Il moto browniano

Il fenomeno, che ora porta il suo nome, fu osservato per la prima volta nell’estate del 1827 dal botanico scozzese Robert Brown il quale, servendosi di un comune microscopio che utilizzava per studiare la forma e le dimensioni dei granelli di polline di alcune piante acquatiche, notò che queste piccole particelle non stavano mai ferme, ma risultavano in moto incessante come se fossero urtate continuamente da qualcosa di invisibile.

Lo scopritore del “moto browniano” nacque a Montrose (Scozia) il 21 dicembre 1773 e morì a Londra il 10 giugno del 1858. Dopo essersi laureato in medicina presso l’Università di Edimburgo, grazie alla conoscenza dell’allora presidente della Royal Society di Londra, ebbe occasione di partecipare, quale naturalista, ad una lunga spedizione che aveva per scopo l’esplorazione delle coste dell’Australia.

Brown tornò da quel viaggio dopo quattro anni portando con sé migliaia di piante che, una volta classificate, espose in un ricco erbario di cui assunse egli stesso la direzione. Studiò in modo approfondito le piante superiori distinguendo le Gimnosperme, ossia le piante con i semi nudi (dal greco gymnós = nudo e spérma = seme; i ginnasti erano gli atleti dell’antica Grecia che gareggiavano nudi) dalle Angiosperme, cioè le piante con i semi racchiusi all’interno del frutto (dal greco angeîon = vaso).

 

L’OSSERVAZIONE

Brown notò che il procedere a zig-zag di granuli di polline provenienti da diverse piante era presente anche se l’acqua nella quale erano immersi stava in quiete: da ciò dedusse che i movimenti non potevano essere causati né da correnti del fluido, né dalla sua graduale evaporazione ma dovevano appartenere alle particelle stesse. Di conseguenza, poiché sapeva che i granuli pollinici racchiudevano in sé una vita potenziale, avanzò l’ipotesi (sbagliata, anche se comprensibile) che i moti osservati fossero una manifestazione della vita medesima. Pertanto, per queste particelle microscopiche ideò un nuovo stato della materia al quale diede il nome di “molecola attiva”.

Però, quando rifece l’osservazione con particelle di polline essiccate provenienti da piante conservate nel suo erbario da molti anni, e successivamente con sostanze non vegetali come minuscole particelle di grafite o polvere di marmo (quindi sicuramente oggetti non vivi) le cui dimensioni avevano un raggio inferiore al millesimo di millimetro (il medesimo ordine di grandezza dei granelli di polline) notando per esse lo stesso movimento costante, turbolento e all’apparenza casuale osservato in precedenza, non riuscì più a dare una spiegazione plausibile del fenomeno e aumentarono in lui i dubbi.

Il fenomeno fu studiato da molti scienziati che utilizzavano particelle microscopiche di ogni tipo immerse in acqua e in qualsiasi altro liquido e in tutti i casi notarono gli stessi movimenti turbolenti. Non solo, ma il moto browniano si osserva anche in gas. Ad esempio i granuli di fumo sospesi nell’aria presentano lo stesso caratteristico movimento di agitazione delle particelle sufficientemente piccole immerse nell’acqua.

Sebbene questo fenomeno fosse stato studiato più volte nel corso dell’Ottocento dovette passate più di mezzo secolo prima che alcuni scienziati formulassero una ipotesi qualitativamente corretta riguardo alla sua natura. Si ipotizzò allora che le particelle browniane, visibili al microscopio, venissero bombardate da quelle molto più piccole (non visibili al microscopio) di cui si componeva il liquido nel quale erano immerse. Il movimento browniano si verificava regolarmente sempreché le particelle bombardate fossero abbastanza piccole. Esso si produceva perché il bombardamento sulla particella solida non era uniforme su tutti i lati di essa e non poteva venire compensato a causa del suo carattere irregolare e casuale: il moto osservabile era dunque il risultato di un moto invisibile e disordinato. Il comportamento delle particelle immerse nel liquido rispecchiava, fino ad un certo punto, quello delle molecole d’acqua e ne costituiva, per così dire, un ingrandimento tale da rendersi visibile al microscopio. Il carattere irregolare ed accidentale del percorso delle particelle browniane rispecchiava un’analoga irregolarità del percorso delle particelle più piccole (ossia le molecole) costituenti la materia del liquido.

