Il legame chimico

LA REGOLA DELL’OTTETTO

Raramente gli atomi si trovano isolati in natura, più di frequente essi si aggregano dando luogo a quella miriade di composti che caratterizza il mondo che ci circonda.

La scoperta della struttura elettronica dell’atomo ha permesso sia di capire quale doveva essere la natura delle forze che tengono unite fra di loro queste particelle elementari, sia di spiegare i modi diversi con cui si possono formare i legami chimici. Tali modelli consentirono successivamente anche di giustificare in modo coerente la costituzione della materia e di intuire il meccanismo che sta alla base dei processi chimici di trasformazione.

Prima di descrivere i vari tipi di legame chimico, è bene ricordare quella legge fondamentale di natura secondo la quale i sistemi materiali tendono spontaneamente a realizzare la condizione di minimo contenuto energetico. Questa legge vale anche per gli atomi che si aggregano per formare molecole, e quindi possiamo dire che due o più atomi tendono ad unirsi in quanto il contenuto energetico del composto finale risulta inferiore a quello degli atomi di partenza. Possiamo schematizzare il processo di formazione di un composto, nel modo seguente:

A + B Þ AB + energia

dove con A e B sono indicati due singoli atomi separati, e con AB il composto derivato dalla loro unione. La formazione di un legame chimico corrisponde quindi ad un bilancio energetico favorevole e l’esperienza insegna che quanto più alta è l’energia che si libera durante il processo, tanto più stabile risulterà il composto finale. Ma qual è per un singolo atomo o per un aggregato di atomi la condizione di minima energia che garantisce la sua stabilità chimica?

Quando vennero scoperti i gas nobili, si osservò che questi elementi non reagivano né con altri elementi, né fra loro stessi; erano cioè stabili. Proprio per tale motivo vennero denominati “nobili”, o “inerti”. In un primo tempo non si riusciva a capire il motivo di tale inerzia chimica, ma, dopo che fu ideato il modello atomico, si notò che tutti i gas nobili (ad eccezione dell’elio) presentavano otto elettroni nell’ultimo livello quantico. Era logico pertanto concludere che la struttura elettronica ad otto elettroni sul livello energetico più esterno doveva rappresentare una condizione di particolare stabilità.

Nel 1916, il chimico americano Gilbert Newton Lewis, suggerì un’ipotesi, che oggi va sotto il nome “regola dell’ottetto” per spiegare la tendenza che hanno gli atomi ad unirsi in composti. La regola può essere espressa nei seguenti termini: “Tutti gli atomi tendono a realizzare, sull’ultimo livello energetico, una configurazione ad otto elettroni, o singolarmente, o combinandosi.”

 

LA CLASSIFICAZIONE DEI LEGAMI CHIMICI

A quel punto era chiaro che i modi diversi con cui gli atomi potevano legarsi per formare composti chimici, dipendevano dalla loro particolare configurazione elettronica esterna; e la valenza, che in precedenza era stata definita genericamente come il potere di combinazione degli atomi, ora acquistava un significato fisico ben preciso.

Oggi si definisce valenza base di un elemento il numero degli elettroni spaiati che compaiono sull’ultimo livello quantico del corrispondente atomo. L’idrogeno, ad esempio, che presenta l’atomo con un unico elettrone (ovviamente spaiato) sul primo livello energetico, è un elemento monovalente. Anche il sodio, il cui atomo possiede complessivamente undici elettroni, ma che nell’ultimo livello quantico ne presenta uno solo, è un elemento monovalente. Il carbonio, con due elettroni spaiati, presenta valenza base 2, mentre calcio e neon che non possiedono elettroni spaiati, devono essere considerati zerovalenti.

Si osservi che in alcuni casi, il valore della valenza secondo la nuova definizione, coincide con quello che avevano stabilito, in modo empirico, i primi chimici. Vi sono casi, però, in cui tale valore è diverso. Il calcio, ad esempio, forma svariati composti per cui non è ammissibile che la sua valenza possa essere zero.

In realtà, la valenza che abbiamo indicato come il numero degli elettroni spaiati dell’ultimo livello quantico dell’atomo, è solo una valenza base che può essere modificata spostando alcuni elettroni su altri orbitali vuoti disponibili. Nel calcio, ad esempio, è sufficiente un minimo apporto di energia, per elevare l’orbitale 4s, allo stesso livello energetico degli orbitali 4p vuoti. Avendo ora i quattro orbitali la stessa energia, in accordo con la regola di Hund (“gli elettroni hanno tendenza ad occupare il massimo numero possibile di orbitali isoenergetici”), un elettrone dell’orbitale 4s deve andare ad occupare un orbitale 4p, come mostrato in figura 1.

Figura 1

Il calcio passa quindi nel modo illustrato in figura da valenza zero a valenza due, e il suo atomo viene detto “atomo eccitato”. Analogamente, eccitando il carbonio, dalla bivalenza si passa alla tetravalenza secondo un meccanismo analogo a quello precedente ed illustrato in figura 2.

Figura 2

Lo spostamento degli orbitali, e conseguentemente degli elettroni, avviene normalmente solo se è necessaria una minima spesa energetica. L’energia che bisogna fornire per spostare l’elettrone da un orbitale ad un altro, verrà successivamente restituita, e in misura ancora maggiore, in seguito alla formazione del legame.

Nel neon, invece, non essendoci a disposizione orbitali vuoti con energia di poco superiore a quella degli orbitali occupati dagli elettroni, servirebbe una notevole quantità di energia per innalzare questi ai livelli energetici molto alti degli orbitali vuoti. Ma questa energia non è disponibile nelle normali reazioni chimiche: il neon resta quindi zerovalente, e non dà composti (*).

Svariati sono i tipi di legami chimici; esistono infatti non solo legami fra atomi, ma anche fra ioni e fra molecole.

Un modo per classificare i legami chimici potrebbe essere quello che riportiamo nella seguente tabella:

 

                                                   omeopolare
legami                                          covalente
atomici                                         dativo
                                                                  ad elettroni delocalizzati

legami                                          ionico
elettrostatici                                  dipolare
                                                                  a idrogeno

legami
metallici

I legami atomici sono quelli che si formano per la messa in comune di elettroni appartenenti agli orbitali esterni di atomi dello stesso tipo, o di tipo diverso; i legami elettrostatici si formano fra ioni o molecole elettricamente cariche; i legami metallici, infine, sono quelli che si instaurano fra ioni positivi tutti uguali immersi in una nuvola elettronica uniformemente distribuita. Esamineremo ora, uno per volta, i vari tipi di legami chimici.

(*) In tempi recenti sono stati ottenuti, con notevole spesa energetica, anche alcuni composti stabili dei gas nobili, come il triossido di xeno (XeO3) e il fluoruro di kripto (KrF2).

