Ettore Majorana

Majorana è un personaggio molto noto per la sua fine misteriosa ma pochi conoscono le sue straordinarie doti di scienziato. Egli in verità ha lasciato un numero esiguo di lavori perché si dimostrò sempre restio a mettere per iscritto le sue brillanti intuizioni scientifiche. Secondo Fermi, Majorana era un genio eccezionale, il più grande fisico teorico di quel tempo e al riguardo affermava che al mondo esistono molti scienziati che per tutta la vita si impegnano con passione e competenza nel loro lavoro senza però ottenere mai nulla di interessante, pochi altri invece che arrivano a scoperte di grande importanza e fondamentali per lo sviluppo della scienza (e fra questi probabilmente poneva anche sé stesso). Ma poi – concludeva – ci sono i geni eccezionali come Galileo e Newton, e Majorana era uno di quelli. In verità Fermi aveva dimenticato che un genio come Galileo e Newton in quel momento nel mondo già esisteva, ed era Albert Einstein.

 

IL PERIODO DEGLI STUDI

Ettore Majorana nasce il 5 agosto del 1906 a Catania da una famiglia della borghesia colta. Il padre Fabio Massimo (1875-1934) era un ingegnere che per molti anni fu direttore dell’azienda telefonica di Catania prima di essere trasferito a Roma dove ricoprì l’incarico di ispettore generale del Ministero delle Comunicazioni. Dal matrimonio con Dorina Corso (1876-1965) anch’essa di origine catanese, nascono cinque figli: Rosina che andò sposa a Werner Schultze; Salvatore, laureato in legge e studioso di filosofia; Luciano, ingegnere civile specializzato in costruzioni aeronautiche, che nella maturità si dedicò anche alla realizzazione di strumenti per l’astronomia ottica e alla progettazione degli Osservatori di Monte Mario a Roma, del Gran Sasso e dell’Etna; Ettore; e quindi ultima, Maria, musicista e insegnante di pianoforte.

Ettore crebbe quindi in un ambiente familiare culturalmente elevato, formato da professionisti ben inseriti in campo universitario e della politica (uno zio era professore di fisica all’Università di Bologna, mentre il nonno era stato un politico esperto di economia e finanza). Egli si distinse subito per una intelligenza superiore al normale: all’età di tre o quattro anni, prima ancora di avere imparato a leggere e scrivere, risolveva a memoria e con notevole rapidità moltiplicazioni di numeri di tre cifre e a sette anni dimostrava una notevole abilità nel gioco degli scacchi per la quale ebbe anche una menzione sul giornale locale.

Compì i primi studi in famiglia, quindi fu mandato in collegio a Roma presso l’Istituto Massimo diretto dai Gesuiti dove completò le elementari ed iniziò gli studi ginnasiali. Quando nel 1921 la famiglia si trasferì nella capitale egli continuò a frequentare lo stesso Istituto, ma come esterno, fino alla seconda superiore quindi passò al Liceo statale Torquato Tasso, dove nel 1923 conseguì la licenza con ottimi risultati soprattutto in matematica e fisica.

Nell’autunno dello stesso anno Ettore si iscrisse alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma: frequentò con regolarità le lezioni e superò gli esami brillantemente ottenendo votazioni molto alte. Suoi compagni di corso erano fra gli altri il fratello Luciano ed Emilio Segrè che poi diventerà professore di fisica all’Università di Berkeley in California e vincerà anche il premio Nobel nel 1959 per la scoperta dell’antiprotone. Terminato il biennio un gruppo di giovani molto promettenti, con Majorana in testa, cominciò a frequentare la Scuola di applicazione per ingegneri di Roma.

