, che questa lentamente si deforma e finisce per occupare la zona inferiore del recipiente in cui è stata posta, adattandosi ad essa, esattamente come farebbe un liquido. La pece, quindi, dobbiamo considerarla un solido o un liquido?

Oltre ai corpi amorfi come quello che abbiamo portato ad esempio vi sono altri stati della materia che presentano caratteristiche del tutto particolari. Fra questi vi è lo stato di plasma il quale è considerato il quarto stato di aggregazione della materia in quanto in tale stato si presenta la maggior parte della materia che compone l’Universo: tutte le stelle, ad esempio, sono fatte di plasma. Il plasma quindi, per abbondanza e importanza dovrebbe essere indicato come il primo stato della materia ma non essendo presente sulla Terra esso per noi rimane piuttosto misterioso.

E’ evidente quindi che per una migliore classificazione degli stati di aggregazione della materia non è sufficiente limitarsi all’analisi degli aspetti esteriori degli oggetti di studio, ma diventa necessario far riferimento a caratteristiche più intime di quanto non siano il volume e la forma.

Per definire e descrivere, in modo più rigoroso, lo stato fisico di un corpo, ossia l’insieme delle sue proprietà fisiche, si è reso infatti necessario fissare alcune grandezze dette “funzioni di stato”,che sono la temperatura, la pressione, il volume e la massa. Ogni corpo è caratterizzato da valori precisi di queste quattro grandezze legate fra loro da equazioni matematiche dette “equazioni di stato”. In conseguenza di ciò, cambiando anche una sola di esse, cambia lo stato fisico del corpo. Viceversa, dalla conoscenza di tre sole di queste grandezze è possibile conoscere il valore della quarta che rimane fissata in modo univoco.

Studiando il comportamento macroscopico delle diverse sostanze al variare dei parametri fisici che le caratterizzano, si osserva che mentre per i gas esiste una uniformità di comportamento molto accentuata per tutti i tipi di gas su cui si sperimenta, per i liquidi e per i solidi, la variazione dei fattori fisici che li caratterizza, non è regolare per i diversi tipi di sostanza che si prende in considerazione. Ciò dipende dal fatto che mentre i gas possono essere considerati formati di corpuscoli che viaggiano liberi da vincoli di qualsiasi natura, i liquidi e i solidi sono formati invece da particelle legate da forze di interazione più o meno intense. Ed è proprio dall’intensità dei legami chimici che dipende il diverso comportamento dei diversi tipi di sostanze liquide e solide.

 

LA LEGGE DI BOYLE E IL CONCETTO DI GAS PERFETTO

In questa sede analizzeremo lo stato fisico dei gas il cui comportamento, come si è accennato, è molto lineare e può essere descritto da leggi molto semplici le quali a loro volta possono essere interpretate facendo ricorso a modelli anch’essi molto semplici.

Come abbiamo detto, la caratteristica macroscopica fondamentale dei gas (o, per meglio dire, degli aeriformi, comprendendo in questo modo anche i vapori), è quella di non possedere né forma né volume propri. Essi quindi occupano tutto lo spazio del recipiente nel quale sono contenuti, assumendone anche la forma. I gas inoltre possiedono densità molto basse (mediamente circa 1.000 volte inferiori a quelle dei liquidi, o dei solidi) e per tale motivo risultano fortemente comprimibili.

I gas vennero studiati per la prima volta dal medico fiammingo Jan Baptist van Helmont (1577-1644) il quale fu anche il primo a suggerirne il nome che deriva dalla parola greca “caos”, con la quale, in tempi antichi, si indicava la materia indistinta da cui si sarebbe originato l’Universo.

La legge che lega la variazione del volume dei gas alla pressione è stata individuata dal fisico irlandese Robert Boyle nel 1660. Si tratta di una legge che può essere dedotta da esperimenti del tipo di quello che verrà descritto qui di seguito.

Si immagini quindi di intrappolare una certa quantità di gas all’interno di un recipiente cilindrico chiuso da un pistone mobile a tenuta perfetta, come è illustrato nella figura che appare qui sotto. Mantenendo costante la temperatura, si osserva che ad ogni variazione di pressione corrisponde una variazione di volume; e più precisamente: raddoppiando la pressione il volume dimezza, quadruplicando la pressione il volume si riduce a un quarto, e così via.

 

La legge di Boyle: al raddoppiamento successivo della pressione di un gas, corrisponde il dimezzamento del suo volume.

