L’equilibrio in soluzione

LA COSTANTE DI EQUILIBRIO DELL’ACQUA 

Fra tutti i solventi l’acqua è indubbiamente quello che maggiormente favorisce la dissociazione degli elettroliti. Per poter quindi comprendere il legame che intercorre fra l’acqua, gli acidi, le basi e i sali è necessario analizzare quantitativamente l’equilibrio di auto-ionizzazione dell’acqua la quale è essa stessa un elettrolita, sia pure debolissimo.

Le soluzioni acquose di non elettroliti non conducono la corrente elettrica: ciò vuol dire che i non elettroliti sono sostanze che non si dissociano in ioni, ma allora è ovvio che nemmeno l’acqua stessa dovrebbe produrre ioni. L’uso di strumenti molto sensibili ha consentito invece di riscontrare anche nell’acqua purissima il passaggio di una debole corrente elettrica e quindi anche l’acqua, seppure in minima misura, deve liberare degli ioni i quali non possono che essere H+ e OH. La dissociazione elettrolitica dell’acqua può quindi essere espressa attraverso il seguente schema:

 H2O  ⇄ H+  + OH

    Ora però, poiché lo ione idrogeno, essendo fortemente reattivo, non può esistere isolato fra miliardi e miliardi di molecole d’acqua, esso deve legarsi ad una di esse. Dobbiamo quindi scrivere in modo più corretto l’equazione di idrolisi (o più esattamente protolisi in quanto il termine idrolisi è legato alla teoria superata di Arrhenius) dell’acqua in cui non solo appare il protone legato ad una molecola d’acqua ma gli stessi ioni a loro volta circondati da molecole del solvente. Il raggruppamento di ioni e molecole d’acqua viene espresso attraverso la notazione (aq) e l’equazione complessiva diventa:

H2O  + H2O  ⇄  H3O+(aq) + OH(aq)

     L’equazione mostra anche che nell’acqua si instaura un equilibrio dinamico fra molecole che si dissociano per formare ioni e ioni che si uniscono per ripristinare le molecole. Si tratta tuttavia di un equilibrio fortemente spostato verso le molecole indissociate e ciò appare evidente applicando ad esso la legge di azione di massa(*) in cui si può leggere un valore molto piccolo della costante di equilibrio (Kc):

[H3O+]·[OH]
——————— = Kc = 3,2·10-18
[H2O]2

     Le parentesi quadre stanno ad indicare le concentrazioni molari ossia il numero di moli delle varie specie chimiche per litro di sovente. Le molecole di acqua che si dissociano in ioni sono in numero irrisorio rispetto alle molecole che rimangono indissociate tanto che possiamo ritenere che la ionizzazione non influisca in alcun modo sulla concentrazione molare dell’acqua. Possiamo quindi ritenere [H2O] praticamente una costante il cui valore varia leggermente solo con la temperatura: a 25 °C è 55,6 mol/L, un risultato che si ottiene dividendo 1000 grammi di acqua (in pratica un litro) per il peso molecolare dell’acqua stessa, che è 18. Inglobando quindi questa costante nell’altra si ha:

[H3O+]·[OH] = 3,2·10-18·(55,6)2 = 9,89·10-15 = 1,0·10-14

     Il valore che abbiamo arrotondato a 10-14 prende il nome di “costante del prodotto ionico dell’acqua” e viene indicato con il simbolo Kw (w sta per water che in inglese significa “acqua”). Ora, poiché il numero degli ioni ossonio H3O+ deve essere uguale a quello degli ioni idrossido OH in quanto la singola molecola d’acqua si divide in due, la concentrazione di entrambi questi ioni in acqua pura deve essere 10-7 moli per litro. Pertanto possiamo scrivere:

[H3O+] = [OH] = 1,0 · 10-7 mol/L

     Lo ione H3O+ può essere più semplicemente espresso con H+ in considerazione del fatto che in questa sede, come vedremo subito, interessa solamente calcolare il numero delle particelle elettriche presenti nell’acqua, mentre non è rilevante la loro struttura.