Majorana nella scuola di studi superiori continuava a superare gli esami con sicurezza e, oltre ad impegnarsi nello studio, aiutava anche i compagni nella soluzione dei problemi più difficili, soprattutto di matematica, cosa che con altruismo aveva già fatto nel corso del biennio. Però, se da un lato si dimostrava generoso e disponibile verso i compagni, era invece molto critico nei confronti di alcuni insegnanti che insistevano su particolari insignificanti degli argomenti che illustravano mentre trascuravano l’aspetto generale del problema, principio fondamentale per un solido inquadramento scientifico.

Frattanto, nel giugno del 1927 Orso Mario Corbino, professore di Fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di Fisica di Roma, che nel 1920 era diventato senatore e l’anno seguente Ministro della Pubblica Istruzione, con lungimiranza si prodigò affinché venisse istituita la cattedra di Fisica Teorica in Roma da assegnare ad Enrico Fermi, giovane scienziato di cui aveva intuito le eccezionali qualità. Una volta istituita la cattedra, la prima in Italia di quel tipo, Corbino si adoperò anche per indirizzare verso quella facoltà i suoi allievi migliori; e quindi durante le lezioni ad Ingegneria invitava gli studenti che riteneva più intelligenti ad abbandonare quella facoltà per passare a Fisica, dove avrebbero potuto intraprendere un lavoro teorico e sperimentale molto impegnativo ma nello stesso tempo fonte di grandi soddisfazioni: quelli erano infatti gli anni in cui venivano formulate le teorie rivoluzionarie della fisica. I primi a passare da Ingegneria a Fisica furono Emilio Segrè ed Edoardo Amaldi.

Lo stesso Segrè, entusiasta dell’ambiente che si era formato intorno a Fermi, s’impegnò a convincere Majorana affinché seguisse il suo esempio e passasse anch’egli a Fisica, dove avrebbe potuto soddisfare le sue aspirazioni scientifiche ed esprimere appieno le sue capacità intellettive. Il suo passaggio a Fisica avvenne all’inizio del 1928 dopo un colloquio con Fermi che merita di essere ricordato.

Fu sempre Segrè ad accompagnare Majorana nello studio di Fermi in via Panisperna dove si trovava anche Franco Rasetti, ottimo fisico sperimentale, che Fermi pretese fosse trasferito dall’Università di Firenze a quella di Roma affinché collaborasse con lui. Nel colloquio con Majorana Fermi espose subito le ricerche in cui era impegnato, illustrandogli una tabella nella quale erano raccolti i dati relativi al modello atomico a cui stava lavorando. Majorana, senza farlo apparire, dubitò dei risultati a cui Fermi era pervenuto nello spazio di una settimana giovandosi di calcoli eseguiti con il regolo calcolatore, nell’uso del quale peraltro egli era un maestro.

In una notte, con la sua incredibile abilità matematica, Majorana trasformò l’equazione di Fermi in un’altra che doveva portare agli stessi risultati. La mattina seguente l’aspirante studente di fisica si presentò nuovamente nello studio di Fermi dove chiese di rivedere la tabella dei dati che aveva esaminato il giorno precedente; quindi estrasse dalla tasca un foglietto su cui erano segnati i valori calcolati in poche ore di lavoro notturno e constatò che coincidevano. Egli quindi si era recato nello studio di Fermi non per verificare l’esattezza della tabella da lui calcolata, ma di quella elaborata da Fermi.

Dopo questo episodio Majorana decise di trasferirsi a Fisica e cominciò a frequentare l’Istituto con una certa assiduità. Per il suo carattere distaccato, critico e scontroso gli venne affibbiato il soprannome di “Grande Inquisitore”. In verità tutti i giovani fisici dell’Istituto di via Panisperna avevano un soprannome mediato in gran parte dalla gerarchia ecclesiastica, così Fermi era il “Papa”, Rasetti che spesso sostituiva Fermi in alcune mansioni importanti, il “Cardinale Vicario”, Corbino ovviamente era il “Padreterno”, Segrè “il Basilisco” (per il suo carattere mordace) mentre Amaldi per le sue delicate fattezze fisiche era chiamato “Adone” ma egli di quel titolo non era affatto entusiasta.