 

IL LEGAME COVALENTE PURO O OMEOPOLARE

Nella prima metà dell”800, i chimici italiani Amedeo Avogadro (1776-1856) e Stanislao Cannizzaro (1826-1910), avevano intuito che alcuni elementi semplici come idrogeno, ossigeno, azoto e cloro, formavano molecole biatomiche. In seguito, sperimentalmente si è potuto dimostrare che fornendo energia a queste molecole, esse si scindevano nei rispettivi atomi, i quali pertanto esistevano isolati solo a temperature molto alte: l’idrogeno, ad esempio, sul Sole è presente allo stato atomico.

Il legame fra atomi della stessa specie si realizza mettendo in comune elettroni spaiati secondo un meccanismo che verrà qui di seguito illustrato per la molecola di idrogeno. In generale, il legame che si forma in conseguenza della condivisione di elettroni fra due atomi qualsiasi, si chiama legame covalente. Se, in particolare, i due atomi che si uniscono sono della stessa specie, il legame prende il nome di covalente puro (o legame omeopolare).

Quando due atomi di idrogeno si avvicinano l’uno all’altro (v. fig. 3) vi è un momento in cui l’elettrone di un atomo comincia a risentire, oltre che dell’attrazione del proprio protone, anche di quella del protone dell’atomo che gli sta a fianco, e viceversa. La nuvola elettronica che prima si trovava simmetricamente distribuita intorno a ciascun nucleo, ora si comincia a spostare nella zona compresa fra i due, in quanto, a mano a mano che gli atomi si avvicinano, la probabilità di trovare gli elettroni in prossimità dell’uno o dell’altro nucleo va aumentando. Esiste una distanza precisa (0,75 Å nel caso dell’idrogeno) fra i nuclei dei due atomi, in cui si ha il bilanciamento perfetto fra attrazioni e repulsioni: questa distanza è detta “lunghezza di legame” (o distanza di legame). I due elettroni della molecola H2 si muovono ora entro una regione di spazio che prende il nome di orbitale molecolare e può considerarsi il prodotto della fusione dei due orbitali atomici preesistenti.

Figura 3

La struttura così raggiunta è stabile come lo è quella dell’atomo di elio. Per l’elio la condizione di stabilità è imposta infatti dalla presenza di solo due elettroni nel primo livello energetico, perché questo è il numero massimo di elettroni possibili su quel livello. Nel momento in cui si è formato il legame è avvenuto che una certa quantità di energia è stata ceduta all’ambiente. E’ ovvio che se ora si volesse separare i due atomi uniti nella molecola si dovrebbe fornire ad essa una quantità di energia equivalente a quella che era stata ceduta nella formazione del legame.

Per evidenziare gli elettroni coinvolti nei legami covalenti, si usa spesso il cosiddetto simbolismo di Lewis in cui gli elettroni dell’ultimo livello energetico vengono rappresentati per mezzo di puntini e crocette (Gli elettroni sono tutti uguali: i puntini e le crocette servono solo per distinguere gli elettroni di un atomo da quelli dell’altro). La formazione della molecola H2 può essere  rappresentata come in figura 4.

Figura 4

Molto usata è anche la rappresentazione orbitalica in cui gli orbitali sono indicati con quadratini e gli elettroni con freccette. Per la molecola di idrogeno la rappresentazione risulta quella riportata in figura 5.

Figura 5

La molecola di cloro, Cl2, si forma in modo analogo a quello descritto per l’idrogeno. In questo caso, però, la distribuzione elettronica esterna è diversa. Nel cloro, gli elettroni del livello energetico più esterno sono sette: di questi uno solo è spaiato e si trova in un orbitale di tipo p. Per ottenere la configurazione elettronica stabile ad otto elettroni, due atomi di cloro condividono i due elettroni spaiati dei rispettivi orbitali p. La fusione dei due orbitali di tipo p può essere visualizzata nel modo riportato in figura 6.

Figura 6

Con il simbolismo di Lewis la formazione della molecola di Cl2 si visualizza come in figura 7 e, con la rappresentazione orbitalica, come in figura 8.

Figura 7

Figura 8

Due modi diversi di simboleggiare la molecola Cl2 del cloro.

Esistono alcune molecole semplici nelle quali fra i due atomi viene condivisa più di una coppia di elettroni. Una di queste è la molecola Ndell’azoto. L’atomo di azoto presenta una configurazione elettronica esterna di tipo s2p3. I tre elettroni spaiati si trovano su altrettanti orbitali di tipo p i quali sono disposti nello spazio a 90° fra di loro secondo le direzioni di una terna di assi cartesiani. Quando i due atomi di azoto si avvicinano, i tre orbitali di tipo p dell’uno si sovrappongono ai tre orbitali p dell’altro così che ciascun atomo di azoto condivide tre elettroni propri con i tre elettroni dell’altro. Il risultato che si ottiene è un legame triplo. Con il simbolismo di Lewis la formazione del legame triplo della molecola di azoto, viene rappresentato come in figura 9 e con la rappresentazione orbitalica, la formazione della molecola di azoto assume l’aspetto illustrato in figura 10.

Figura 9

Figura 10

Il legame triplo della molecola di azoto.

Riportiamo infine, con il simbolismo di Lewis in figura 11, e con la rappresentazione orbitalica in figura 11 bis, la formazione del doppio legame che si instaura all’interno della molecola O2 dell’ossigeno.

Figura 11

Figura 11 bis

Rappresentazione simbolica del doppio legame della molecola di O2.

I legami chimici si possono anche rappresentare con trattini, nel modo seguente:

H-H    Cl-Cl    NºN    O=O

In questo caso ogni trattino rappresenta una coppia elettronica di legame, e la raffigurazione prende il nome di formula di struttura. La formula di struttura serve per visualizzare il modo in cui sono legati gli atomi che costituiscono il composto. La costruzione della formula di struttura non è, in genere, un’operazione banale deducibile direttamente dalla formula bruta del composto, ma necessita invece di conoscenze riguardanti i tipi di legami presenti, il loro numero e la posizione che gli atomi possono assumere all’interno della molecola. Troveremo in seguito altri esempi.

IL LEGAME COVALENTE POLARE

Nel paragrafo precedente abbiamo visto come atomi dello stesso elemento possano unirsi tra di loro condividendo in modo paritetico elettroni spaiati. Abbiamo chiamato covalente puro quel tipo di legame. Vedremo adesso che anche atomi di elementi differenti possono legarsi con legami covalenti. In questo caso però gli elettroni condivisi non si troveranno più simmetricamente distribuiti all’interno dell’orbitale molecolare, ma addensati maggiormente verso l’atomo più elettronegativo.