Esperimenti come quello descritto, eseguiti con gas di diversa natura, hanno sempre mostrato un comportamento molto simile, soprattutto quando i gas si trovavano a pressioni non troppo elevate e a temperature non troppo basse.

La raccolta di un gran numero di dati sperimentali permise a Robert Boyle di enunciare la seguente legge: “Il volume di una determinata quantità di gas varia in proporzione inversa alla sua pressione”. Più tardi il fisico francese Edme Mariotte (1620-1684) precisò che la temperatura, durante l’esperimento, doveva rimanere costante e pertanto oggi la legge è nota anche come “legge di Boyle-Mariotte” (o legge isoterma).

La legge viene espressa matematicamente nel modo seguente:

 P ⋅ V = K     con  t = costante   (condizioni isoterme)

dove con P, V e t sono indicate rispettivamente la pressione, il volume e la temperatura, mentre K è una costante. La pressione è la grandezza fisica che esprime il rapporto fra la forza applicata e la superficie su cui la forza agisce. Il volume è la porzione di spazio in cui il corpo in esame è contenuto.

L’unità di misura della pressione nel Sistema Internazionale è il pascal (Pa) e corrisponde alla forza di un newton (N) applicata perpendicolarmente ad una superficie di 1 metro quadrato: 1 Pa = 1N/m2. In meteorologia per la misura della pressione atmosferica è generalmente usato il bar (= 105 N/m2) o meglio il suo sottomultiplo, il millibar pari a 102 N/m2.  La pressione atmosferica media vale 1013 millibar (per la precisione 1013,25 millibar). Spesso però la pressione si preferisce esprimerla in atmosfere (atm): 1 atm = 1,013·105 Pa. Il pascal, come si può vedere, è un’unità molto piccola, dell’ordine del centomillesimo di atmosfera, per cui quando si vuole esprimere la pressione atmosferica con l’unità di misura ufficiale si usa l’ettopascal (hPa), ovvero 100 Pascal, e pertanto una atmosfera vale 1013 hPa. Una atmosfera corrisponde alla forza peso che una colonna d’aria, alta quanto l’atmosfera (da cui il nome), esercita su un cm2 di superficie; essa equivale, per il principio dei vasi comunicanti, al peso di una colonna di mercurio alta 760 mm, della sezione di 1 cm2, misurata alla temperatura di 0 °C, al livello medio del mare e a 45° di latitudine. Spesso pertanto la pressione viene anche espressa in millimetri di mercurio (mm Hg): 1 atm = 760 mm Hg. Il millimetro di mercurio (detto anche torr) è la pressione pari a quella esercitata sulla base di una colonna di mercurio dell’altezza di un millimetro (a 0 °C).

Il volume normalmente viene espresso in litri (L), in centimetri cubi (cm3) o in millilitri (ml): 1 L = 1000 cm3 = 1000 ml.

In forma analitica la legge di Boyle assume la forma seguente:

 P’ ⋅ V’ = P” ⋅ V” = P'” ⋅ V'” = …         (a   t = costante)

    Se ad esempio con P’ indichiamo la pressione di 750 millimetri di mercurio (mm Hg) del volume V’ di 100 cm3 di aria a temperatura non troppo bassa otteniamo per il prodotto P’ ⋅ V’ il valore di 75000. Se ora, mantenendo costante la temperatura facciamo scendere la pressione P” a 600 mm Hg si nota che il volume V” sale a 125,5 cm3, per cui si ottiene per il prodotto P” ⋅ V” il valore di 75300. Se infine in una terza misurazione, sempre a temperatura costante, facciamo ulteriormente scendere la pressione fino a P'” = 400 mm Hg il volume V'” diventa di 187 cm3 e pertanto otteniamo il prodotto P'” ⋅ V'” uguale a 74800. Come si può vedere i tre prodotti della pressione per il volume del nostro esperimento con l’aria chiusa nel cilindro munito di pistone mobile mostrano valori molto simili, ma non identici, come è normale avvenga nelle misure sperimentali.

Pertanto gli esperimenti confermano che la legge di Boyle (così come pure le altre leggi sui gas che seguiranno), è valida solo in prima approssimazione, nel senso che può ritenersi soddisfatta, all’interno degli errori sperimentali, solo per i gas molto rarefatti e lontani dal punto di condensazione. Si tratta quindi di una legge limite perché risulterebbe rigorosamente valida solo nel caso di un gas ideale.

