La signora delle Pulsar

Pur essendo ormai da lungo tempo presenti in ogni settore della vita sociale, le donne per emergere sono ancora costrette a percorrere strade irte di mille ostacoli. Fra i molti casi di mancato riconoscimento ufficiale del lavoro delle donne in campo scientifico quello di Jocelyn Bell (1943 -) è sicuramente uno degli esempi più emblematici. A questa giovane ricercatrice trent’anni fa fu sottratto il premio Nobel dal suo capo, il professore Antony Hewish (1924 -), direttore del dipartimento di astrofisica dell’Università di Cambridge in Inghilterra. Ecco come si svolsero i fatti.

 

LA SCOPERTA DELLE PULSAR

All’inizio dell’estate del 1967 prese a funzionare un radiotelescopio di grandi dimensioni “costruito in casa” su progetto dello stesso Hewish, alla realizzazione del quale parteciparono alcuni studenti fra cui la sua allieva Jocelyn. L’apparecchio era costituito di 2048 dispositivi riceventi, distribuiti su un’area di quasi 20 kilometri quadrati: una superficie enorme pari a quella di una cittadina di 20.000 abitanti. Tale strumento (uno simile ma di dimensioni più ridotte si trova a Medicina, a pochi kilometri da Bologna) doveva servire per individuare con precisione le quasar (corpi celesti simili a stelle i quali però emettono immense quantità di energia) in base ai loro segnali molto variabili. Alla giovane graduate student che stava preparando la tesi di laurea era stato assegnato il compito di analizzare i tracciati, simili ad elettrocardiogrammi, che venivano registrati su rotoli di carta collegati al radiotelescopio.

Nell’agosto di quell’anno la Bell notò una sorgente scintillante ma debole e non sempre percettibile tanto che sul momento pensò si trattasse di un’interferenza parassita. Sarebbe stato abbastanza naturale trascurare un simile segnale come privo di significato ma la giovane studentessa decise invece di tenere sotto controllo quella lieve anomalia. Un mese più tardi ricomparve infatti il segnale e la Bell dopo averlo analizzato accuratamente notò che era composto da una serie di impulsi periodici della durata di circa 1 secondo e 1/3 (per la precisione 1,33730109 s) e che ogni impulso durava solo un ventesimo di secondo. Della scoperta avvertì il suo professore il quale dapprima considerò che l’insolita interferenza potesse essere dovuta a segnali radio provenienti da una qualche sorgente locale, poi però avendo verificato che l’impulso era troppo regolare per essere emesso da una stazione radio terrestre, si convinse che doveva provenire dallo spazio.

Indubbiamente si trattava di un fenomeno che non aveva precedenti tanto che non venne scartata alcuna ipotesi relativa alla sua origine compresa quella, in verità poco credibile, di una lontana civiltà di esseri intelligenti che cercava di mettersi in contatto con altre dello stesso tipo presenti nella Galassia. Hewish e gli astronomi suoi colleghi a questa ipotetica civiltà avevano assegnato la sigla scherzosa di LGM (Little Green Men, cioè “omini verdi”); l’espressione venne invece accolta dalle agenzie di stampa come un fatto certo e in breve tempo fece il giro del mondo.

Dopo poche settimane l’idea però fu scartata dalla équipe degli scienziati di Cambridge anche perché frattanto la Bell aveva scoperto un’altra serie di impulsi dello stesso tipo provenienti da un’altra zona del cielo, questa volta separati fra loro da 1,2 secondi. A questo punto fu chiaro che i segnali non potevano essere inviati da creature intelligenti in quanto era impossibile che due civiltà extraterrestri tanto lontane tra loro avessero deciso contemporaneamente di inviare lo stesso segnale in direzione della medesima stella (cioè il Sole). Non solo, ma si comprese anche che i luoghi da cui partivano i messaggi (fra l’altro incomprensibili perché ripetuti sempre uguali a sé stessi) dovevano trovarsi a distanze talmente remote che l’energia impiegata perché fossero trasmessi doveva essere enorme (miliardi di volte superiore a quella che si riesce a produrre sulla Terra) e nessuna civiltà intelligente l’avrebbe impiegata nella sua interezza per uno scopo tanto banale.

Era evidente invece che si trattava di qualche cosa di ciclico, cioè di un oggetto astronomico che ruotava intorno al proprio asse o intorno ad un altro corpo celeste; oppure il segnale poteva anche essere emesso da un corpo pulsante. Hewish ritenne più plausibile quest’ultima soluzione e chiamò l’oggetto misterioso “stella pulsante” (in inglese pulsating star, un’espressione che venne subito abbreviata in pulsar). Frattanto la Bell aveva osservato altre due pulsar e a quel punto Hewish decise di rendere ufficiale la scoperta attraverso un articolo, firmato anche dai suoi collaboratori, che apparve sulla rivista Nature il 24 febbraio 1968.

Gli astronomi di tutto il mondo, appresa la notizia, pensarono giustamente che non dovesse trattarsi di fenomeni isolati e si misero infatti alla ricerca di nuove pulsar. In breve tempo ne furono individuate decine e si ritenne che altre ne dovessero esistere ma che a causa della rapidità delle pulsazioni e della debolezza del segnale sarebbero state difficili da individuare.