 

LA PRODUZIONE SCIENTIFICA

La produzione scientifica di Majorana, come abbiamo accennato, non è molto ricca come mole ma grande per importanza. Essa si riduce infatti a soli nove lavori (per un’ottantina di pagine dattiloscritte) riguardanti problemi di fisica atomica e molecolare, problemi relativi alla struttura nucleare e ai suoi costituenti elementari, nonché un articolo di alta divulgazione. Rimangono di lui inoltre i “Volumetti”, ossia una serie di appunti di studio scritti a partire dal 1927 quando cominciò a pensare al passaggio da Ingegneria a Fisica. Si tratta di annotazioni manoscritte che potrebbero essere fotocopiate e pubblicate così come si trovano e costituire un testo moderno (nonostante siano passati quasi ottant’anni) di Istituzioni di Fisica Teorica.

Gli studi relativi all’atomo e alla molecola sono incentrati sulla spettroscopia e sul legame chimico. Si tratta di lavori di grande valore scientifico che rivelano una profonda conoscenza dei dati sperimentali analizzati fino nei minimi dettagli e soprattutto un possesso dei mezzi matematici veramente eccezionale accompagnati da straordinarie capacità di calcolo. La conoscenza dello scambio di elettroni di valenza, che è alla base della teoria quantistica del legame chimico omeopolare, costituirà il punto di partenza per l’ipotesi che le forze nucleari siano forze di scambio, argomento di cui lo scienziato si sarebbe occupato in seguito.

Agli inizi del 1932 i lavori dell’Istituto di via Panisperna si erano orientati decisamente verso la fisica nucleare. In verità già da alcuni anni, Fermi aveva prospettato la necessità di abbandonare lo studio dell’atomo per far convergere la ricerca su problemi relativi alla struttura del nucleo atomico. Majorana si mostrò subito interessato al nuovo campo di indagine anche perché aveva già trattato quell’argomento nella sua tesi di laurea.

Proprio in quei giorni arrivavano dalla Francia notizie relative agli esperimenti condotti dai coniugi Joliot-Curie riguardanti le radiazioni emesse dal Berillio sotto l’azione di particelle alfa. L’interpretazione del fenomeno si dimostrò però errata. I due fisici francesi avevano infatti pensato che il fenomeno fosse dovuto ad un nuovo tipo di interazione fra raggi gamma e protoni. Quando Majorana venne a conoscenza dell’esperimento e della sua interpretazione commentò scuotendo la testa: “Non hanno capito niente: i protoni neutri sono passati loro sotto il naso e non se ne sono accorti”. Pochi giorni dopo giunse infatti a Roma la notizia che il fisico britannico James Chadwick (1891-1974) aveva dimostrato l’esistenza del protone neutro (o “neutrone” come verrà chiamata in seguito quella particella).

Venuto in possesso di questa nuova scoperta, Majorana abbozza una teoria in cui immagina che protoni e neutroni siano gli unici costituenti dei nuclei atomici e Fermi lo invita a pubblicare i risultati di questa intuizione, ma egli si rifiuta, adducendo a giustificazione il fatto che l’opera era ancora incompleta. Non solo: egli proibisce anche a Fermi, che nel frattempo era stato invitato a tenere una conferenza a Parigi sulle proprietà del nucleo atomico, di farne menzione. Majorana aggiunse che, se proprio ne voleva parlare, dicesse che erano idee di un noto professore di elettrotecnica (probabilmente presente al congresso) verso il quale egli nutriva una totale disistima. Si trattava chiaramente di una celia da cui peraltro traspariva la nevrosi che già a quel tempo si era impossessata di lui.