Il gas ideale ovviamente in natura non esiste (in natura esistono gas reali) e rappresenta quindi un’astrazione, cioè rappresenta un gas che segue alla perfezione la legge che abbiamo esposto sopra. Il gas ideale (o gas perfetto) è un gas le cui particelle, pur avendo una massa, devono essere immaginate prive di volume, e sistemate a distanza tale da non interagire in alcun modo fra di loro. Nei gas reali, invece, le particelle hanno massa e volume propri ed interagiscono fra di loro in modo più o meno evidente. Tuttavia è bene ribadire che i gas reali, a temperature piuttosto elevate e a pressioni basse, possono essere ritenuti ideali e infatti, come si è visto nel nostro esempio, obbediscono, quasi perfettamente, alla legge di Boyle.

 

LE LEGGI FISICHE DI GAY-LUSSAC

Le leggi che ci apprestiamo ora a descrivere vengono dette “leggi fisiche di Gay-Lussac” per distinguerle da una legge chimica dello stesso autore, di cui si parla in altra sede. In questo caso si tratta di due leggi sperimentali che mettono in relazione la variazione di volume o di pressione di una determinata massa di gas al variare della temperatura, quando si mantiene costante la pressione o, rispettivamente, il volume.

Il problema relativo alla dilatazione dei gas per effetto del calore, fu affrontato inizialmente dal fisico francese Jacques Alexandre César Charles (1746-1823), il quale aveva osservato che in conseguenza di uno stesso aumento di temperatura, tutti i gas si dilatano in eguale misura. Successivamente, anche Alessandro Volta si interessò dell’argomento e dedusse empiricamente una legge di dilatazione per l’aria e per il vapore acqueo. Finalmente, verso il 1800, il fisico e chimico francese Louis Joseph Gay-Lussac (1778-1850), ordinò e generalizzò tutte le osservazioni precedenti esprimendole sotto forma di rigorose leggi fisiche. Le leggi prendono ora il nome di prima e seconda legge di Gay-Lussac e possono essere così sintetizzate:

    I Legge di Gay-Lussac: “Il volume di una determinata quantità di gas, a pressione costante, aumenta (o diminuisce) di 1/273 del volume occupato dal gas alla temperatura di zero gradi centigradi, per ogni aumento (o diminuzione) della temperatura di 1 °C.”

In forma matematica la legge si presenta nel modo seguente:

 Vt = V0⋅ (1 + ⋅t)      con  P = costante (condizioni isobare)

dove Vt è il volume del gas alla temperatura t (espressa in gradi Celsius, °C), V0 è il volume del gas a 0 °C e è un coefficiente che vale circa 1/273.

II Legge di Gay-Lussac. Se invece che mantenere costante la pressione, si mantiene costante il volume, al variare della temperatura, si osserva una variazione di pressione che segue una legge analoga a quella vista in precedenza. Questa seconda legge di Gay-Lussac può essere così enunciata: “La pressione di una determinata quantità di gas, mantenendo costante il volume, aumenta (o diminuisce) di 1/273 della pressione esercitata alla temperatura di zero gradi centigradi per ogni aumento (o diminuzione) della temperatura di 1 °C .”

In forma matematica la legge si scrive nel modo seguente:

 Pt = P0 (1 + ⋅t)    con V = costante (condizioni isocore)

in cui Pt è la pressione alla temperatura t, P0 (di solito uguale a 1 atmosfera) è la pressione fissata a 0 °C , e ha lo stesso valore di 1/273 della legge precedente.

Anche queste leggi, come avevamo anticipato, risultano rigorosamente valide solo nel caso di un gas perfetto. Esse tuttavia possono essere applicate con buona approssimazione a gas reali, purché a pressioni non troppo alte e a temperature non troppo basse.

 

LA SCALA ASSOLUTA DELLE TEMPERATURE

Dalla prima legge di Gay-Lussac si ricava che alla temperatura di 273 gradi sotto zero (per la precisione a -273,16 °C ), a pressione costante, il volume di un gas si annulla; a temperature ancora più basse dovrebbe addirittura assumere valori negativi e quindi privo di significato. Infatti, se nella formula Vt = V0(1 + t), al posto di t si scrive -273, si ottiene Vt = 0; , come abbiamo detto, vale 1/273. La stessa cosa avviene per la pressione, se si considera costante il volume (in sintonia con la II legge di Gay-Lussac).