L’orbitale molecolare che si verrà a formare in seguito al legame quindi non sarà più perfettamente simmetrico, ma si presenterà con un maggior addensamento elettronico nella regione dello spazio intorno all’elemento più elettronegativo. Questo tipo di legame covalente si chiama legame covalente polare.

Quando sono presenti legami covalenti polari è possibile che la molecola che si forma abbia essa stessa una struttura polare. Questo è il caso, ad esempio, del cloruro di idrogeno, una molecola biatomica formata da un atomo di idrogeno legato ad uno di cloro in cui la coppia elettronica di legame non è perfettamente condivisa fra i due atomi e pertanto il baricentro delle cariche positive dei nuclei non coincide con il baricentro delle cariche negative degli elettroni. Il cloro, avendo elettronegatività pari a 3,0, superiore quindi a quella dell’idrogeno (2,1) attira su di sé, con maggior forza, la nuvola elettronica e pertanto la molecola HCl assume l’aspetto di un dipolo elettrico. Indicando con d + una parziale carica positiva e con d  una parziale carica negativa, la molecola può essere rappresentata come in figura 12.

Figura 12

Per l’acqua si verifica una situazione analoga. L’idrogeno ha valore di elettronegatività 2,1 e l’ossigeno 3,5. I legami idrogeno-ossigeno che si formano sono disposti in modo da formare un angolo di 105° circa. Le cariche negative portate dagli elettroni si addensano quindi preferibilmente dalla parte dell’ossigeno, mentre dalla parte degli atomi di idrogeno prevalgono le cariche positive dei protoni. Anche la molecola dell’acqua è quindi un dipolo, come è mostrato in figura 13.

Figura 13

Diverso è il caso dell’anidride carbonica. Pur essendoci legami polari fra l’atomo di ossigeno e quello di carbonio, la molecola non si presenta con le caratteristiche del dipolo elettrico. La cosa si giustifica facilmente ammettendo per la molecola CO2 una struttura lineare come appare in figura 14. In essa si può vedere che i due dipoli costituiti dai legami ossigeno-carbonio, essendo uguali in valore assoluto, ma orientati in senso opposto, si elidono a vicenda.

Figura 14

Determinati solidi (chiamati solidi atomici) sono costituiti di atomi tenuti insieme da legami covalenti. Le loro proprietà macroscopiche si interpretano proprio alla luce delle caratteristiche del legame covalente. La durezza e l’altissima temperatura di fusione che caratterizza questi solidi, di cui un tipico esponente è il diamante, sono dovute al fatto che il legame covalente, già di per sé molto forte, diventa ancora più intenso quando si estende lungo tutto il solido. Il diamante può essere infatti immaginato come una molecola gigantesca formata esclusivamente di atomi di carbonio legati da coppie di elettroni localizzate in precise direzioni. La fragilità del diamante e la facilità con cui può essere tagliato lungo piani prestabiliti è conseguenza proprio della direzionalità dei legami covalenti che, impedendo ai singoli atomi ogni possibilità di movimento, ne rendono la struttura particolarmente rigida. Così, se il cristallo viene sottoposto a forze molto intense, non essendo in grado di deformarsi, si spezza.

Il biossido di silicio, SiO2, e il carburo di silicio (carborundum), SiC, sono strutture cristalline simili al diamante.

IL LEGAME DATIVO

Nei legami di tipo covalente il doppietto elettronico condiviso dai due atomi, è costituito da elettroni provenienti l’uno da un atomo e l’altro dall’altro. I due atomi coinvolti nel legame covalente devono avere pertanto ciascuno almeno un elettrone spaiato sull’ultimo livello quantico.

Analizzeremo ora il caso in cui la coppia di elettroni comuni è data per intero da uno solo degli atomi partecipanti al legame, mentre l’altro mette a disposizione un orbitale vuoto. Questo tipo di legame si chiama covalente dativo, o semplicemente legame dativo.

Esempi di legame dativo si trovano nella formazione degli ioni ammonio e idronio. Lo ione H+ è l’atomo di idrogeno privo dell’elettrone e presenta pertanto l’unico orbitale di cui dispone vuoto. D’altra parte, l’atomo di azoto della molecola dell’ammoniaca, NH3, presenta nell’ultimo livello quantico un doppietto elettronico che può essere utilizzato per formare un legame dativo nel modo illustrato in figura 15.

Figura 15

Il legame dativo può essere anche indicato con una freccia diretta dal donatore all’accettore del doppietto elettronico. Una volta formatosi il legame, la carica elettrica si distribuisce sulla struttura complessiva che quindi si comporta come si trattasse di uno ione formato da un singolo atomo.

In modo analogo, l’atomo di ossigeno della molecola di acqua, presenta due doppietti elettronici disponibili per la formazione di altrettanti legami dativi con lo ione H+. Quando però il primo H+ si unisce alla molecola d’acqua, lo ione idronio che si forma respinge un secondo H+ che si avvicina in quanto si tratta ora dell’interazione di due strutture elettriche dello stesso segno. Lo ione H4O++infatti non è mai stato osservato sperimentalmente. La formazione dello ione H3O+ può essere raffigurata nel modo illustrato in figura 16.

Figura 16

Lo stesso atomo di ossigeno può diventare accettore di elettroni pur non presentando, in condizioni normali, orbitali vuoti. Però, uno dei due elettroni spaiati che stazionano negli orbitali di tipo p, con un piccolo apporto di energia, può passare sull’altro orbitale accoppiandosi all’elettrone già presente in esso e liberando in questo modo un orbitale da elettroni come rappresentato in figura 17.

Figura 17

Quest’ultima struttura dell’atomo di ossigeno con un orbitale libero sull’ultimo livello energetico, è meno stabile (si ricordi la regola di Hund) di quella con gli elettroni distribuiti su tutti gli orbitali. Così facendo, però, l’atomo di ossigeno si rende disponibile per la formazione di un composto che prevede legami dativi. Il composto che si forma risulta più stabile dell’atomo isolato e alla fine il bilancio energetico appare globalmente positivo.

Due esempi in cui l’atomo di ossigeno funge da accettore di doppietti elettronici sono la molecola di acido nitrico e quella di acido solforico. L’azoto presente nella molecola di acido nitroso HNO2possiede un doppietto elettronico disponibile per un legame dativo. Se a questo si aggancia un atomo di ossigeno, si forma l’acido nitrico di formula HNO3. Il processo può essere rappresentato nel modo esposto in figura 18.

Figura 18

Anche l’acido solforico rappresenta un esempio classico di legame dativo, anzi, nella sua molecola, si può notare la presenza di due legami di questo tipo (v. fig. 19).