Il moto browniano non si notava invece in particelle di dimensioni superiori ad una grandezza minima, in quanto gli urti simultanei in tutte le direzioni da parte delle minuscole molecole del liquido erano così numerosi che l’impulso complessivo risultava ad ogni istante praticamente nullo. Essendo poi notevole la massa del granulo, la velocità era sempre così piccola che lo stesso appariva praticamente in quiete. Se invece il granulo era molto piccolo gli urti simultanei erano pochi e non si bilanciavano più esattamente: l’impulso risultante variava in modo casuale da istante a istante ma ad ogni istante sensibilmente diverso da zero. Individuare nelle molecole del liquido la causa del moto browniano oggi può apparire scontato ma, alla fine dell’Ottocento, per quanto l’ipotesi atomico molecolare della materia avesse ottenuto notevole favore fra fisici e chimici, vi erano ancora eminenti scienziati che non erano del tutto convinti dell’esistenza di atomi e molecole.

 

LA FORMULA DI EINSTEIN

Tuttavia, una cosa è intuire che debba esserci un collegamento fra il moto browniano e quello delle molecole del liquido entro il quale le piccole particelle solide visibili al microscopio si muovono, ed altro è prevedere quantitativamente, cioè in termini matematici, come tale movimento debba svolgersi.

La trattazione matematica di questo fenomeno è opera giovanile di Albert Einstein che la pubblicò in uno dei tre articoli apparsi nel 1905. Gli altri due riguardavano l’effetto fotoelettrico e la teoria della relatività ristretta, una teoria quest’ultima che sarebbe stata sufficiente da sola a rendere famoso il fisico tedesco in tutto il mondo. In realtà anche la spiegazione dell’effetto fotoelettrico fu una scoperta di grande rilevanza, tanto è vero che proprio questa consentì al fisico tedesco di ottenere il premio Nobel.

Einstein dimostrò che la distanza media raggiunta dalle particelle dal punto in cui si era verificata la prima collisione doveva aumentare secondo la radice quadrata del tempo percorso; ciò significa, ad esempio, che dopo quattro secondi, la sua distanza risultava solo il doppio (2 è la radice quadrata di 4) di quella trovata dopo un secondo e non quattro volte tanto come suggerirebbe il senso comune. Nello stesso lavoro il fisico tedesco riuscì a valutare che a temperatura ambiente, e in acqua, le particelle si dovrebbero diffondere ad una velocità di circa un millesimo di millimetro al secondo.

L’equazione di Einstein per particelle browniane sferiche assume la forma seguente:

   _________
∆ = k · √(T/r·η) · t

      In essa ∆  (delta) rappresenta lo spostamento medio, t è il tempo, k una costante che vale per tutti i liquidi, T è la temperatura del liquido, r è il raggio della particella browniana sferica e η (eta) è un numero, caratteristico di ciascun liquido, che misura la sua viscosità. Il significato intuitivo di questi fattori è chiaro: più è alta la temperatura più agitato è il moto molecolare e di conseguenza più frequenti e più violente saranno le collisioni fra le particelle browniane. Viceversa più è grande la particella e più è viscoso il liquido, meno è facile che lo stesso possa essere agitato dalle collisioni.

Nel 1908 il grande fisico sperimentale Jean Baptiste Perrin (1870-1942), premio Nobel per la fisica nel 1926, compì accurate misure sullo spostamento subito dalle particelle browniane, confermando completamente quanto previsto da Einstein con il calcolo. L’importanza fondamentale di tutto ciò risiede nel fatto che questo notevole accordo tra teoria ed esperienza portò a convincere anche i più scettici della validità scientifica dell’ipotesi atomico-molecolare.

Prof. Antonio Vecchia

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