Pertanto, si dovrebbe concludere che alla temperatura di 273 gradi sotto zero, il volume (e la pressione) di un gas si annulla: ciò vorrebbe dire in pratica che sparisce la materia, una cosa che, a prima vista, potrebbe sembrare assurda. Prima di trarre conclusioni azzardate si deve però riflettere sul fatto che il risultato è stato ottenuto estrapolando i valori su un’equazione matematica. In realtà, i gas non annullano il loro volume e la loro pressione alla temperatura di 273 gradi sotto lo zero, semplicemente perché, a quella temperatura, non esistono come tali. Molto prima di raggiungere i -273 °C, infatti, i gas liquefanno e poi solidificano. Le leggi di Gay-Lussac hanno valore solo in quell’intervallo di temperatura entro il quale la sostanza su cui si sperimenta è effettivamente un gas.

L’osservazione che abbiamo effettuato mantiene tuttavia un suo interesse in quanto indica che esiste una temperatura limite, una temperatura al di sotto della quale le leggi fisiche perdono di significato. La temperatura di -273,16 °C non può essere sperimentalmente mai raggiunta, e viene indicata come “zero assoluto”. In effetti è stato possibile costruire una scala assoluta delle temperature, detta anche scala Kelvin (K), per distinguerla da quella Celsius (°C), che ha come punto di partenza lo zero assoluto. Fra la temperatura assoluta che si indica con T e la temperatura in gradi Celsius che si indica con t, esiste la seguente relazione:

T(K) = t(°C) + 273,16 (°C).

     È abbastanza facile rendersi conto dell’esistenza di un limite inferiore della temperatura tenendo presente che i gas sono formati di particelle in continuo movimento la cui velocità aumenta con l’aumentare della temperatura e diminuisce con il diminuire della stessa. Lo zero assoluto corrisponderebbe alla temperatura a cui le molecole del gas sarebbero ferme ed è evidente che queste non potrebbero essere “più che ferme”: quest’ultima osservazione corrisponderebbe, a livello macroscopico, ad ammettere l’esistenza di un volume negativo. D’altronde è evidente che un gas non potrà mai essere portato allo zero assoluto perché ciò sarebbe in contraddizione con lo stesso stato fisico di gas che, in quanto tale, richiede il movimento delle molecole.

 

LEGGE E NUMERO DI AVOGADRO

Se si misurano i volumi occupati a 0 °C e alla pressione di una atmosfera di una mole di un qualsiasi gas si osserva che questi volumi sono più o meno tutti uguali e precisamente vicini al valore di 22,414 litri. Possiamo quindi dire che una mole di un qualsiasi gas in condizioni normali (c.n.) occupa un volume di circa 22,414 litri (è esattamente di quel valore il volume molare di un gas ideale).

Questa osservazione è in accordo con la legge di Avogadro la quale afferma che “volumi uguali di gas diversi, misurati nelle stesse condizioni di pressione e temperatura, contengono un uguale numero di molecole”. Questo vuol dire che in condizioni normali cioè a 0 °C di temperatura e a 1 atmosfera di pressione ad esempio un litro di ossigeno conterrà lo stesso numero di molecole di un litro di anidride carbonica o di un litro di aria. Si noti che non vi sono differenze dipendenti dal fatto che si tratti di un elemento, di un composto o di una miscela e ciò è possibile solo per l’estrema piccolezza delle molecole a confronto con le dimensioni dei volumi misurati.

Misure molto precise hanno inoltre stabilito che una mole di qualsiasi gas (ma anche più in generale di qualsiasi sostanza, gassosa o meno) contiene esattamente 6,023·1023 molecole. Questo valore prende il nome di “numero di Avogadro” e poiché, come abbiamo detto, una mole di qualsiasi gas in c.n. occupa 22,414 litri e contiene un numero di Avogadro di molecole ciò rappresenta la conferma della legge di Avogadro. Ma, è bene ribadire, il numero di Avogadro non si riferisce solo ai gas ma a qualsiasi elemento o composto: ad esempio 55,847 grammi di ferro (55,847 è il peso atomico del ferro) contengono un numero di atomi pari al numero di Avogadro e 18,015 grammi di acqua (18,015 è il peso molecolare dell’acqua) contengono lo stesso numero di molecole.

Forse è opportuno ricordare che la mole (o grammomolecola, o grammoatomo) è una quantità espressa in grammi pari al peso molecolare di un composto o al peso atomico di un elemento.

 

L’EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI

La legge di Boyle e le due leggi di Gay-Lussac possono essere riunite in un’unica equazione che esprime lo stato generale del gas. Per fondere le tre leggi in una sola si procede nel modo seguente.