Figura 19

L’IBRIDAZIONE DEGLI ORBITALI

Grazie ad una serie di ricerche sperimentali e di osservazioni ai raggi X è stato possibile determinare le distanze fra gli atomi all’interno di una molecola oltre all’ampiezza degli angoli di legame e all’energia posseduta da ciascun legame presente nella molecola stessa.

In questo modo si è potuto constatare che la composizione della molecola, ottenuta per sovrapposizione degli orbitali atomici, non si accordava con i fatti sperimentali. Nella molecola dell’acqua, ad esempio, l’angolo di legame fra gli atomi di idrogeno e quello dell’ossigeno, risultava, dalle misure sperimentali, di 104° e 30′ mentre, secondo il modello teorico, avrebbe dovuto essere di 90°: gli orbitali di tipo p dell’ossigeno che si sovrappongono agli orbitali di tipo s dell’idrogeno, sono infatti disposti ad angolo retto fra di loro.

Per spiegare il fenomeno, che comunque non si limita alla molecola d’acqua, il chimico americano Linus Pauling (1901-1994) propose il modello della ibridazione degli orbitali. Gli orbitali ibridi, così chiamati per analogia con gli ibridi biologici, si formano per il mescolamento degli orbitali atomici originali e assumono forma e disposizione spaziale diversa da quella degli orbitali di partenza, e anche un diverso contenuto energetico.

Per rendere più chiaro quanto abbiamo esposto è necessario ricorrere a qualche esempio. Il berillio (Z=4) è un elemento del secondo gruppo del sistema periodico e il suo atomo presenta pertanto una configurazione elettronica esterna con due elettroni nell’ultimo livello quantico, piazzati entrambi nell’orbitale di tipo s (2s2). In quanto privo di elettroni spaiati, il berillio dovrebbe avere valenza zero e non essere quindi in grado di formare composti. L’esperienza mostra invece che il berillio forma svariati composti in cui esplica la bivalenza. Per giustificare l’esistenza di un composto del tipo BeH2 si è dovuto quindi ammettere che il berillio possa in un primo tempo disgiungere gli elettroni che in condizioni normali appaiono uniti nell’orbitale s, e quindi fondere orbitali diversi in una struttura ibrida.

E’ possibile allora immaginare che l’atomo possa assorbire una piccola quantità di energia dall’ambiente in modo da portare l’orbitale s allo stesso livello degli orbitali p. A questo punto, uno dei due elettroni presenti nell’orbitale di tipo s si trasferisce spontaneamente su uno degli orbitali p. L’atomo eccitato viene ora ad assumere la configurazione elettronica raffigurata in figura 20.

Figura 20

In queste condizioni l’atomo diverrebbe bivalente e quindi in grado di formare due legami chimici. Questi due legami sarebbero però diversi fra loro sia per contenuto energetico, sia per orientazione spaziale, essendo il risultato della compartecipazione di un orbitale di tipo s e di uno di tipo p con i due orbitali s dell’idrogeno. Le osservazioni sperimentali indicano invece che i legami sono isoenergetici e inoltre che la molecola presenta una struttura geometrica lineare. Questi fatti trovano giustificazione coerente ammettendo l’esistenza di orbitali ibridi.

Al pari degli ibridi biologici in cui individui di specie diverse si incrociano per dar vita ad individui con caratteri nuovi, così, orbitali di tipo diverso formano altri orbitali con un aspetto originale che rappresenta la combinazione di quelli di partenza. L’orbitale s del berillio si fonde quindi con l’orbitale p ad energia leggermente superiore formando due orbitali di tipo nuovo che vengono chiamati sp, come mostrato in figura 21 (Per semplicità grafica spesso si omette di disegnare il laccetto posteriore dell’orbitale ibrido).

Figura 21

I due orbitali ibridi sp del berillio contengono un elettrone ciascuno, e, avendo una carica elettrica dello stesso segno tendono ad assumere nello spazio la posizione di minima interferenza, cioè quella in cui risultano protesi in direzioni opposte su una retta che contiene il nucleo. Nella figura 22.a è rappresentata la configurazione geometrica lineare della molecola di BeH2.

Nel caso del boro (configurazione esterna 2s22p1), per giustificare la trivalenza si deve ammettere che un elettrone dall’orbitale s si sia spostato su uno degli orbitali p vuoti. Ora, in seguito alla fusione di questi tre tipi di orbitali si formano tre orbitali ibridi detti sp2 che assumono la stessa forma lobata vista prima e che si dispongono nelle tre direzioni dello spazio a 120° fra loro sullo stesso piano. Le misure sperimentali indicano che il composto BCl3, una tipica molecola del boro, si presenta con geometria triangolare planare come rappresentato in figura 22.b. Le energie dei tre legami e le loro lunghezze, sono identiche.

La molecola del metano, infine, presenta una tipica geometria tetraedrica (v. fig. 22.c) con l’atomo di carbonio al centro di un tetraedro regolare e con gli atomi di idrogeno sistemati ai vertici. Per essa è necessario immaginare che l’atomo di carbonio ibridizzi secondo lo schema sp3, ossia con l’orbitale s del secondo livello energetico e i tre orbitali p dello stesso livello che si fondono in quattro orbitali ibridi. Gli angoli di legame risultano di 109° e 28′, cioè gli stessi angoli che vi sono fra le rette che dal centro del tetraedro si dirigono ai vertici.

Esistono altre possibilità di ibridazione, che coinvolgono oltre agli orbitali s e p anche orbitali di tipo d. Ad esempio il fosforo della molecola PF5, presenta l’ibridazione dsp3, con cinque orbitali ibridi disposti nella direzione dei vertici di una bipiramide a base triangolare (v. fig. 22.d). Nella molecola SF6, lo zolfo presenta l’ibridazione d2spcon sei orbitali ibridi diretti verso i vertici di un ottaedro (v. fig. 22.e).

Figura 22

E’ facile prevedere la disposizione spaziale degli orbitali ibridi, basta immaginarli orientati nello spazio in maniera simmetrica, cioè in modo tale che l’angolo fra orbitali adiacenti sia sempre lo stesso e di conseguenza gli orbitali stessi risultino il più possibile distanziati tra loro.

Il modello degli orbitali ibridi ci permette ora di spiegare in modo chiaro la geometria di alcune molecole e di alcuni gruppi ionici che avevamo incontrato in precedenza. Nella molecola di acqua, ad esempio, l’atomo di ossigeno forma, con l’orbitale s del secondo livello energetico e i tre orbitali p dello stesso livello, quattro orbitali ibridi. Due di questi contengono un elettrone spaiato, mentre gli altri due presentano una coppia di elettroni ciascuno, e quindi non formeranno legami.

