La particella di Dio

Ogni oggetto ha una massa: ma se è così, perché avviene? Si potrebbe dire che gli oggetti abbiano massa perché sono formati da un insieme di atomi ognuno dei quali, a sua volta, ha una massa, ma una tale risposta non è soddisfacente, in quanto sarebbe facile riconoscere in essa una dissimulata tautologia. In realtà gli atomi sono costituiti quasi esclusivamente di spazio vuoto tuttavia il nucleo centrale contiene protoni e neutroni – che sono particelle dotate di massa – e gli elettroni che, a notevole distanza, girano intorno al nucleo essendo anch’essi forniti di massa ancorché minima. Se gli elettroni avessero una massa un po’ maggiore di quella che hanno orbiterebbero più vicini al nucleo: quindi gli atomi sarebbero più piccoli e di conseguenza ogni cosa sarebbe più piccola. Se gli elettroni avessero una massa minore di quella che hanno, o addirittura non avessero massa alcuna, gli atomi non esisterebbero affatto e non esisterebbe nemmeno la materia.

Che la massa svolgesse un ruolo fondamentale nella struttura dell’Universo ce lo ha fatto notare Newton con la sua legge di gravitazione universale. Einstein, successivamente, ha scoperto che la massa può trasformarsi in energia ed è proprio grazie a questa trasformazione che il Sole brucia e consente lo svilupparsi della vita sulla Terra. La massa è quindi un’entità fondamentale ma nessuno è riuscito finora a spiegare in termini scientifici cosa sia veramente questa grandezza fisica. Tuttavia recentemente gli scienziati sembrano aver capito da dove gli oggetti materiali traggano la loro massa, ma prima di illustrare le nuove ipotesi sull’argomento è indispensabile passare brevemente in rassegna le particelle e le forze elementari presenti in natura.

 

LE PARTICELLE FONDAMENTALI

Fino a qualche decina di anni fa la fisica ammetteva l’esistenza di centinaia di particelle apparentemente elementari, ma poi si è visto che quella diversità era dovuta a combinazioni di un numero molto minore di entità basilari. Fra le particelle che oggi appaiono prive di struttura e indivisibili (pertanto fondamentali) vi sono i leptoni e i quark.

Leptone deriva da un termine greco che significa “leggero”, perché sembrava che tutte le particelle appartenenti al gruppo fossero leggere. La categoria dei leptoni comprende sei membri: tre (elettrone, particella mu o muone e particella tau o tauone) sono a carica elettrica identica –1 mentre differiscono per la massa crescente dal più leggero, l’elettrone, al più pesante, il tauone: il muone è 200 volte più pesante dell’elettrone, mentre il tauone lo è 3500 volte. Gli altri tre, detti neutrini, che, come suggerisce il nome, sono a carica neutra, sembra abbiano poca o nessuna massa. I neutrini vengono prodotti quando nel decadimento di una particella pesante viene emesso uno degli altri tre leptoni: esistono pertanto il neutrino elettronico, il neutrino muonico e il neutrino tauonico, a seconda del leptone con cui sono emessi.

Per ogni leptone vi è un antileptone, ovvero un’antiparticella, che differisce dalla particella per alcune proprietà: ad esempio l’antielettrone (o positone) differisce dall’elettrone per la carica elettrica che invece di –1 vale +1. Inoltre alcuni leptoni sono instabili, ovvero si trasformano in altre particelle più leggere, altri sono assolutamente stabili. È instabile ad esempio il muone che ha una vita media di pochi microsecondi: esso decade in un elettrone, un antineutrino elettronico e un neutrino muonico. L’elettrone è invece assolutamente stabile perché non esiste alcuna particella più leggera nella quale possa decadere. È dimostrato infatti che una particella elementare tende a decadere spontaneamente se esiste una particella più leggera nella quale essa possa trasformarsi. Il decadimento dei neutrini non è ancora stato osservato forse proprio perché non esiste nulla di più leggero del neutrino.