      (*)  La legge di azione di massa afferma che in un sistema chimico allo stato di equilibrio e a temperatura costante il quoziente fra il prodotto delle concentrazioni delle sostanze formate e il prodotto delle concentrazioni delle sostanze reagenti – ciascuna elevata ad un esponente uguale al rispettivo coefficiente di reazione – è una costante.

 

IL CONCETTO DI pH 

I valori numerici delle concentrazioni degli ioni H+ e OH in soluzione acquosa sono in genere molto piccoli e richiedono, per essere rappresentati, l’uso di numeri decimali o delle potenze negative del 10. L’impiego di numeri molto piccoli risulta però scomodo, soprattutto nei calcoli e proprio a seguito di questa osservazione nel 1909 il danese Soren Sörensen (1868-1939) propose l’uso dei logaritmi, per indicare quei valori in modo più semplice.

Sulla base della proposta del chimico danese si definisce quindi pH (dove la lettera p proviene da potenza e H dal simbolo dell’idrogeno) di una soluzione il logaritmo decimale (log), cambiato di segno della concentrazione molare degli ioni H+, cioè:

pH  =  – log [H+]

     Analogamente, si definisce pOH la grandezza seguente:

pOH  =  – log [OH]

      Viceversa, per definizione stessa di logaritmo, si ha:

[H+] = 10-pH      e         [OH] = 10-pOH

     Esaminiamo ora un po’ meglio, con qualche esempio, in che cosa consiste la comodità dell’uso della notazione logaritmica rispetto a quella decimale.

Se ad esempio la concentrazione degli ioni H+ fosse di 0,001 moli per litro, invece che scrivere: [H+] = 10-3, si può scrivere semplicemente pH=3. Analogamente l’espressione [OH] = 3,5·10-10, si scrive semplicemente pOH = 9,5. Come si può vedere, i valori di pH e pOH sono numeri semplici, e quindi molto più facili da “maneggiare” rispetto ai numeri che esprimono le concentrazioni molari di H+ e OH.

Ricordando poi il prodotto ionico dell’acqua: [H+] · [OH] = 10-14 mol/L è facile derivare l’espressione equivalente pH + pOH = 14, che ci permette di passare con facilità dal pH al pOH e viceversa: se il pOH di una soluzione fosse ad esempio 12, il pH della stessa soluzione sarebbe 2; sono quindi analoghe le scritture pOH = 12 e pH = 2. Nella pratica si usa infatti solo il pH che nelle soluzioni acide assume valori minori di 7 e in quelle basiche valori superiori a 7; se il pH è 7 la soluzione è neutra.

Qualora la concentrazione degli H+ non fosse una potenza intera di 10, per ricavare il pH si renderebbe necessaria la conoscenza delle regole del calcolo logaritmico. Tuttavia, anche senza conoscere queste regole, facendo uso della calcolatrice tascabile è possibile trasformare direttamente un qualsiasi numero in logaritmo e viceversa.

 

L’IDROLISI SALINA

Abbiamo imparato che i sali sono solidi ionici che si comportano in soluzione come elettroliti forti. Sappiamo anche che i sali possono venire considerati come sostanze neutre che si ottengono dalla reazione di un acido con una base. Un sale come NaCl, ad esempio, lo si può immaginare come il risultato di una reazione fra l’acido cloridrico e l’idrossido di sodio:

HCl + NaOH  ⇄   NaCl + H2O

     In acqua non esiste però NaCl, sotto forma di molecole, ma ioni Na+ e Cl i quali si circondano di molecole d’acqua, cioè si idratano, senza dar luogo a reazioni chimiche. La soluzione del cloruro di sodio, non è altro che la semplice acqua e sale che si utilizza per cucinare gli spaghetti: una soluzione assolutamente neutra, anche se salata.