Immaginiamo di avere una mole di gas (ideale) in condizioni normali (c. n.), cioè alla temperatura t0 di 0 °C e alla pressione P0 di 1 atm chiusa in un cilindro con il pistone mobile. Il gas, in queste condizioni, come sappiamo, occupa il volume V0 di 22,414 L (volume molare).

Le nostre condizioni di partenza saranno quindi:

t0  = 0 °C
V0 = 22,4 L
P0 = 1 atm

Riscaldiamo ora questo gas, mantenendo costante la pressione, fino a raggiungere la temperatura t. Il gas si dilaterà e quindi il pistone che chiude il cilindro si sposterà verso l’alto per consentire alla pressione di rimanere la stessa. Abbiamo fatto una trasformazione isobara (pressione costante) e quindi il volume aumenterà come previsto dalla prima legge di Gay-Lussac. Avremo ora le seguenti condizioni:

 

temperatura = t
Vt                    =  V0 (1 + a×t)
P0                   = 1 atm

Infine, mantenendo fissa la temperatura, si operi una compressione fino a raggiungere il volume finale V: poiché quest’ultima è stata una trasformazione isoterma, cambiando il volume sarà cambiata anche la pressione: indichiamo il nuovo valore della pressione con P. Le condizioni, dopo questo passaggio, saranno:

temperatura = t
volume          = V
pressione      = P

Il passaggio fra il secondo e il terzo stadio del nostro esperimento è avvenuto a temperatura costante quindi ad esso possiamo applicare la legge di Boyle la quale verrà scritta nel modo seguente:

       P⋅V = V0 (1 + 1/273 t) ⋅ P0,     ossia:

                     273 + t
P⋅V = P0 V0 ⋅ ⎯⎯⎯⎯
273

 quindi, essendo: 273 + t = T,  sostituendo avremo:

P0 ⋅ V0
P ⋅ V = ⎯⎯⎯⎯⎯ ⋅ T            (1)
273

In quest’ultima equazione, P0 e V0 sono quantità determinate, e precisamente: P0 = 1 atm, e V0 = 22,414 L. Pertanto, P0·V0/273 assume un valore fisso che chiameremo R, “costante universale dei gas”. L’equazione (1), sostituendo P0 ⋅ V0 /273 con R, diventa:

 P⋅V = R⋅T

Questa equazione è valida per una massa di gas pari ad una mole. Se invece che riferirla ad una sola mole, la si riferisse ad un numero qualsiasi di moli (n), l’equazione assumerebbe la seguente forma:

P⋅V = n⋅R⋅T

 che è detta “equazione di stato dei gas ideali”.

Il valore numerico di R dipende dalle unità usate per la misura del volume, della pressione, della temperatura e della massa. In chimica, volume, pressione, temperatura e massa, si esprimono normalmente rispettivamente in litri, atmosfere, gradi Kelvin e moli. Il valore della costante R si calcola quindi ponendo P=1 atm, V=22,414 L, T=273,16 K e n=1 mol. Pertanto avremo:

           1 (atm) · 22,414 (L)

R = ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯ = 0,082 atm ⋅ L ⋅ K-1 ⋅ mol-1

           273,16 (K) · 1 (mol)

Forse non è superfluo far osservare che l’equazione di stato dei gas ideali rappresenta un’ulteriore conferma della legge di Avogadro. Infatti, se si prendono due volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, e si indica con n1 il numero delle molecole contenute nel primo recipiente e con n2 il numero delle molecole contenute nel secondo recipiente, per il primo gas deve valere: P⋅V = n1⋅R⋅T, mentre per il secondo: P⋅V = n2⋅R⋅T. Ora, se in entrambe le equazioni P, V, R e T sono uguali, devono necessariamente essere uguali anche n1 e n2.

 

TEORIA CINETICA DEI GAS

Le leggi che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti, racchiudono le osservazioni sul comportamento e sulle proprietà dei gas. Nella scienza tuttavia, non ci si può limitare ad osservare e a catalogare, bisogna anche spiegare: si deve cioè trovare un modo per interpretare coerentemente i fatti sperimentali. Sappiamo che ciò si ottiene attraverso la formulazione di teorie e di modelli.