Così avvenne che Fermi in quell’occasione parlasse dello “Stato attuale della fisica del nucleo atomico” senza accennare a quella categoria di forze nucleari che in seguito verranno chiamate “forze di Majorana”. Frattanto, il fisico tedesco Werner Heisenberg pubblicava una teoria che, per quanto anch’essa incompleta e imperfetta, era simile a quella intuita da Majorana. E, quando la teoria del fisico tedesco venne accettata e celebrata, egli non condivise il rammarico dei colleghi dell’Istituto romano per non averla lui stesso tempestivamente pubblicata, ma al contrario concepì nei riguardi del fisico tedesco un sentimento di ammirazione che si rafforzerà ulteriormente quando lo conoscerà personalmente in occasione della sua visita all’Università di Lipsia in cui si recherà di lì a poco.

L’avversione a pubblicare e comunque a rendere note le sue scoperte costituiva un atteggiamento tipico del suo carattere. A volte capitava che conversando con qualche collega accennasse ad una sua recente intuizione oppure a calcoli che aveva scritto con grafia minuta ed ordinata su di un pacchetto di sigarette; con noncuranza, lo estraeva di tasca e ne riportava alla lavagna i pochi dati che erano sufficienti per chiarire il suo pensiero, quindi accartocciava il pacchetto e lo gettava nel cestino insieme con i preziosi calcoli e le teorie enunciate.

 

I VIAGGI ALL’ESTERO

Dopo tante insistenze Fermi riuscì finalmente a convincere Majorana a recarsi all’estero per conoscere i lavori che si realizzavano presso quelle Università. A tal fine, gli fece assegnare dal Consiglio Nazionale delle Ricerche una sovvenzione grazie alla quale lo scienziato si recherà prima a Lipsia e poi a Copenhagen.

Nel mese di gennaio del 1933 Majorana partì quindi per Lipsia che in quegli anni era uno dei maggiori centri di studio della nuova fisica. Nell’Università di quella città si raccoglievano intorno a Werner Heisenberg (il fisico passato alla storia per il cosiddetto “principio di indeterminazione”) un gruppo di giovani di eccezionale valore, come erano quelli che lavoravano con Fermi nell’Istituto di fisica di via Panisperna a Roma.

Appena giunto a Lipsia, Majorana scrive ai genitori una lettera in cui riferisce di una città esteticamente grigia ma ricca di iniziative di carattere culturale e mondano. Tra l’altro racconta di avere assistito a proiezioni di pellicole più interessanti di quelle che si possono vedere in Italia selezionate dalla censura fascista e di avere partecipato alla vita effervescente dei locali pubblici dove si suona dell’ottima musica e dove soprattutto il sabato sera si raduna molta gente allegra tanto che sembra di essere a carnevale.

Nelle lettere che scrive a casa parla anche dell’Istituto dove è stato accolto molto cordialmente e dove ha avuto una lunga conversazione con Heisenberg che definisce una persona straordinariamente cortese e simpatica.

Nei primi giorni di febbraio si svolse a Lipsia la cosiddetta “settimana magnetica” un convegno che richiamò i maggiori fisici di tutta la Germania. In quell’occasione Heisenberg tenne una lezione che riguardava la struttura nucleare in cui parlò in termini lusinghieri di una analoga teoria del fisico italiano e a Majorana, che era presente, chiese di intervenire per dare la propria versione a riguardo delle forze di scambio. Majorana non accettò l’invito, forse per timidezza o forse perché non parlava ancora bene il tedesco che stava imparando grazie all’insegnamento paziente di Heisenberg.

In realtà Majorana è affascinato dalla personalità dello scienziato tedesco di cui parla in termini lusinghieri in tutte le lettere e confessa di avere di frequente con lui quelle che chiama “lunghe chiacchierate”. Verso la metà di febbraio comunica alla famiglia di avere scritto un articolo sulla struttura dei nuclei che Heisenberg ha molto apprezzato nonostante contenesse alcune correzioni alla sua teoria.

Racconta infine di lunghe discussioni che, si intuisce, sono state per lui benefiche più sul piano umano che su quello della ricerca scientifica e ragguaglia infine di partite a scacchi in cui probabilmente prevaleva sul fisico tedesco mentre nelle partite di ping-pong che si svolgevano in biblioteca con la rete fissata su un tavolo di lettura, Heisenberg si mostrava imbattibile.