Vi sono però sali che sciolti in acqua, impartiscono alla soluzione una reazione leggermente acida o leggermente basica. Per spiegare il fenomeno dobbiamo ammettere che in alcuni casi gli ioni del sale in soluzione possano reagire con l’acqua stessa producendo acidi e basi. Le interazioni fra i sali e l’acqua vengono chiamate reazioni di idrolisi salina anche se, come abbiamo già detto, il termine corretto dovrebbe essere reazione di protolisi.

Quando ad esempio si pone in acqua un sale che formalmente può essere immaginato come il risultato della reazione di un acido debole con una base forte, come potrebbe essere l’ipoclorito di sodio (la comunissima varechina), allora si nota che la soluzione diventa basica. Cerchiamo di capire perché.

La formula chimica dell’ipoclorito di sodio è NaClO. Questo sale in acqua si scinde negli ioni Na+ e ClO. Lo ione Na+, come abbiamo appena visto, non ha alcuna tendenza a reagire con l’acqua per sottrarle protoni perché lo ione Na+, che può essere considerato l’acido coniugato della base NaOH, è un acido debolissimo, molto più debole dell’acqua, e quindi destinato a rimanere qual è.

Lo ione ClO invece, essendo la base coniugata di un acido non molto forte, possiede esso stesso, come base, una certa forza tanto da poter competere con le molecole d’acqua per il possesso dei protoni. Lo ione ClO strappa quindi alcuni protoni all’acqua (che si riduce a OH) ripristinando le molecole HClO le quali, appartenendo ad un acido debole, hanno tendenza ad esistere prevalentemente sotto forma indissociata. Risulta così che l’equilibrio degli ioni H3O+ e OH presenti nell’acqua, viene turbato dalla presenza del sale e la soluzione non è più neutra. Poiché ora risulta presente in soluzione un maggior numero di ioni OH, e un minor numero di ioni H3O+ rispetto a quelli che caratterizzano l’acqua pura, la soluzione è basica. In questo caso si dice che il sale ha dato, in acqua, idrolisi basica.

Per analizzare il fenomeno in modo quantitativo, immaginiamo di voler stabilire il pH di una soluzione 1 molare di NaClO.

Disinteressiamoci degli ioni Na+ che non reagiscono. Lo ione ClO è la base coniugata dell’acido HClO, la cui Ka è 3,5·10-8 ; la Kb = Kw/Ka, della sua base coniugata, sarà pertanto, 3,3·10-7. Lo ione ClO, quindi, pur non essendo una base forte, è comunque una base più forte dell’acqua, la cui Kb è 1,8·10-16, e pertanto entra in competizione con essa per il possesso dei protoni:

ClO + H2O  ⇄  HClO + OH

     Per quanto l’equilibrio sia spostato a sinistra, ciò nonostante la presenza dello ione ClO in soluzione, crea alcuni ioni OH i quali, andandosi ad aggiungere a quelli già presenti fanno aumentare la basicità della soluzione.

Scrivendo la costante di basicità della reazione di sopra, e considerando che [ClO] = 1 mol/L, si ottiene:

 [HClO]·[OH]
———————— = Kb = 3,3·10-7 mol/L
[ClO]

 da cui, sostituendo i valori, si ottiene:

[OH]2 = 3,3·10-7 , e quindi:     [OH] = 5,7·10-4 mol/L

     Pertanto, la concentrazione degli OH all’interno di una soluzione 1 molare di ipoclorito di sodio, è 5,7·10-4 mol/L, corrispondente ad un pH = 10,76.