La teoria che interpreta il comportamento dei gas si chiama “teoria cinetica dei gas” (il termine kìnema in greco significa “movimento”). A questa teoria si è arrivati attraverso una serie di osservazioni fra le quali vi è il moto browniano cosiddetto in onore del botanico inglese Robert Brown (1773-1858). Egli, osservò per la prima volta il tipo di movimento che da lui prende il nome esaminando al microscopio il moto di granuli di polline galleggianti sull’acqua. Ci si può rendere conto del fenomeno anche senza far uso del microscopio. Se si osserva un raggio di luce che entra in una stanza buia si possono vedere in esso i minutissimi e impalpabili granellini di polvere muoversi a zig-zag in modo disordinato e frenetico. Che cosa è che fa muovere i granellini di polline sull’acqua e di polvere nell’aria? Un’ipotesi molto attendibile è quella che a spingere in ogni direzione i piccolissimi granellini di polline e polvere siano le ancora più piccole particelle che costituiscono l’acqua e l’aria. Sulla base di questa ipotesi è stato possibile costruire un modello detto “modello cinetico del gas ideale” in cui il gas viene immaginato costituito di particelle puntiformi, prive cioè di volume, con massa m uguale per tutte e separate da distanze tali da poterle considerare in assenza di interazioni, quindi indipendenti fra loro.

Questo semplice modello meccanico ci permette di interpretare coerentemente il comportamento dei gas. Infatti, possiamo immaginare che le particelle che si trovano all’interno di un recipiente si urtino fra di loro e contro le pareti del recipiente con collisioni perfettamente elastiche, e quindi senza dispersione di energia per attrito. A causa degli urti può cambiare l’energia cinetica di una singola particella, ma l’energia cinetica complessiva rimane sempre la stessa: ecco il motivo per il quale le particelle di un gas non si fermano mai. Attraverso il modello è possibile spiegare anche tutte le altre proprietà del gas.

La pressione, ad esempio, sarebbe il risultato delle collisioni delle particelle contro le pareti del contenitore. Aumentando il numero delle particelle all’interno del recipiente, aumenta la pressione perché aumenta statisticamente il numero degli urti contro le pareti. Anche riducendo le dimensioni del recipiente aumenta la pressione, e lo fa per lo stesso motivo di prima.

Per quanto riguarda la temperatura, lo sviluppo matematico del modello meccanico(*), porta ad un risultato molto simile a quello che si ricava attraverso l’esperienza. Precisamente, la pressione delle particelle contro le pareti del recipiente, moltiplicata per il volume del recipiente stesso, risulta proporzionale all’energia cinetica media delle particelle in esso contenute. In forma matematica, il risultato può essere espresso nel modo seguente:

P ⋅ V = 2/3 ⋅ N0 ⋅ Ec.

dove P⋅V è il prodotto pressione per volume, N0 è il numero delle particelle contenute nel recipiente in cui si sperimenta (che nei calcoli potremmo assumere uguale al numero di Avogadro) e Ec è la loro energia cinetica media.

Confrontando ora l’espressione derivata dal modello teorico con la legge sperimentale relativa ai gas perfetti, che per una mole di sostanza si presenta nella forma P⋅V = R⋅T, si ottiene:

R ⋅ T = 2/3 ⋅ N0 ⋅ Ec ,   da cui:

3        R
Ec = ⎯⎯ ⋅ ⎯⎯ ⋅ T
2        N0

Quest’ultima espressione stabilisce una relazione di proporzionalità diretta fra l’energia cinetica media delle particelle di un gas ideale e la temperatura assoluta. In altre parole, il concetto di temperatura risulta spiegato in base al moto delle particelle del gas. Dal confronto della legge sperimentale con il modello meccanico si ricava infatti che la temperatura di un gas non è altro che l’espressione del moto delle particelle che lo costituiscono.

Infine, per completezza d’informazione, facciamo notare che R/N0, rapporto fra due costanti (la costante universale dei gas e il numero di Avogadro) è a sua volta una costante, che prende il nome di “costante di Boltzmann” e si indica con k. Pertanto l’espressione analitica, che lega l’energia cinetica delle particelle di un gas perfetto alla temperatura, normalmente si trova scritta nel modo seguente:

Ec = 3/2 · k · T

(*) Lo studio dei gas non può essere compiuto analizzando il comportamento di ogni singola molecola, ma deve essere condotto in  termini statistici. La statistica è quella parte della matematica che utilizzando il calcolo delle probabilità si occupa di fenomeni collettivi (geografici, economici, fisici, ecc.). I risultati si ottengono dalla rilevazione di proprietà che si riferiscono ad un numero sufficientemente elevato dei componenti del sistema ed hanno significato di valore medio.