A Lipsia Majorana visse forse il periodo più felice della sua vita, dimostrandosi estroverso e comunicativo come non era mai stato, soprattutto grazie all’amicizia di Heisenberg con il quale il feelingappare perfetto.

Il 3 marzo si conclude la prima fase del soggiorno in terra tedesca e Majorana decide di spostarsi a Zurigo per conoscere Wolfgang Pauli, uno dei più celebri scienziati viventi; ma anche in quella località come a Lipsia le scuole sono chiuse per le vacanze primaverili e quindi è costretto a cambiare programma. Si recherà a Copenhagen dove opera Niels Bohr, il maggiore ispiratore della fisica moderna.

Majorana fornisce di Copenhagen un giudizio opposto a quello di Lipsia: la città è grande e di buona architettura, ma la gente è scialba. Anche il giudizio su Bohr è piuttosto negativo: il fisico danese viene descritto come un vecchio rimbambito che parla mescolando tutte le lingue e mangiandosi le parole. In verità quest’ultimo giudizio è frutto di insinuazioni malevoli e pertanto soggetto a mutare non appena l’italiano avrà modo di conoscere personalmente lo scienziato danese. Lo incontrò durante una passeggiata in bicicletta e ne ricevette l’invito a prendere un the da lui. La casa di Bohr era una villa che gli era stata messa a disposizione da un produttore di birra e alla quale si accedeva passando attraverso montagne di botti.

Majorana rientra a Roma il 12 aprile ma vi rimane solo poche settimane quindi riparte per Lipsia che rivede con grande piacere. Con grande piacere rivede soprattutto Heisenberg con il quale riprende le lunghe chiacchierate che tanto lo appassionano.

 

L’ISOLAMENTO

Majorana ritornerà definitivamente dalla Germania nei primi di agosto del 1933 e per quattro anni non si muoverà quasi più di casa. Al suo ritorno a Roma soffriva di una forte gastrite i cui sintomi si erano già manifestati all’estero. Da quel momento frequenterà sempre più raramente l’Istituto di fisica e finirà per non andarci più. Amaldi, Segrè e Giovanni Gentile junior (il figlio del filosofo Giovanni Gentile) andranno qualche volta a trovarlo per tentare di farlo uscire dall’isolamento nel quale si era rifugiato.

Passava molte ore immerso nello studio delle discipline più svariate mentre trascurava quasi certamente la fisica teorica. Si occupava di economia politica, di strategia navale (un argomento che lo appassionava fin da quando era bambino), letteratura e filosofia (amava particolarmente Pirandello e Schopenhauer) e infine di medicina. Quasi non dormiva: passava notti intere nella lettura e nella scrittura. Tuttavia di tutte quelle carte rimangono due soli scritti e stranamente relativi entrambi alla fisica. Il primo è la Teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone da lui pubblicata nel 1937 e l’altro il saggio sul Valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, pubblicato quattro anni dopo la sua scomparsa dal suo amico Giovannino Gentile.

Amaldi ricorda che non usciva di casa nemmeno per andare dal barbiere tanto che i capelli gli erano cresciuti in modo anormale (“anormale” naturalmente per quel tempo); qualcuno degli amici che era andato a trovarlo, nonostante le sue proteste, gli mandò a casa il barbiere. Le ragioni di un comportamento tanto strano restano misteriose ma forse erano legate al suo stato di salute che lo rendeva depresso e chiuso in sé stesso come un personaggio di Pirandello carico di problemi ai quali non riusciva a dare soluzione. Ma si trattava veramente di esaurimento nervoso? Quando i colleghi sfiduciati non se lo aspettavano più, Majorana rientra in quella che Amaldi chiamava “vita normale”.