Questi quattro orbitali ibridi dovrebbero in teoria essere diretti verso i vertici di un tetraedro regolare, ma le coppie di elettroni degli orbitali che non formano legami provocano un’azione repulsiva tale da distorcere la molecola, avvicinando gli orbitali che portano legati gli atomi di idrogeno. In conseguenza di ciò l’angolo compreso fra il nucleo dell’atomo di ossigeno e gli atomi di idrogeno risulta essere di 104° 30′, e non di 109° 28′ come teoricamente previsto.

Nel caso dell’ammoniaca, NH3, si verifica una situazione analoga. In questa molecola vi è un unico orbitale con una coppia di elettroni, mentre gli altri tre orbitali ibridi portano ciascuno un solo elettrone e pertanto legano con legame covalente altrettanti atomi di idrogeno. La molecola di ammoniaca ha la forma della piramide a base triangolare con angoli di legame N-H di 106° 30′.

La distorsione della regolare simmetria tetraedrica delle molecole di ammoniaca ed acqua, si spiega facilmente se si considera che una coppia di elettroni liberi sistemati su orbitali che non formano legame è più vicina al nucleo di quanto non sia la coppia di elettroni di legame che si trova invece sottoposta all’azione dei nuclei dei due atomi che unisce. Pertanto, una coppia di elettroni libera esercita una forza repulsiva maggiore di quella esercitata da una coppia di legame e ciò provoca una diminuzione graduale dell’angolo di legame passando da CHa NHe a H2O (v. fig. 23).

Figura 23

Quando una molecola di ammoniaca cattura uno ione H+ e lo lega a sé con legame dativo, si forma lo ione ammonio NH4+ con una struttura geometrica identica a quella del metano. Lo ione idronio H3Opresenta invece una struttura geometrica simile a quella dell’ammoniaca (v. fig. 24).

Figura 24

Prima di concludere è bene sottolineare ancora una volta che l’ibridazione degli orbitali comporta da parte degli atomi assorbimento di energia. Pertanto, tale ibridazione potrà avvenire solo nel caso in cui la struttura molecolare che si verrà a formare, realizzerà una forte riduzione di energia. Si tenga anche conto del fatto che gli atomi che attuano orbitali ibridi sono più ricchi di energia e quindi, essendo meno stabili, reagiscono con maggiore facilità producendo legami più forti di quelli che si sarebbero realizzati se non ci fosse stata ibridazione. I composti con atomi che presentano orbitali ibridi sono di conseguenza molto stabili.

LEGAME IONICO O ETEROPOLARE

Quando fra due atomi di specie diversa vi è una notevole differenza di elettronegatività (superiore a 1,8) si verifica il trasferimento in via definitiva di uno o più elettroni da un atomo all’altro, con formazione di uno ione positivo e di uno ione negativo. Gli ioni di segno opposto si legano quindi attraverso forze di tipo elettrostatico formando un legame che prende il nome di legame ionico (o legame eteropolare).

L’esempio più tipico di legame ionico è quello che si instaura fra cloro e sodio nel composto cloruro di sodio. Il sodio è un elemento del primo gruppo del Sistema Periodico cui compete un valore di elettronegatività pari a 0,9, mentre il cloro appartiene al settimo gruppo e ha valore di elettronegatività uguale a 3,0.

Poiché fra i due atomi vi è una notevole differenza di elettronegatività (2,1), avviene che il sodio ceda l’unico elettrone dell’ultimo livello quantico al cloro. In questo modo l’atomo, avendo perso un elettrone, diviene ione positivo Na+ ed assume la configurazione elettronica del neon, il gas inerte che si trova, all’interno del Sistema Periodico, nella casella precedente a quella del sodio. D’altra parte il cloro che possiede sette elettroni sull’ultimo livello energetico, assumendo l’elettrone dal sodio, diventa ione negativo Cl con una configurazione elettronica identica a quella dell’argo, l’elemento che segue di un posto il cloro nel Sistema Periodico.

I due ioni Na+ e Cl sono in realtà due strutture chimiche inerti (essi sono presenti ad esempio nell’acqua salata e non danno luogo ad alcuna reazione) simili a quelle dei gas nobili, perché possiedono la configurazione elettronica esterna ad otto elettroni. Tuttavia essi non sono più elettricamente neutri in quanto il numero di cariche positive del nucleo non è bilanciato da un eguale numero di cariche negative degli elettroni. I due ioni di segno opposto quindi si attraggono a causa della forza elettrostatica che si è instaurata fra essi.

E’ opportuno specificare che con il legame ionico non si formano molecole: una molecola infatti è un aggregato di atomi e non di ioni. La formula di un composto ionico, ad esempio NaCl, non sta quindi ad indicare una molecola, ma semplicemente il rapporto numerico esistente nella struttura cristallina che la caratterizza fra gli ioni Na+ e gli ioni Cl. La struttura cristallina del cloruro di sodio deve essere immaginata come una costruzione in cui ciascun ione Na+ è circondato da sei ioni Cl e viceversa. (v. fig. 25).

Figura 25

Per lo stesso motivo, nel caso di solidi ionici, sarebbe più corretto parlare di peso formula, piuttosto che di peso molecolare, anche se poi, da un punto di vista pratico, la cosa risulta indifferente.

Le caratteristiche macroscopiche dei solidi ionici che abbiamo esposto trattando lo stato solido, ora trovano chiara spiegazione alla luce del legame ionico. Il legame ionico è in genere un legame forte, ed è tanto più forte quanto maggiore è la carica elettrica posseduta dagli ioni coinvolti, e quanto minore è la distanza fra essi. La distanza fra gli ioni è determinata a sua volta dalle loro dimensioni.

Facciamo un esempio per chiarire quanto appena detto. NaCl fonde a 801 °C, mentre CaO (ossido di calcio), che è pure un solido ionico, fonde alla temperatura di 1580 °C. La notevole differenza dei punti di fusione dei due composti dipende dalla forza dei legami e trova giustificazione nel fatto che gli ioni Ca++ e O– – che caratterizzano la struttura dell’ossido di calcio, non solo posseggono carica doppia di quella degli ioni Na+ e Cl, ma sono anche molto più piccoli.

La fragilità di questi cristalli, cioè la facilità con cui si possono sfaldare lungo determinati piani, dipende dalle caratteristiche del reticolo cristallino. Un lieve spostamento delle particelle lungo un determinato piano del reticolo, in conseguenza di un lieve urto, produce il passaggio da una situazione di attrazione elettrostatica ad una di repulsione (v. fig. 26).