L’altra classe di particelle elementari, anch’esse in numero di sei, come i leptoni, è quella dei quark, nome scelto dal fisico americano Murray Gell-Mann (1929-) il quale si era ispirato al “Finnegans Wake” (La veglia di Finnegan) di James Joyce in cui è descritta la biografia di un certo signor Finn (chiamato talvolta, come in questo passo, Mark). I tre quark sono i suoi figli che a volte lo sostituiscono. Il parallelo con la fisica delle particelle è evidente: il signor Mark rappresenta il protone il quale si comporta come se consistesse di tre quark, cioè di tre particelle più piccole. Esse sono dette sapori e, in inglese, prendono il nome di “up” (su), “down” (giù), “charm” (fascino), “strange” (strano), “top” (alto) e “bottom” (basso). Ciascun quark, inoltre, ha un colore: rosso, verde o blu. Il termine di colore, come quello di sapore, non deve essere inteso in senso letterale; si tratta di nomi di fantasia che servono a distinguere le proprietà dei diversi quark. Attraverso i gluoni, particelle che fanno da “colla”, i quark si combinano a tre a tre per formare i barioni (protoni e neutroni). Se un quark rosso, uno verde e uno blu si combinano, ne risulta una particella bianca, priva di colore, esattamente come una combinazione di questi tre colori dà una luce bianca, incolore.

Come nel caso dei leptoni anche i quark presentano le corrispondenti antiparticelle, gli antiquark, i quali sono antirossi (ciano), antiverdi (magenta) e antiblu (giallo). Anche la combinazione di un colore primario con il suo anticolore dà come risultato il bianco.  Se i quark si uniscono a due a due (un quark e un antiquark) si formano i mesoni (particelle di massa intermedia fra quella dell’elettrone e quella del protone). Diversamente da ciò che accade con i leptoni, non sono mai stati osservati quark liberi, eppure ci sono prove di laboratorio incontrovertibili della loro presenza all’interno degli adroni (cioè di barioni e mesoni).

La proprietà più strana dei quark è comunque quella di avere carica elettrica frazionaria, pari a 1/3 o 2/3. Per esempio, il protone lo si deve immaginare formato da due quark up con carica +2/3 e un quark down con carica –1/3 che complessivamente fornisce la carica +1 di quella particella. Il neutrone invece, che non ha carica, lo si può immaginare formato da un quark up con carica +2/3 e da due quark down con carica –1/3, per un totale di zero.

 

LE INTERAZIONI

Dai sei leptoni e dai sei quark oggi ritenuti i costituenti fondamentali della materia la natura crea una enorme complessità di strutture e di dinamiche. Le forze che governano le loro relazioni sono quattro: elettromagnetismo, gravità, forza forte e forza debole. Forza può essere definita una grandezza fisica capace di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo o di produrre su di esso una deformazione. Nel mondo microscopico è in vigore una definizione di forza più generale che a volte viene espressa con il termine altrettanto generale di interazione. Ogni forza è in realtà un’interazione tra corpi e può causare variazioni di energia o di quantità di moto quando si instaura tra numerose particelle in collisione; essa può anche agire su una singola particella isolata in un processo di decadimento spontaneo.

Ciascuna interazione è trasmessa da particelle che agiscono da mediatori e quindi, nella visione della fisica moderna, le forze sono percepite come lo scambio di queste particelle tra i corpi che interagiscono. Il gravitone media la forza gravitazionale, il fotone quella elettromagnetica, i bosoni W+, W e Z0 l’interazione nucleare debole e infine otto gluoni mediano la forza nucleare forte. Uno degli sforzi principali della fisica attuale è quello di unificare teoricamente le interazioni fondamentali in un unico modello, dove ciascuna di esse non sia altro che un diverso modo di apparire di un’unica forza originaria presente nei primi istanti di vita dell’Universo.

Dopo l’unificazione fra elettromagnetismo e forza debole nei primi anni ’60 del secolo scorso da parte di tre fisici, gli americani Sheldon Glashow e Steven Weinberg e il pachistano Abdus Salam, gli scienziati stanno ora tentando di far rientrare nel modello la forza forte nella cosiddetta “teoria della grande unificazione” (GUT). Per quella gravitazionale non vi sono ancora teorie soddisfacenti ma è in atto la ricerca di modelli che prevedano l’unificazione di tutte e quattro le interazioni fondamentali nelle cosiddette “teorie della superunificazione”. L’ambizione massima dei fisici è tuttavia quella di poter descrivere la complessità dell’Universo con una semplice teoria che includa ogni cosa, un modello che va sotto il nome di TOE, theory of everything (teoria del tutto). Se si riuscirà in questa impresa, ha detto il famoso scienziato inglese Stephen Hawking, “decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana, giacché allora conosceremo la mente di Dio”.