 

DIFFUSINE GASSOSA. LA LEGGE DI GRAHAM

E’ esperienza comune che i gas tendono ad espandersi, tendono cioè ad allontanarsi da un punto in tutte le direzioni. Questa proprietà è detta diffusione ed avviene a velocità diversa in relazione al peso molecolare del gas e alla sua temperatura. E’ stato verificato sperimentalmente che i gas si spostano, nell’aria, con velocità dell’ordine del millimetro al secondo (più di 15 minuti per percorrere un metro).

E’ bene dire subito che la velocità di una molecola di gas può essere anche calcolata, per via teorica, facendo ricorso al modello di gas che è stato illustrato in precedenza. Dalla conoscenza del valore dell’energia cinetica e della massa di una molecola, attraverso la formula Ec=½m·v², è possibile risalire al valore della velocità. Si trovano in questo modo valori sorprendentemente elevati (centinaia di migliaia di volte superiori a quelli che si ottengono sperimentalmente). Ciò si giustifica riflettendo sul fatto che quando le molecole si muovono nell’aria vanno incontro ad un numero elevatissimo di urti con altre particelle, numero che diventa ancora maggiore se le particelle sono di grosse dimensioni. La teoria prende invece in considerazione la velocità di una singola molecola che viaggia indisturbata.

Il chimico e fisico scozzese Thomas Graham (1805-1869), misurando le quantità di gas di diversa natura che si diffondevano attraverso un setto poroso, in un determinato intervallo di tempo, pervenne alla formulazione di una legge che oggi va sotto il nome di “legge della diffusione gassosa” o “legge di Graham”. Essa può essere enunciata nel modo seguente: “La velocità di diffusione di un gas è inversamente proporzionale alla radice quadrata della sua densità, quando la temperatura e la pressione sono costanti.”

In forma matematica la legge si scrive nel modo seguente:
.                  ___
V =  K / √ d             (a P e T costanti)

dove con V si è indicata la velocità di diffusione del gas e con d la sua densità; K è una costante identica per tutti i gas.

La legge lascia prevedere che quanto più un gas è denso, tanto più lentamente si diffonde. Immaginiamo allora due gas, A e B, di densità rispettivamente dA e dB, che si diffondono con velocità VAe VB. Per essi deve valere:

.                       __      __
VA / VB  =  √dB / √dA

Ora, poiché la densità di un gas è proporzionale alla sua massa e questa a sua volta è proporzionale al peso molecolare (PM), l’espressione di sopra può anche essere scritta nel modo seguente:

.                       ____       ____
VA / VB  =  √ PMB  / √ PMA

Misure quantitative della velocità di diffusione di gas diversi permettono di determinare il loro peso molecolare. Ad esempio, sperimentalmente si ottiene che la velocità di diffusione dell’idrogeno (VH) è 4 volte maggiore di quella dell’ossigeno (VO). Pertanto, poiché per la legge di Graham deve essere:

.                        ___       ___
VH / VO   = √ PMO / √ PM

Sostituendo i valori sperimentali si ottiene:
.  ____            ____
√ PMO = 4 ∙ √ PMH

Ora, ponendo il peso molecolare dell’idrogeno uguale a 2, dall’equazione si ricava che il peso molecolare dell’ossigeno è 32.

Come si può vedere, la legge della diffusione dei gas rappresenta un ulteriore metodo per la determinazione dei pesi molecolari delle sostanze allo stato gassoso.

 

LA LEGGE DI DALTON DELLE PRESSIONI PARZIALI

Quando in un recipiente si mescolano gas diversi che non reagiscono fra loro, si osserva che ciascun gas dà il proprio contributo alla produzione della pressione totale. La legge, formulata dal fisico inglese John Dalton (1766-1844), va sotto il nome di “legge delle pressioni parziali” e può essere espressa nel modo seguente: “La pressione totale, esercitata da una miscela di gas, è data dalla somma delle pressioni parziali dei singoli gas costituenti la miscela”. In termini matematici si può scrivere:

Pt = PA + PB + … Pn

dove con Pt si è indicata la pressione totale esercitata dai gas che occupano il recipiente, e con PA, PB, Pn, le pressioni parziali del gas A, del gas B e del gas n.