Figura 26

Per concludere è bene esporre un concetto di fondamentale importanza. In natura, composti caratterizzati da legami puri sono piuttosto rari; nella maggioranza dei casi si tratta infatti di legami intermedi fra quelli tipici che abbiamo descritto. Il legame covalente polare rappresenta l’esempio classico di un legame intermedio fra quello ionico e quello omeopolare. Esistono tutte le gradazioni intermedie fra quello che potremmo definire un ideale legame ionico puro e il legame omeopolare. Pauling, servendosi dei valori di elettronegatività, ha ricavato una scala, riprodotta qui sotto, in cui è esposta la percentuale di carattere ionico presente nei diversi tipi di legame covalente.

Differenza di elettronegatività     0,00   0,65   0,94   1,19   1,43   1,67   1,91   2,19   2,54   3,03

Percentuale di carattere ionico     0%   10%   20%   30%   40%  50%   60%  70%   80%   90%

LE INTERAZIONI DI VAN DER WAALS

Oltre ai legami diretti fra atomi e ioni, illustrati in precedenza, esistono anche altri tipi di legami che si instaurano sia tra ioni e molecole, sia tra le molecole stesse.

Se nell’acqua si scioglie un composto ionico del tipo NaCl, si nota la presenza, in soluzione, degli ioni Na+ e Cl. Tali ioni attirano su di sé le molecole polari dell’acqua e le legano con un legame di natura elettrostatica. Lo ione positivo Na+ orienterà la molecola di acqua dalla parte negativa, cioè dalla parte dell’ossigeno, mentre lo ione negativo Cl orienterà la molecola di acqua dalla parte positiva e la legherà quindi dalla parte dell’idrogeno. Ogni ione, pertanto, quando si trova in soluzione acquosa appare rivestito da un numero più o meno grande di molecole di acqua. Il legame che si forma fra uno ione e una molecola polare si chiama legame ione-dipolo.

Oltre al legame appena descritto, esiste tutto un insieme di legami molto deboli di natura elettrostatica tra molecole polari e non polari indicate genericamente come interazioni di Van der Waals, dal nome del fisico olandese che le studiò per primo. Si tratta di forze molto deboli e a corto raggio, cioè di forze che fanno sentire i loro effetti solo se le particelle sono molto vicine fra loro.

Le forze di Van der Waals sono sempre presenti nella materia, anche quando non esistono i legami più forti che abbiamo descritto in precedenza. Se non vi fossero queste forze, in alcuni casi non vi sarebbe alcun legame tra le molecole, e la materia non “starebbe insieme”.

Le forze di Van der Waals si chiamano interazioni dipolo-dipolo quando riguardano l’unione di due molecole polari, come potrebbe essere il caso di due molecole di acqua che vengono a contatto.

Si chiamano interazioni dipolo-dipolo indotto quando una molecola polare induce, in una molecola apolare con la quale viene a contatto, una momentanea separazione delle cariche. Fra le due strutture elettriche si instaura a quel punto un legame di tipo elettrostatico.

Esiste anche il caso di due molecole apolari che, per un breve istante possono presentare gli elettroni addensati maggiormente da una parte piuttosto che dall’altra creando un dipolo istantaneo. Ciascun dipolo istantaneo genera intorno a sé un campo elettrico che polarizza a sua volta altre particelle circostanti inducendovi a sua volta un dipolo elettrico istantaneo. I dipoli istantanei possono quindi interagire fra loro con una forza che si chiama interazione dipolo indotto-dipolo indotto.

Le interazioni di Van der Waals possono quindi essere considerate delle specie di legami chimici debolissimi (in media 100 volte più deboli dei legami covalenti) che si formano solo quando le molecole sono a stretto contatto.

IL LEGAME A IDROGENO

Vi sono molecole fortemente polari, contenenti l’atomo di idrogeno unito con legame covalente ad atomi molto elettronegativi (in pratica solo con fluoro, ossigeno e azoto), in cui esso, polarizzato positivamente, è in grado di stabilire un legame di tipo elettrostatico con atomi elettronegativi presenti nella stessa molecola o in altre molecole vicine. A questo tipo di legame che può essere considerato un caso particolare di legame dipolo-dipolo si dà il nome di legame a idrogeno ed essendo abbastanza forte, presenta le caratteristiche del legame chimico vero e proprio.

In realtà il legame a idrogeno, se preso singolarmente, è piuttosto debole, ma, poiché se ne formano in gran numero contemporaneamente, presi tutti insieme, influiscono in modo determinante sulle proprietà chimiche e fisiche di un composto. Facciamo alcuni esempi per chiarire le caratteristiche del tipo di legame di cui stiamo parlando.

Il fluoruro di idrogeno (HF) è una sostanza che, nonostante presenti una molecola piuttosto leggera (PM=20), appare, alla temperatura ambiente, allo stato liquido. Questa circostanza è sorprendente soprattutto se la si confronta con le proprietà del cloruro di idrogeno (HCl) che pur essendo costituito di molecole molto più pesanti (PM=36,5), a temperatura ambiente, è un gas. In realtà, fra l’idrogeno di una molecola di HF e il fluoro della molecola che le sta accanto, proprio a causa di una forte differenza di elettronegatività esistente fra H e F, si forma un legame a idrogeno che lega le molecole e impedisce loro di “volare via” allo stato aeriforme. Nel caso di HCl, a causa di una minore differenza di elettronegatività fra H e Cl, il legame dipolo-dipolo che si instaura fra le molecole non è sufficiente a tenerle insieme, e queste quindi si allontanano spontaneamente già a temperatura ambiente.

Le proprietà molto particolari dell’acqua si giustificano con la presenza di legami a idrogeno. L’acqua è l’unica sostanza naturale che si dilata sia quando viene riscaldata, sia quando viene raffreddata: la massima densità dell’acqua si raggiunge infatti a 4 °C. L’acqua inoltre presenta il valore della tensione di vapore, del calore specifico, del calore di fusione e di quello di evaporazione eccezionalmente elevati.

A causa della leggerezza delle sue molecole (PM=18), l’acqua dovrebbe essere gassosa alla temperatura ambiente, e non liquida come in effetti è. Per confronto si consideri che l’ossigeno, la cui molecola pesa quasi il doppio di quella dell’acqua, a temperatura ambiente si presenta in forma gassosa.

Fra molecole di acqua si instaurano legami a idrogeno. Più precisamente, un atomo di idrogeno di una molecola d’acqua si lega con l’atomo di ossigeno dell’altra facendo da ponte fra due atomi di ossigeno: l’uno, quello interno alla molecola, legato con legame covalente, l’altro, quello della molecola che le sta a fianco, legato con legame a idrogeno. Il legame a idrogeno (indicato convenzionalmente con tre puntini) è detto anche “ponte idrogeno”.