Un discorso analogo può essere fatto nel caso di un sale che formalmente può essere considerato il risultato della reazione di una base debole con un acido forte, come ad esempio NH4Cl (cloruro di ammonio). Questa volta a reagire con l’acqua saranno gli ioni NH4+, acido coniugato della base debole NH3, mentre Cl, base debolissima, non reagisce affatto. Gli ioni NH4+ interagiranno con le molecole d’acqua formando nuovi ioni H3O+ secondo il seguente schema:

NH4+ + H2O  ⇄  NH3 + H3O+

     Questi nuovi ioni H3O+ andranno ad aggiungersi a quelli già presenti nell’acqua attribuendo alla soluzione carattere acido. Si parla, in questo caso, di idrolisi acida.

Esaminiamo alla fine il caso della dissoluzione in acqua di un sale che formalmente lo si può immaginare derivato da una base e da un acido entrambi deboli. Esso, in soluzione, risulterà dissociato in un anione e in un catione, entrambi in grado di reagire con l’acqua. Il pH della soluzione dipenderà allora dalla forza relativa dei due ioni, che si comporteranno rispettivamente da acido e da base.

Un tipico esempio è quello del cianuro di ammonio, NH4CN, un sale che dissociandosi, libera gli ioni NH4+ e CN capaci entrambi di reazioni di idrolisi con l’acqua:

CN + H2O  ⇄  HCN  + OH

NH4+ H2O  ⇄  NH3  + H3O+

     CN (Kb = 2,08·10-5), base coniugata dell’acido HCN, ha una forza maggiore dell’acido NH4(Ka = 5,6·10-10) acido coniugato della base NH3. L’idrolisi dovuta a CN risulterà quindi maggiore di quella dovuta a NH4+, gli ioni OH presenti in soluzione saranno conseguentemente in numero maggiore degli ioni H3O+ e la soluzione sarà in definitiva basica.

 

I SISTEMI TAMPONE

I sistemi tampone non sono altro che soluzioni acquose che possiedono la proprietà di contenere entro limiti molto ristretti le variazioni del pH per aggiunta di piccole quantità di acidi o di basi forti. Prima di trattare l’argomento si tenga presente che l’aggiunta di acidi o di basi, anche in piccole dosi, a sistemi che non hanno le caratteristiche dei sistemi tampone, comporta una variazione del pH molto netta. Ad esempio, l’aggiunta di 0,01 moli di HCl (una frazione di grammo) ad un litro di acqua, produce una variazione del pH da 7 a 2, mentre l’aggiunta della stessa quantità di acido ad un litro di soluzione tampone produrrebbe, come vedremo, una variazione del pH quasi inapprezzabile.

Cerchiamo allora di analizzare le caratteristiche delle soluzioni tampone e di comprendere la causa dell’azione tamponante di tali soluzioni.

Un sistema tampone è costituito da una coppia acido debole-base coniugata, oppure da una coppia base debole-acido coniugato. Una soluzione tampone può quindi essere ottenuta sciogliendo in acqua l’acido acetico (acido debole) e un suo sale, ad esempio l’acetato di sodio, il quale, dissociandosi in acqua, genera gli ioni CH3COO che rappresentano la base coniugata dell’acido CH3COOH.

Nell’acqua si verrà quindi a formare il seguente equilibrio:

 CH3COOH  +  H2O  ⇄  CH3COO +  H3O+ ,

al quale corrisponde la seguente costante di equilibrio:

[CH3COO]·[H3O+]
——————————— = Ka
[CH3COOH]

espressione che può essere anche scritta nel modo seguente:

1            1         [CH3COO]
———— = ——— · ———————  ,
[H3O+]        Ka       [CH3COOH]

la quale, a sua volta, può venire espressa in termini logaritmici nel modo seguente:

1                 1         [CH3COO]
log  ———— = log ——— · ———————  ,
[H3O+]             Ka       [CH3COOH]

 

che, come sappiamo, corrisponde alla seguente scrittura:

[CH3COO]
pH = pK + log  ———————
[CH3COOH]

Questa espressione è detta equazione di Henderson-Hasselbach (o semplicemente equazione H.H.); in essa, per analogia con pH, è stato indicato con pK il logaritmo decimale dell’inverso della costante Ka di dissociazione dell’acido, cioè:

1
pK =  log ———
Ka

Per l’acido acetico Ka = 1,8·10-5 e quindi pK = 4,74.