L’interazione più intensa ma anche quella con raggio d’azione più piccolo è la forza nucleare forte. Essa si esercita fra i quark e, opponendosi alla carica positiva dei protoni che li spingerebbe ad allontanarsi, costringe anche queste particelle a rimanere confinate all’ interno dei nuclei atomici. Al secondo posto nella scala delle intensità si colloca la forza elettromagnetica, la quale, pur essendo circa cento volte inferiore rispetto alla nucleare forte, estende il proprio raggio d’azione su distanze maggiori: ragion per cui, fuori dai nuclei atomici, le forze elettromagnetiche sono predominanti. Cento miliardi di volte meno intensa dell’elettromagnetica è la forza nucleare debole: anche questa si esercita fra i quark ed è responsabile della radioattività naturale. Da ultima, ma non meno importante delle altre, troviamo la forza gravitazionale, che si esercita fra tutti i corpi dotati di massa. Paragonata alla forza nucleare forte, quella gravitazionale risulta essere miliardi di miliardi di miliardi di volte meno intensa, tanto che fra le particelle elementari non ha alcuna influenza. La forza di gravità tuttavia è quella che tiene unito l’Universo, tiene la Terra in prossimità del Sole e tiene ciascuno di noi attaccato alla superficie del pianeta.

 

IL MODELLO STANDARD

Tutte le conoscenze acquisite dalla fisica delle particelle e delle forze fondamentali degli ultimi cinquant’anni sono condensate in quello che gli scienziati chiamano “Modello Standard”. Esso si basa sull’esistenza di tre famiglie (o generazioni) di particelle dette fermioni per un totale di dodici particelle elementari che vengono anche chiamate particelle-materia (più le loro dodici antiparticelle) e di quattro interazioni fondamentali con le corrispondenti particelle di scambio, dette bosoni intermedi.

I fermioni sono così detti in onore del fisico italiano Enrico Fermi (1901-1954) e comprendono le particelle che obbediscono alla cosiddetta statistica di Fermi-Dirac. La statistica è un modo di operare che riguarda lo studio non di una singola particella ma di un gran numero di esse e di conseguenza le leggi dedotte per questa via descrivono gli stati del sistema in senso probabilistico. All’interno di questa analisi le particelle rispettano il principio di esclusione di Pauli, il quale afferma che in ogni sistema fisico due particelle non possono occupare lo stesso stato quanto-meccanico. In pratica le particelle di materia non possono addensarsi tutte insieme nello stesso posto ma ognuna di esse ha bisogno di un proprio sito in cui sistemarsi.

Si chiamano invece bosoni, in onore del fisico indiano Satyendranath Bose (1894-1974), le particelle di energia il cui comportamento è descritto dalla statistica di Bose-Einstein che non rispetta il principio di esclusione di Pauli. Essa stabilisce che non esiste un limite al numero di bosoni che possono occupare lo stesso stato quantico e ciò può portare ad un comportamento collettivo coordinato, come avviene ad esempio nel laser in cui molti fotoni dello stesso colore agiscono tutti insieme.

Ciascuna famiglia del Modello Standard è composta da due leptoni e due quark. La materia ordinaria è formata solo dalle particelle della prima famiglia che sono i leptoni elettrone e neutrino muonico e i quark up e down. Nella seconda e terza famiglia sono comprese le particelle che esistevano poco dopo il Big Bang e che oggi sono rintracciabili solo nei raggi cosmici o negli acceleratori di particelle subatomiche.

Il Modello Standard che viene utilizzato quotidianamente dai fisici spiega inoltre tutte le possibili interazioni fra le particelle di materia e le quattro forze fondamentali. Esso inoltre mostra un accordo impressionante con tutti i dati provenienti dagli esperimenti sul comportamento delle particelle.

Tuttavia, nonostante tutto ciò che di positivo mostra il Modello Standard, vi sono fondati motivi per ritenerlo incompleto e a questo punto entra in gioco l’inafferrabile “bosone di Higgs”. In particolare si sostiene che questa particella non ancora individuata, oltre a dare coerenza matematica al Modello Standard, dovrebbe generare la massa di tutte le particelle fondamentali; come si suol dire le particelle “mangiano” il bosone di Higgs per guadagnare peso. Questa carenza, è bene ripeterlo, non sta a significare che sia errato l’intero modello ma piuttosto che esso sia solo un’approssimazione, anche se buona, della realtà.

 

LA PARTICELLA DI HIGGS

La particella prende il nome dal suo ideatore il fisico scozzese Peter Higgs (1929-) e si pensa che intervenga nel meccanismo che fornisce la massa alla materia. La particella è associata ad un campo detto “campo di Higgs”, con il quale termine in fisica si intende una regione dello spazio in ogni punto della quale è definita una grandezza fisica, per esempio una forza (come nel caso del campo elettromagnetico) o una massa (come nel caso del campo gravitazionale). I campi si manifestano generalmente mediante lo scambio di una particella mediatrice; per esempio, come abbiamo già visto, la particella che media il campo elettromagnetico è il fotone, ossia il quanto di radiazione luminosa, e il gravitone media quello gravitazionale. In modo analogo, il bosone di Higgs è la particella mediatrice dell’ipotizzato campo omonimo.