Le pulsar apparvero fino da allora oggetti straordinari soprattutto per il fatto che le loro pulsazioni si susseguivano con estrema regolarità, tanto che avrebbero potuto essere usate come orologi e infatti per questa caratteristica furono chiamate “orologi cosmici”. Nella maggior parte dei casi le pulsazioni erano definite da periodi che andavano da mezzo secondo ad un secondo ma ne furono scoperte anche di ultrarapide, emittenti al ritmo di 0,033 secondi e altre molto più lente, con periodi di quasi quattro secondi.

 

LE PULSAR SONO STELLE DI NEUTRONI

Frattanto si faceva strada l’idea che le pulsar potessero essere stelle di neutroni. Nel 1932 il fisico inglese James Chadwick (1891-1974) aveva isolato il neutrone e in seguito a quella scoperta alcuni astrofisici ipotizzarono l’esistenza di stelle composte interamente di queste nuove particelle subatomiche. Un paio d’anni prima della scoperta di Chadwick il giovane fisico indiano, Subrahmanyan Chandrasekhar, per impegnare il tempo durante un lungo viaggio per nave, aveva calcolato che le stelle con una massa inferiore a 1,44 masse solari avrebbero finito la loro esistenza come nane bianche mentre quelle con massa maggiore, esaurito il combustibile nucleare, sotto l’azione della gravità generata dalla loro stessa massa, avrebbero subìto un collasso senza fine. Dopo la scoperta del neutrone i fisici rifecero i calcoli e scoprirono che se la stella avesse avuto una massa compresa fra 1,44 e 3 masse solari sarebbe evoluta verso una stella di neutroni, mentre per masse maggiori il collasso sarebbe proseguito all’infinito fino a precipitare in quello che oggi sappiamo essere un buco nero. A quel tempo, escluse le nane bianche, gli altri corpi celesti piccoli ed estremamente pesanti erano soltanto modelli teorici: nessuno aveva mai visto una stella di neutroni né tanto meno un buco nero.

Pochi mesi prima della scoperta della Bell l’astrofisico italiano Franco Pacini aveva ipotizzato che le stelle di neutroni si sarebbero potute osservare nelle lunghezze d’onda radio qualora questi corpi fossero stati magnetizzati e in rotazione attorno ad un asse obliquo rispetto a quello del campo magnetico. Dopo la scoperta delle prime pulsar, utilizzando il suggerimento di Pacini, l’astrofisico austriaco Thomas Gold (1920 -) propose un modello molto semplice per spiegare il motivo delle rapide pulsazioni delle stelle di neutroni. Egli partì dall’osservazione che tutte le stelle ruotano, seppure lentamente, intorno ad un proprio asse e sono anche sede di campi magnetici molto deboli. Ora, se una stella di grandi dimensioni collassasse fino a raggiungere quelle di un piccolo pianeta, la sua velocità di rotazione intorno al proprio asse aumenterebbe enormemente a causa di uno dei principi fondamentali della dinamica chiamato “conservazione del momento angolare”. Il momento angolare di un corpo è una quantità che dipende da tre fattori: la sua massa, la sua forma e la sua velocità di rotazione. In natura questa quantità si mantiene costante e pertanto, se la massa di un corpo in rotazione non variasse nel tempo, qualora cambiasse invece la sua forma dovrebbe modificarsi anche la velocità di rotazione per compensare l’effetto. Da ciò si deduce che se un corpo aumentasse la sua estensione la sua velocità angolare dovrebbe diminuire, mentre se si racchiudesse su sé stesso dovrebbe ruotare più velocemente. Questo stesso principio viene sfruttato dalle pattinatrici su ghiaccio le quali per aumentare la velocità di rotazione avvicinano le braccia al corpo. L’elevata velocità di rotazione delle pulsar è sostanzialmente dovuta al fatto che le stelle da cui derivano, mantenendo inalterata la massa, hanno subìto una contrazione molto grande e con il rimpicciolimento delle dimensioni anche il loro campo magnetico ha patito il collasso intensificandosi enormemente.

A causa dell’elevatissima forza gravitazionale la stella di neutroni trattiene ogni cosa ma non gli elettroni i quali, resi veloci dalle alte temperature colà esistenti, potrebbero sfuggire se non venissero subito catturati dalle linee di forza del campo magnetico e fatti ritornare indietro. In realtà vi sono due luoghi da cui gli elettroni possono effettivamente evadere e sono rappresentati dai poli magnetici che si trovano in punti opposti della superficie della stella. Ora, tenuto conto che l’asse di rotazione e l’asse del campo magnetico non necessariamente coincidono (nemmeno sul nostro pianeta come si sa i poli geografici Nord e Sud coincidono con quelli da cui esce l’asse del campo magnetico) ogni polo magnetico ad ogni rotazione della stella potrebbe passare per la nostra linea visuale. Gli elettroni espulsi dai poli, rallentando, trasformano parte della loro energia cinetica in radiazione elettromagnetica (l’energia, come la materia, non può disperdersi nel nulla: può solo trasformarsi da una forma in un’altra) che, a causa della rapida rotazione della stella, diviene un segnale regolarmente ripetuto nel tempo. Queste stelle in altre parole si comportano come un faro che ruota molto velocemente producendo un fascio di luce intermittente.