Anche questa legge si interpreta facilmente alla luce della teoria cinetica dei gas. Si ricorderà infatti che un gas ideale si immagina costituito di particelle tutte uguali, prive di dimensioni e di massa m. Si ricorderà anche che i gas reali, quando sono molto rarefatti e quando la loro temperatura è lontana dalla temperatura di liquefazione, assumono le sembianze di gas ideali. Pertanto, gas diversi, in condizioni vicine a quelle di gas ideale, essendo costituiti di particelle tutte identiche per massa, perdono la loro individualità e si comportano come se fossero un unico gas, esercitando, sulle pareti del recipiente che le contiene, una pressione il cui valore dipende unicamente dal numero delle particelle presenti.

Immaginiamo ora un recipiente riempito di due soli gas, il gas A e il gas B. Siano nA le moli del gas A e nB le moli del gas B. Poiché le pressioni esercitate dai due gas sono proporzionali al numero delle moli, possiamo scrivere la seguente proporzione:

PA : nA = Pt : (nA + nB),       da cui:

PA            nA
——— = —————   e quindi:
Pt       (nA + nB)

nA
 PA = ————— ∙ Pt
nA + nB

dove PA e Pt sono rispettivamente la pressione esercitata dal gas A e quella totale (gas A + gas B), mentre la frazione nA /(nA + nB) si chiama frazione molare del gas A e si indica con XA.

Possiamo quindi affermare che in generale la pressione parziale di un gas (A), facente parte di un miscuglio, è data dal prodotto della frazione molare del gas considerato per la pressione totale del miscuglio. In simboli:

PA = XA ∙ Pt

 

L’EQUAZIONE DI STATO DEI GAS REALI

Il modello di gas, costruito sulle premesse contenute nella teoria cinetica, impone che siano ritenute trascurabili le forze intermolecolari. Questa condizione, per un gas reale, può ritenersi soddisfatta solo a bassa pressione e ad alta temperatura, cioè solo quando il comportamento del gas reale si approssima a quello di gas ideale.

Nel modello di gas ideale si era inoltre assunto che le particelle fossero prive di volume. Le molecole dei gas reali, invece, hanno dimensioni finite ed occupano, con la loro presenza, una porzione del volume del recipiente in cui sono contenute, volume, quest’ultimo, che quindi non può più essere ritenuto a completa disposizione del moto delle particelle presenti.

Pertanto, il comportamento di un gas, le cui caratteristiche siano effettivamente quelle di gas reale, non può essere descritto dall’equazione dei gas ideali. L’equazione dei gas ideali, tuttavia, potrà risultare utile anche per un gas reale purché si provveda alla correzione delle cause responsabili delle deviazioni dal comportamento ideale. Una delle equazioni di stato più note per i gas reali è quella elaborata dal fisico olandese Johannes Diderik Van der Waals (1837-1923).

La prima correzione apportata dal fisico olandese all’equazione di stato dei gas  perfetti, riguarda la pressione. La pressione Pr che un gas reale effettivamente esercita sulle pareti del recipiente in cui è contenuto, risulta inferiore alla pressione P che produrrebbe il gas ideale in quanto, le molecole dei gas reali, essendo poste a distanza tali da risentire delle forze attrattive causate dalla loro stessa massa, finiscono per urtare contro le pareti del recipiente con un’energia leggermente inferiore al caso ideale. Si calcola che la pressione, per una mole di gas reale, risulta ridotta di una quantità inversamente proporzionale al quadrato del volume occupato dal gas. Questa quantità viene indicata con a/V² dove a è un valore costante tipico di ogni gas, e deve essere aggiunta alla pressione Pr esercitata dal gas reale, per ottenere il valore della pressione P corrispondente a quella di un gas con comportamento ideale.

La seconda correzione da apportare è relativa al volume. Il volume V effettivamente a disposizione delle particelle di un gas reale, non è, come nel caso del gas ideale, tutto il volume del recipiente, ma solo una parte di esso. Si deve infatti considerare il volume proprio delle molecole, detto covolume ed indicato con b. Questo volume (in realtà di piccola entità) deve essere comunque sottratto dal volume totale Vr, perché indisponibile per il movimento delle particelle.

L’equazione di stato dei gas ideali, adattata a quelli reali, con le correzione di Van der Waals che abbiamo esposto, per una mole di gas, assume, in fine, la forma seguente:

(Pr + a/V²) · (Vr – b) = R·T

dove a e b sono grandezze tipiche di ciascun gas che sono state determinate, una volta per tutte, e riportate su specifiche tabelle.

La stessa legge, riferita, invece che ad una sola mole, ad un numero n di moli, si scrive nel modo seguente:

n² · a
Pr + ————  ∙ ( Vr – n·b ) = n·R·T

Prof. Antonio Vecchia

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