Il fisico Leon Lederman premio Nobel nel 1988 per la fisica definì il bosone di Higgs la “particella di Dio” perché veniva indicata come responsabile delle proprietà delle particelle elementari e quindi di tutta la materia, fino ad oggi però non vi sono evidenze sperimentali della sua esistenza. Anzi, una serie di dati indiretti farebbe pensare che questa sfuggente particella non esista affatto.

L’idea di Higgs era quella di ritenere che i portatori delle forze venissero rallentati dal passaggio attraverso il “campo di Higgs” che a sua volta agisce mediante il trasferimento dei cosiddetti bosoni di Higgs. Si sa che i corpi risentono della forza di gravità in misura diversa a seconda della loro massa: più un corpo è pesante più tempo impiega la gravità ad attirarlo a sé.

Per rendere chiaro il concetto immaginiamo di lasciare cadere una pallina all’interno di un bicchiere vuoto, ossia pieno d’aria: essa impiegherà poco tempo a raggiungere il fondo. Però, se fosse pieno di acqua, la pallina impiegherebbe più tempo a raggiungere il fondo del bicchiere dando l’impressione di essere più pesante di prima. Se il bicchiere fosse pieno di un denso sciroppo sarebbe molto lento il moto della pallina all’interno di esso facendo ritenere di essere diventata ancora più pesante.

Per fare un altro esempio possiamo riferirci ad un fatto che abbiamo noi tutti sperimentato e cioè quello di camminare con le gambe immerse nell’acqua: le gambe in quel frangente ci sembrano pesanti e il loro movimento rallentato; se si camminasse con i piedi immersi nel fango la fatica sarebbe notevole perché le nostre estremità in questo caso ci sembrerebbero ancora più pesanti. Il campo di Higgs rallenta le particelle portatrici di forza che passano all’interno fornendo loro di fatto una massa e poiché agisce con maggiore intensità sui bosoni W e Z rispetto ai fotoni, i primi appaiono più pesanti dei secondi.

Nel 1993 il ministro inglese per la scienza lanciò una sfida ai fisici ai quali chiese di descrivere in poche parole e in modo comprensibile cosa fosse la particella di Higgs e il motivo per il quale fosse così importante trovarla. Al vincitore sarebbe stata riservata una cassetta del più pregiato champagne.

La sfida ebbe un vincitore nella figura del fisico David Miller del dipartimento di Fisica e Astronomia dell’University College di Londra. Vale la pena di esemplificare la sua spiegazione nei termini qui di seguito trascritti. Immaginiamo una sala affollata di giornalisti sportivi uniformemente distribuiti ognuno di essi in conversazione con il proprio vicino in attesa del più famoso e discusso allenatore della squadra di calcio di serie A. Al primo apparire del personaggio sulla porta d’ingresso i giornalisti più vicini gli si fanno intorno ponendo domande ma in questo modo rendendo difficoltoso il suo procedere. Nel momento in cui alcuni giornalisti si allontanano dal gruppo altri si avvicinano rallentando ulteriormente il cammino dell’allenatore verso il tavolo allestito per la conferenza stampa. Con tutti quei giornalisti intorno è come se il nostro personaggio diventasse più pesante e quindi facesse più fatica a camminare. La sua quantità di moto (ossia il prodotto della velocità per la massa) rimane costante mentre varia il valore delle due grandezze fisiche. In certi momenti molti giornalisti si fanno intorno all’allenatore aumentando in un certo senso la sua massa mentre diminuisce la velocità ossia l’incedere si fa più lento e faticoso, in altri momenti diminuisce l’affollamento intono a lui e l’avanzare verso il fondo della sala si fa più veloce.