Misure accuratissime del ritmo di emissione delle onde radio avevano mostrato una generale tendenza al rallentamento della frequenza degli impulsi, rallentamento che si mostrava maggiore per le pulsar a periodo rapido. Il fenomeno era stato previsto già da Gold il quale aveva calcolato che la velocità di rotazione delle pulsar doveva diminuire nel tempo e pertanto una giovane pulsar avrebbe dovuto ruotare su sé stessa più velocemente di una vecchia.

Fino al 1969 le pulsar erano state individuate solo attraverso il radiotelescopio ma non vi era motivo di ritenere che gli elettroni che emergevano da queste stelle dovessero perdere energia solamente sotto forma di onde radio: essi infatti avrebbero dovuto produrre onde elettromagnetiche di tutte le lunghezze e quindi anche raggi X, raggi gamma e luce. In effetti in quell’anno furono osservati lampi di luce, provenienti dalla stella centrale della nebulosa del Granchio, spaziati fra loro di 33 microsecondi, esattamente come lo erano le onde radio che emergevano dalla pulsar che era già stata individuata nella stessa zona.

Si trattava infatti della stella denominata PSR 0531+21 che si trova al centro della nebulosa costituita dai resti della supernova che esplose nel 1054 e fu descritta con dovizia di particolari dagli astronomi cinesi mentre, stranamente, in occidente nessuno la vide. La presenza di una pulsar nei resti di una supernova indica chiaramente che questi corpi pulsanti sono il residuo di stelle scomparse il cui cuore tuttavia continua a battere. Quando la pulsar della nebulosa del Granchio si formò, esattamente 950 anni fa, ruotava intorno al proprio asse ad una velocità vertiginosa (forse 1000 volte al secondo) ma negli anni perse energia ed oggi appare ruotare solo trenta volte al secondo, tuttavia ancora quaranta volte più in fretta della vecchia pulsar scoperta dalla Bell a cui fu assegnata la sigla CP 1919 che vuol dire Cambridge Pulsar situata a 19 ore e 19 minuti di ascensione retta (la coordinata del cielo analoga alla longitudine sulla Terra). La pulsar che si trova al centro della nebulosa del Granchio è la più rapida che si conosca, è quella che emette gli impulsi più intensi ed è quindi la più giovane che sia mai stata scoperta.

 

IL PREMIO MANCATO

Nel 1974 Hewish ricevette il premio Nobel per la fisica per i suoi meriti scientifici, ma soprattutto per avere scoperto le pulsar mentre la Bell in quell’occasione non fu nemmeno menzionata. È vero che Hewish progettò il radiotelescopio (insieme con il conterraneo Martin Ryle, con cui divise il premio) che consentì l’osservazione del fenomeno e successivamente fornì anche la corretta interpretazione dello stesso, ma è altrettanto vero che la scoperta si doveva in larga misura alla tenacia della giovane ricercatrice la quale, dimostrando una insospettabile capacità di individuare e valutare correttamente dati imprevisti rispetto agli obiettivi della ricerca fu determinante nella individuazione di segnali che in molti avrebbero trascurato. Essa incontrò anche difficoltà nel contrastare lo scetticismo dei professori i quali, nonostante la loro esperienza, si dimostrarono molto meno fiduciosi della studentessa nell’accogliere nuove e inattese scoperte.

L’ingiustizia subita dalla Bell suscitò un incredibile polverone di critiche e polemiche soprattutto all’interno del mondo accademico dove il famoso scienziato inglese Fred Hoyle (morto di recente all’età di 86 anni), soprannominato il “bastian contrario” dell’astronomia per le sue idee originali e in controtendenza, si schierò decisamente dalla parte della giovane ricercatrice: egli infatti biasimò aspramente la giuria di Stoccolma la quale aveva ritenuto che fosse pregiudizievole del prestigio del Nobel far partecipe del premio una studentessa. La giovane e intraprendente laureanda degli anni ’60 oggi, sposata e con un figlio, è la professoressa Jocelyn Bell Burnell, la quale non vinse il Premio Nobel che avrebbe ampiamente meritato, ma percorse lo stesso una splendida carriera scientifica fatta di grandi soddisfazioni e riconoscimenti di stima. Insegnò nelle migliori Università britanniche e fu a capo di organizzazioni e comitati scientifici di prestigio.

Fu invitata in mezzo mondo a tenere conferenze e a ritirare premi per il suo lavoro; venne anche in Italia nel novembre del 1999 invitata a Palermo dove tenne una conferenza e ricevette la “Targa Giuseppe Piazzi” un prestigioso riconoscimento che il Comune di quella città conferisce a personaggi che hanno contribuito alla divulgazione della scienza. Piazzi è l’astronomo che il 1° gennaio 1801 scoprì il primo asteroide, poi battezzato Cerere.

Prof. Antonio Vecchia

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