Nella figura 27 si possono vedere le molecole di acqua legate ad altre molecole di acqua a formare una struttura reticolare tridimensionale. Il numero dei legami a idrogeno presenti nell’acqua dipende dalla temperatura: più questa è bassa maggiore è il numero dei legami; quando l’acqua diventa ghiaccio questi legami sono molto numerosi e praticamente coinvolgono tutta la struttura. In conseguenza di questa ragnatela di legami, le molecole sono tenute a distanza le une dalle altre e ordinatamente bloccate in una disposizione rigida con più spazi vuoti di quanti non ve ne siano quando la sostanza è allo stato liquido. Questo è il motivo per il quale il ghiaccio è meno denso dell’acqua.

Figura 27

Quando il ghiaccio fonde, le molecole acquistano energia, i ponti idrogeno si rompono e le stesse molecole vengono a trovarsi a più stretto contatto le une con le altre. Tuttavia, nell’acqua allo stato liquido, esiste ancora una struttura pseudo-ordinata per la presenza di molti legami a idrogeno che impediscono alle molecole stesse di liberarsi facilmente per passare allo stato aeriforme.

Esempi di legami a idrogeno intramolecolari si trovano in molte sostanze biologiche la più famosa delle quali è la molecola del DNA. All’interno della molecola di DNA le basi azotate si legano fra di loro attraverso una lunghissima sequenza di legami di questo tipo.

Prima di concludere questo argomento è necessario riesaminare le proprietà dei solidi molecolari per giustificarle alla luce del legame a idrogeno. Le forze che tengono unite le molecole all’interno della struttura cristallina ordinata dei solidi molecolari (si pensi ad una zolletta di zucchero), sono prodotte da legami del tipo delle interazioni di Van der Waals o del tipo del legame a idrogeno. Essendo queste forze attrattive piuttosto deboli, i solidi molecolari risultano fragili e quindi facilmente sfaldabili. Essi inoltre non conducono la corrente elettrica né allo stato solido né a quello liquido per l’assenza di ioni e di elettroni liberi.

IL LEGAME METALLICO

Le proprietà dei metalli non sono altro che le manifestazioni esteriori di una struttura interna che oggi è stata chiarita con piena soddisfazione della comunità scientifica.

I metalli sono elementi chimici i cui atomi si presentano con pochi elettroni sui livelli energetici più esterni; questi elementi, avendo bassa affinità elettronica e basso potenziale di ionizzazione tendono a trasformarsi in ioni positivi. Tali ioni poi si dispongono in modo ordinato all’interno di una struttura tridimensionale nella quale uno sciame di elettroni, liberi di circolare al suo interno, contribuisce a tenere insieme. Anche nei solidi metallici si possono immaginare, come nei casi analizzati in precedenza, delle coppie elettroniche di legame, solo che in questo caso, invece che essere localizzate in un punto preciso del complesso molecolare, sono delocalizzate su tutta la struttura.

Questo modello spiega in modo coerente tutte le proprietà dei metalli, come per esempio la malleabilità, la duttilità e in genere la facile lavorabilità di queste sostanze. L’alto grado di deformabilità dei metalli è determinato infatti dalla distribuzione uniforme degli elettroni mobili che da un lato permette lo scivolamento degli ioni positivi lungo i piani reticolari e dall’altro garantisce la loro coesione.

Inoltre, l’elevata conducibilità elettrica e termica si giustifica immediatamente con la notevole mobilità di cui sono dotati gli elettroni: l’azione di un campo elettrico provoca infatti l’immediato trasferimento degli stessi lungo il metallo e analogamente l’aumento di temperatura in una zona del metallo determina l’aumento della loro energia cinetica e la conseguente trasmissione del movimento a quelli presenti nella parte più fredda.

Infine la tipica lucentezza metallica si spiega immaginando che la luce costringa gli elettroni a saltare sui numerosi livelli energetici vuoti e molto vicini gli uni agli altri degli ioni che costituiscono il metallo per poi ricadere ai livelli inferiori restituendo l’energia sotto forma di fotoni di vario tipo, cioè di luce di tutti i colori.

Le caratteristiche metalliche degli elementi si vanno attenuando procedendo lungo il Sistema Periodico, da sinistra a destra. Ciò si giustifica considerando che gli elettroni di valenza aumentano progressivamente in quella direzione riempiendo gli orbitali più esterni. Gli orbitali vuoti, indispensabili per consentire la formazione di legami delocalizzati tipici dei metalli, si fanno sempre più rari. Gli elementi collocati più a destra nel Sistema Periodico, sono dei non metalli tipici che si legano attraverso legami di tipo covalente, cioè a coppie elettroniche localizzate in punti precisi della struttura.

LEGAMI σ E LEGAMI p

In precedenza abbiamo parlato più volte di sovrapposizione di orbitali senza precisare che non sempre i legami che si formano hanno caratteristiche identiche. In realtà, lunghezza di legame e contenuto energetico dipendono anche dal modo in cui si sovrappongono gli orbitali.

Se la sovrapposizione di due orbitali è frontale (v. fig. 28), avviene cioè lungo l’asse che congiunge i due nuclei, il legame che si forma prende il nome di legame σ (sigma). Si tratta di un legame particolarmente solido e può realizzarsi fra qualsiasi tipo di orbitale, s, p, o ibrido.

Figura 28

Se la sovrapposizione fra due orbitali è laterale (v. fig. 29), avviene cioè fianco a fianco, si genera il legame p (pi greca). Questo legame è più debole del precedente e si forma solo per sovrapposizione di due orbitali di tipo p. Il legame σ è perpendicolare alla congiungente i due nuclei e giace ai due lati di un piano di simmetria che passa per i nuclei stessi.

Figura 29

E’ regola generale che quando due atomi sono legati fra loro da un legame multiplo, uno solo di questi legami è di tipo σ, mentre gli altri sono tutti di tipo p . Nella molecola dell’etilene, ad esempio, ogni atomo di carbonio presenta tre orbitali ibridi sp2 e uno non ibrido p (v. fig. 30). Gli orbitali ibridi formano legami σ con gli atomi di idrogeno e fra gli atomi di carbonio, mentre l’altro legame che collega gli atomi di carbonio è di tipo p .

Figura 30

L’ENERGIA DI LEGAME

L’energia di legame chimico può essere definita come quella quantità di energia che si libera quando si forma un legame, oppure come quella quantità di energia che è necessario fornire per rompere lo stesso legame.

Il valore dell’energia di legame (v. specchietto riportato qui sotto) si esprime in kJ/mole (kilojoule per mole), oppure in kcal/mole (1 kcal = 4,184 kJ). Ad esempio, l’energia del legame H-H della molecola dell’idrogeno è di 435 kJ/mole; ciò vuol dire che per rompere tutti i legami chimici di due grammi (cioè di una mole) di idrogeno molecolare occorrono 435 kJ di energia: una quantità pari all’incirca a quella necessaria per portare la temperatura di un litro d’acqua da 0 °C a 100 °C.