Ritornando al fenomeno fisico in esso si deve immaginare che quando una particella attraversa il campo di Higgs lo distorce creando un raggruppamento del campo intorno ad essa e generando una massa che sarà diversa a seconda dell’affollamento prodotto dalla particella stessa. L’idea venne dalla fisica dei solidi. Sappiamo che quelli metallici sono formati da un insieme di nuclei positivi sistemati in modo ordinato all’interno di una struttura tridimensionale nella quale uno sciame di elettroni, liberi di circolare al suo interno, contribuisce a tenere insieme. L’elettrone che attraversa la struttura cristallina viene leggermente rallentato perché attratto da tutte le cariche positive che incontra lungo il cammino: pertanto la sua massa appare maggiore di quella che avrebbe in assenza di questi ioni. In questo caso è in azione la forza elettromagnetica, mediata dai fotoni. Il campo di Higgs agisce in modo analogo, ma la forza è trasportata dai bosoni di Higgs e non dai fotoni.

 

LA RICERCA DELLA PARTICELLA DI HIGGS

Il problema è ora quello di individuare questa particella, sempre che la stessa esista. Per poterlo fare è necessario innanzitutto avere un’idea, anche se solo approssimativa, della sua massa: per poterla “vedere” è infatti indispensabile creare all’interno degli acceleratori di particelle energia corrispondente alla massa del corpuscolo che si vuole intercettare.

Gli acceleratori di particelle sono macchinari molto complessi e molto costosi nei quali, all’interno di tunnel circolari, vengono accelerate mediante un campo elettrico o magnetico particelle elettricamente cariche che rendono in tal modo possibile l’approfondimento della conoscenza sulla struttura fondamentale della materia e sulle interazioni fra i suoi costituenti. I più grandi acceleratori oggi in attività sono il Tevatron con un circuito di oltre 80 kilometri di circonferenza, realizzato nel 1983 al Fermilab (Fermi National Accelerator Laboratory) ubicato in vicinanza di Chicago, e il Large Hadron Collider (LHC) installato nello stesso tunnel lungo 27 kilometri del precedente LEP (Large Electron Position collider) del CERN. Il CERN (Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare ) è un consorzio di 12 nazioni europee con sede a Ginevra, in Svizzera; esso applica il principio secondo il quale l’unione fa la forza, come avviene nel sistema laser di applicazione coerente di energia.

Una volta stabilito il valore della massa della particella che si vuole individuare si lanciano all’interno dell’acceleratore alcune particelle ordinarie, come elettroni o protoni, che verranno accelerati, nell’anello, da giganteschi magneti superconduttori e fatti infine scontrare fra loro a velocità prossime a quelle della luce. Si raggiungono in questo modo energie superiori a quella della massa della particella che si vuole “vedere”. In base al principio di equivalenza massa-energia vengono misurate in elettronvolt le masse delle particelle elementari. Per fare un esempio, al protone, la cui massa è di 1,67×10-27 kg, corrisponde un’energia di circa 0,9 GeV (gigaelettronvolt, cioè poco meno di un miliardo di elettronvolt; l’elettronvolt rappresenta per l’appunto l’unità di misura dell’energia nel campo delle particelle elementari). La particella più massiccia finora trovata, il quark top (individuato nel 1995 proprio al Fermilab), ha una massa di 174 GeV.

La particella di Higgs dovrebbe avere una massa compresa fra 130 e 180 GeV. Così almeno ritengono i fisici che lavorano presso il Tevatron, l’acceleratore di particelle americano. Nell’autunno del 2008 al CERN di Ginevra ha avuto inizio l’esperimento di fisica più grande e più costoso della storia all’interno del tunnel sotterraneo Large Hadron Collider (LHC) ma quasi subito l’acceleratore di particelle si inceppò e ci volle più di un anno per rimetterlo in funzione.

Secondo i calcoli dei fisici del CERN la massa della particella di Higgs era stata valutata di circa 110 GeV: un valore che si sarebbe potuto raggiungere nel vecchio LEP, il quale poco prima che venisse smantellato per fare posto al nuovo acceleratore aveva raggiunto la sua massima energia di circa 200 GeV. E in effetti proprio negli ultimi esperimenti che vennero eseguiti l’apparecchio aveva mostrato una serie di indizi che potevano rappresentare l’esistenza della tanto agognata particella. I segnali in verità apparivano piuttosto deboli, tanto che i ricercatori non si arrischiarono di dichiarare ufficialmente l’avvenuta individuazione della particella.

Se la massa della Higgs fosse veramente compresa fra 130 e 180 GeV attualmente essa potrebbe essere individuata solo dal Tevatron americano, unico acceleratore disposto a fornire l’energia che serve. Se invece la Higgs avesse una massa superiore a quella prevista, essa potrà essere individuata dal nuovo acceleratore LHC di Ginevra che, quando avrà raggiunto il massimo della sua potenza, produrrà energia pari a 14.000 GeV.

Prof. Antonio Vecchia

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