La svolta si verificò quando venne indetto il concorso a cattedre di fisica teorica dopo la morte improvvisa di Corbino nel 1937. A lui subentra il fisico siracusano Antonino Lo Surdo (1880-1949) e non Fermi come molti auspicavano. Frattanto l’Istituto di fisica era stato trasferito nella Città Universitaria e il gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” in gran parte si scioglie: Amaldi va a Cagliari, Segrè a Palermo, Pontecorvo a Parigi e Rasetti in America.

Dopo circa dieci anni dalla istituzione del primo concorso a cattedre di fisica teorica, quello che fra gli altri aveva assegnato la cattedra a Fermi, Segrè promosse un’iniziativa per un nuovo concorso. I concorrenti erano molti ma i più accreditati per l’assegnazione delle tre cattedre messe a concorso erano Giulio Racah (ebreo, che successivamente si sarebbe trasferito da Firenze in Israele fondandovi la facoltà di fisica teorica) Gian Carlo Wick (di madre torinese e nota antifascista) e Giovannino Gentile. Inaspettatamente si candida anche Ettore Majorana il quale scompiglia l’attribuzione delle cattedre che era stata già decisa (come purtroppo è d’uso anche attualmente) e non prevedeva la sua presenza. La prima cattedra sarebbe dovuta andare a Gian Carlo Wick, la seconda a Giulio Racah e la terza a Giovannino Gentile.

L’improvvisa partecipazione al concorso di Majorana sconvolge i piani perché egli sarebbe risultato primo e per Giovannino Gentile non ci sarebbe stato più posto. A questo punto il filosofo Giovanni Gentile tirò fuori le migliori doti del padre di famiglia ma soprattutto l’abilità del bravo politico. Innanzitutto invitò il Ministro dell’Istruzione a far sospendere il concorso e quindi studiò il modo di eliminare Ettore Majorana dal novero dei papabili. Successivamente, in base ad una vecchia legge del Ministro Casati fece nominare Majorana alla cattedra di Fisica Teorica di Napoli per “chiara fama di singolare perizia” senza che egli si dovesse sottoporre al giudizio della commissione.

La partecipazione al concorso fu decisa da Majorana quasi per scherzo, per prendersi burla dei colleghi ma la ripicca gli costerà cara perché innescherà un meccanismo in cui rimarrà intrappolato.

 

LA RINUNCIA ALLA VITA

La mattina di venerdì 25 marzo del 1938 Ettore Majorana spedisce una lettera al professore Antonio Carrelli (Napoli 1900-Roma 1980) direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli e insegnante dello scrivente nel 1960, nella quale comunica chiaramente l’intenzione di togliersi la vita. Sul tavolo del suo alloggio, presso l’albergo “Bologna” in via Depretis in Napoli lascia un’altra lettera indirizzata alla sua famiglia nella quale chiede ai suoi famigliari di non prendere il lutto e, ad ogni modo, di non portarlo per più di tre giorni.

Quindi, ritirato il passaporto e lo stipendio maturato nei primi tre mesi di insegnamento, si imbarca sul “Postale” (un piroscafo della compagnia Tirrenia che faceva anche servizio postale fra Napoli e Palermo) che salpa alle ore 22 e 30’ con l’intenzione di suicidarsi, presumibilmente gettandosi in mare alle 11 di sera, come specifica nella lettera indirizzata a Carrelli. A quell’ora però sul ponte della nave c’era ancora molta gente e il piroscafo non si era allontanato molto dal porto e dalle luci della città.

Egli quindi quella notte non mette in atto i suoi propositi tanto che il giorno dopo scende a Palermo e prende alloggio presso il Grand Hotel Sole da dove, su carta intestata, scrive a Carrelli una seconda lettera nella quale lo informa che ritornerà a Napoli il giorno dopo perché – egli specifica – “il mare mi ha rifiutato”; nella stessa lettera manifesta l’intenzione di rinunciare all’insegnamento. Poco prima aveva inviato sempre a Carrelli un telegramma con il quale chiedeva di non tenere conto della lettera scritta quando ancora era a Napoli.