H-H     C-C     C=C     Cº C     H-F     H-O     H-C     H• • • • F     H• • • • O

435     343      669      878     560     460     430         42              9

L’energia di legame dipende da vari fattori: essa è funzione ad esempio della grandezza degli atomi: se gli atomi sono piccoli gli elettroni di legame sono vicini al nucleo e risentono maggiormente delle forze di attrazione verso i nuclei stessi; se gli atomi sono grandi, essendo gli elettroni di legame lontani dai nuclei, essi risentono di meno della loro attrazione.

Anche nel caso di un legame ionico le dimensioni degli atomi hanno molta importanza nel determinare il valore dell’energia. Se lo ione è piccolo vi è elevata densità di carica elettrica e pertanto il legame elettrostatico sarà forte, mentre per atomi più grandi vi è densità di carica elettrica più piccola e quindi si formano legami più deboli.

Il valore dell’energia di legame dipende ovviamente anche dal tipo di legame. I legami covalenti e quelli ionici sono i più forti, mentre sono legami molto deboli le forze di Van der Waals. Se prendiamo il caso degli stessi due atomi, per esempio idrogeno e ossigeno, legati attraverso un legame covalente oppure attraverso un legame a idrogeno si noterà che nel primo caso il legame è di oltre 15 volte più forte che nel secondo. Quindi, il legame che unisce idrogeno e ossigeno all’interno di una molecola d’acqua è 15 volte più forte del legame che unisce idrogeno e ossigeno fra due molecole d’acqua.

Il valore dell’energia di legame dipende anche dal numero dei legami presenti; abbiamo visto che due atomi possono essere legati assieme da legami multipli. L’energia di un legame multiplo è sicuramente superiore a quella di un legame singolo, ma non secondo i valori che intuitivamente ci si aspetta. Un legame doppio, ad esempio fra due atomi di carbonio, non vale il doppio del valore del legame singolo fra gli stessi due atomi. La cosa si giustifica facilmente se si considera che quando vi sono legami multipli, questi non sono tutti dello stesso tipo. Ad esempio, il legame singolo fra due atomi di carbonio è un legame di tipo σ, mentre nel legame doppio vi è un legame di tipo σ ed uno di tipo p. La sovrapposizione degli orbitali che dà origine ai due tipi diversi di legame non è la stessa e pertanto in un caso gli elettroni si troveranno più vicini al nucleo e in un altro più lontani con la conseguenza che la forza con cui i nuclei agiscono sulle coppie di elettroni in un caso è maggiore e nell’altro caso è minore.

La forza di legame è un importante fattore di reattività chimica. Un composto in cui i legami fra gli atomi sono molto forti è un composto stabile che reagisce difficilmente, mentre invece, se i legami sono deboli, il composto è più reattivo. In natura, ad esempio, vi sono alcune sostanze che devono durare a lungo, altre che devono immediatamente essere trasformate; queste ultime portano legami molto deboli in maniera da potersi dissolvere richiedendo poca energia. Ciò risponde ad una delle prerogative fondamentali della natura: massima efficienza con minima spesa.

LA FORMA DELLE MOLECOLE

La forma e le dimensioni delle molecole dipendono dal numero e dalla grandezza degli atomi che le compongono, dalla lunghezza dei legami che tengono uniti gli atomi stessi e dagli angoli che i legami formano fra di loro.

La lunghezza di un legame chimico non è altro che la distanza compresa fra i nuclei dei due atomi legati insieme. Tale distanza dipende dalla grandezza degli atomi, dall’energia di legame e dal numero dei legami che tengono uniti i due atomi. E’ intuitivo che quanto più piccoli sono gli atomi, quanto più forti sono i legami che li tengono uniti e quanto maggiore è il loro numero, tanto minore è la lunghezza del legame.

Anche gli angoli che i legami chimici formano all’interno di una molecola, come abbiamo già visto, contribuiscono a determinarne la forma. Basta confrontare la molecola d’acqua con quella di anidride carbonica. Entrambe le molecole sono formate di tre atomi, ma molto diverse appaiono fra loro per forma e dimensioni perché diversi sono, tra l’altro, gli angoli di legame.

Per concludere vorremmo accennare ad alcune molecole che pur dimostrando sperimentalmente di possedere un’unica conformazione molecolare, potrebbero presentare teoricamente più di una formula di struttura. Questo è il caso, ad esempio, dell’anidride solforosa, la quale presenta un atomo di zolfo a cui sono legati due atomi di ossigeno con legami di tipo diverso. In seguito a ciò, la molecola dovrebbe possedere una forma asimmetrica (v. fig. 31) con un atomo di ossigeno (quello unito con il legame covalente doppio) più vicino all’atomo dello zolfo ed uno più lontano (quello unito con legame dativo); anche l’energia di legame dovrebbe avere valori diversi.

Figura 31

La soluzione è stata trovata introducendo il concetto di ibrido di risonanza. La struttura reale della molecola è quella intermedia fra le forme teoricamente possibili in quanto si ritiene che gli elettroni di legame non occupino, in questi casi, una posizione fissa fra gli atomi, ma si spostino alternativamente nelle due posizioni teoriche possibili. Per rappresentare una molecola del genere, un sistema è quello di scrivere entrambe le forme limite separate da una freccia a doppia punta, come in figura 32.

Figura 32

Un altro esempio molto noto di ibrido di risonanza è quello dello ione carbonato CO3– –. La teoria prevede l’esistenza di tre formule limite, nelle quali l’energia, la lunghezza e gli angoli di legame sono diversi. Le osservazioni sperimentali suggeriscono invece l’esistenza di un’unica struttura, triangolare planare, con legami C-O tutti identici e disposti a 120° fra di loro. La struttura reale viene quindi considerata di forma intermedia fra le tre teoriche e rappresentata nel modo riportato in figura 33.

Figura 33

Un ultimo caso di ibrido di risonanza che vogliamo mostrare è quello relativo alla molecola del benzene, C6H6. Le formule di struttura teoriche prevedono l’esistenza fra gli atomi di carbonio di legami alternativamente semplici e doppi (si tenga presente che nei composti organici il carbonio ha sempre valenza 4). Le osservazioni sperimentali mostrano invece che gli atomi di carbonio sono legati fra loro ad anello con legami tutti uguali per lunghezza e per contenuto energetico. La struttura reale deve quindi essere immaginata con una forma intermedia fra le due riportate in figura, con gli elettroni di legame delocalizzati, cioè ripartiti equamente fra tutti e sei gli atomi di carbonio (v. fig. 34).

Figura 34

Prof. Antonio Vecchia

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