La sera stessa di quel sabato il “Postale” riparte da Palermo per Napoli dove l’arrivo è previsto per le ore 5 e 45’ del mattino seguente. E qui inizia il mistero sulla sorte di Majorana perché egli acquista effettivamente il biglietto per un posto di cabina ma non vi è certezza che abbia viaggiato su quel piroscafo diretto a Napoli: da quel momento infatti si perdono le sue tracce. In verità qualche testimonianza sulla sua partenza da Palermo e sul suo arrivo a Napoli esiste, ma si tratta di testimonianze poco chiare.

Nella cabina a tre letti corrispondente al biglietto acquistato da Majorana viaggiano tre passeggeri. Uno, Carlo Price, è l’inglese che non sarà possibile rintracciare, l’altro è il professore Vittorio Strazzeri docente di Geometria all’Università di Palermo e il terzo sarebbe dovuto essere Majorana, ma di questo non siamo certi. Strazzeri riferisce di aver scambiato qualche parola con l’inglese Price che parlava un perfetto italiano con inflessioni meridionali e di non avere mai parlato con l’altro passeggero.

È possibile che la persona con cui parlò il professore palermitano non fosse l’inglese Price ma un siciliano (Strazzeri, dalle poche parole scambiate, lo giudicò un commerciante) e che l’inglese fosse invece l’altro, quello cioè che non proferì parola. Ora sorge il dubbio che sulla nave non sia salito Majorana ma un’altra persona, che forse gli assomigliava, alla quale il fisico di Catania aveva regalato il biglietto. La verità è che il professore Strazzeri non era per nulla sicuro, nonostante gli fosse stata fatta vedere una foto, che la persona che viaggiò con lui da Palermo a Napoli fosse veramente Majorana. L’unica cosa di cui aveva certezza era che tutte e due le persone presenti nella sua stessa cabina erano sbarcate a Napoli.

Un’altra testimonianza è quella di un’infermiera che conosceva bene Majorana per aver parlato con il professore in più occasioni essendosi impegnata nella ricerca di una pensione nella quale egli desiderava trasferirsi. L’infermiera disse di essere certa di aver visto Majorana a Napoli in galleria Umberto I nei primi giorni di aprile.

I genitori e il fratello, su suggerimento di Strazzeri cercarono anche nei conventi dove spesso si rifugiano personaggi che presentano problemi esistenziali. In effetti il Superiore della chiesa detta del Gesù Nuovo raccontò che negli ultimi giorni di marzo si era presentato un giovane le cui fattezze a tutta prima potevano anche essere appartenute a Ettore Majorana il quale chiese di essere ospitato per fare esperimento di vita religiosa. Il Superiore raccontò che il giovane appariva molto agitato, ragione per cui gli assicurò che sarebbe stato accolto ma non subito: lo invitò quindi a ritornare dopo qualche giorno, ma il giovane non si fece più vedere.

I dubbi sulla tesi del suicidio si rafforzarono quando si seppe che Majorana era partito da Napoli deciso a porre fine alla sua vita portando però con sé il passaporto e una somma consistente di denaro: il corrispondente degli attuali dieci o quindici mila euro. Poiché Majorana non si curava molto del denaro (e ciò risulta anche dal fatto che non ritirava mai lo stipendio che il fratello si incaricava di trasferirgli in banca) come mai egli avrebbe prelevato quella grossa somma proprio il giorno in cui aveva deciso di suicidarsi?

 

LA SCOMPARSA NEL MONDO DEI QUANTI

Ultimamente un fisico ucraino ha avanzato un’ipotesi relativa alla scomparsa di Majorana indubbiamente originale ma anche molto stravagante. Egli ritiene che il famoso fisico avrebbe organizzato la propria uscita di scena applicando ad essa i principi della meccanica quantistica, secondo la quale il mondo sarebbe retto dal caso e dalla probabilità e non da certezze.

Quella di Majorana sarebbe quindi stata una “sparizione quantistica”. L’autore dell’idea parte dalla constatazione che sulla scomparsa di Majorana sono state fatte molte illazioni: suicidio, fuga all’estero, rapimento, rifugio in convento. Qual è quella giusta? Quando lo stavano cercando Majorana era ancora vivo o era già morto? Il fisico ucraino pensa che si siano realizzate entrambe le cose simultaneamente. La sua ipotesi come abbiamo detto trae origine dalla meccanica quantistica in cui le particelle del mondo subatomico hanno una doppia personalità: ora si comportano come onde ora sembrano particelle. In questo ambito regna il principio di indeterminazione di Heisenberg, una legge fisica secondo la quale non è possibile seguire il destino di una singola particella ma è possibile farlo solo in termini statistici su un numero consistente di esse. Ad esempio si può stabilire dopo quanto tempo un certo numero di atomi radioattivi trasformandosi in atomi non radioattivi si sarà ridotto alla metà, ma non è possibile stabilire quando decadrà il singolo atomo. Solo l’osservazione diretta potrà dare la risposta.

Il principio di indeterminazione come è noto conduce al famoso paradosso del “gatto di Schrödinger”. Si tratta di un esperimento ideale che immagina un gatto rinchiuso in una scatola insieme con una fiala di veleno e un atomo radioattivo il quale nel momento in cui decadrà libererà il veleno della fiala che ucciderà il gatto. Dall’esterno non è possibile sapere se, passato un certo tempo, l’atomo si sarà trasformato o meno. Quindi il gatto in un qualsiasi momento può essere vivo o morto, ovvero contemporaneamente entrambe le cose: solo aprendo la scatola si saprà la verità.

La stessa cosa sarebbe successa nel caso di Majorana, il quale avrebbe inteso contemporaneamente essere e non essere come nell’esempio del gatto di Schrödinger. Secondo il fisico ucraino Majorana, grande estimatore di Pirandello, avrebbe messo in scena una “commedia quantistica” attribuendosi contemporaneamente il ruolo di protagonista (quindi del gatto) e di spettatore, cioè dello sperimentatore che apre la scatola per vedere lo stato fisico dell’occupante. Idea indubbiamente cervellotica.

Noi preferiamo adottare la soluzione più semplice ossia quella del suicidio come d’altra parte lo stesso Majorana aveva annunciato.

Il filosofo inglese Guglielmo di Occam vissuto a cavallo fra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo asserisce che “tutte le ipotesi complesse non suffragate dall’esperienza vanno eliminate (si tratta di una regola che prende il nome di “rasoio di Occam”). Quindi, nel caso di Majorana, è inutile andare a cercare scenari improbabili quando lui stesso dichiara chiaramente le sue intenzioni. Lo stesso Fermi commentando l’episodio della sparizione di quello che era stato il suo migliore allievo ebbe a dire che “con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito”. Quindi Majorana si è suicidato seguendo un destino che ha riguardato molti personaggi illustri. Fra gli scienziati è sufficiente ricordare ad esempio la fine di Ludwig Boltzmann, fisico austriaco suicida a Duino (in provincia di Trieste) nei primi anni del secolo scorso e quella di Renato Caccioppoli docente di matematica nell’Università di Napoli, suicida proprio negli anni in cui chi scrive stava completando gli studi presso quell’ateneo. E come abbiamo detto nemmeno il fatto che non si siano mai trovati personaggi famosi spariti inspiegabilmente nel nulla rappresenta un caso tanto raro. Personalmente ricordo la vicenda riguardante Federico Caffè, docente universitario di economia e autore di numerosi saggi, che nel 1987 scomparve misteriosamente a Roma e nonostante le lunghe e meticolose ricerche non fu mai trovato né vivo né morto.

Prof. Antonio Vecchia

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  1. Gianfilippo

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