Se la soluzione del nostro esempio è stata preparata in modo tale che le concentrazioni molari dell’acido e del sale (cioè in pratica degli ioni CH3COO) siano all’incirca nella stessa quantità (meglio se perfettamente uguali), essa si comporterà da soluzione tampone.

Immaginiamo allora, nel concreto, di preparare una soluzione tampone mescolando in acqua una mole di acido acetico e una mole di acetato di sodio fino ad ottenere un litro di soluzione totale. In soluzione si instaura l’equilibrio che già conosciamo:

CH3COOH + H2O  ⇄  CH3COO + H3O+

Se alla soluzione aggiungiamo ora una piccola quantità di un acido forte, per esempio 0,01 moli di HCl, gli H+ si uniranno alla base CH3COO, presente in abbondanza, formando molecole di CH3COOH e spostando a sinistra l’equilibrio. Aggiungendo invece piccole quantità di base, gli ioni OH strapperanno gli Hdall’acido trasformandolo in CH3COO e quindi producendo uno spostamento dell’equilibrio a destra.

Passando al calcolo avremo i seguenti risultati. L’aggiunta di 0,01 moli di HCl alla nostra soluzione tampone si traduce in pratica nell’aggiunta di 0,01 moli di H+. Gli ioni H+ si andranno ad unire agli ioni acetato presenti in soluzione formando le molecole di acido indissociate fino a portare la loro concentrazione da una mole per litro a 1,01 mol/L. D’altra parte calerà la quantità degli ioni acetato fino a 0,99 mol/L. Avremo pertanto:

[CH3COO]       0,99
——————— = ——— = 0,98
[CH3COOH]        1,01

 

Il logaritmo decimale di 0,98 vale -0,0088. Questo valore, riportato nell’equazione H.H. produce una variazione di pH da 4,74 a (4,74 – 0,0088) = 4,73 che corrisponde ad una variazione di appena lo 0,2% rispetto alla situazione iniziale. Si confronti questa variazione di pH con quella che la stessa quantità di HCl produceva quando veniva aggiunto ad un litro di acqua pura.

Le caratteristiche fondamentali di una soluzione tampone sono la sua capacità tamponante e il pH.

Per capacità tamponante di una soluzione tampone si intende la quantità massima di acido o di base che essa è in grado di neutralizzare prima che il suo pH cambi in misura apprezzabile. E’ facile verificare che quando il rapporto fra la quantità di sale e di acido debole (o di sale e di base debole) presente in soluzione è esattamente uguale a 1, si notano le minime variazioni di pH per l’aggiunta di acidi (o di basi) forti. E poiché in queste condizioni si ha pH = pK, si può affermare che una soluzione è al massimo delle sue possibilità tamponanti quando il suo pH è uguale al pK dell’acido debole (o della base debole) utilizzati per la sua preparazione.

Per quanto riguarda il pH, dall’equazione di H.H. è evidente che il suo valore dipende dalla Ka dell’acido (o dalla Kb della base) che è stato scelto per preparare la soluzione e dal rapporto delle concentrazioni del sale e dell’acido che sono stati posti in soluzione. Quando il rapporto tra le concentrazioni del sale e dell’acido è uguale a 1 il pH della soluzione è uguale al pK dell’acido. Variando opportunamente il rapporto [sale]/[acido], è possibile comunque variare, entro certi limiti, il valore del pH.

Se si dovesse, ad esempio, preparare una soluzione tampone nella quale fosse necessario che il pH si mantenesse intorno al valore di 6,36, allora potremmo utilizzare il sistema tampone H2CO3/HCO3, il quale si ottiene mescolando in acqua l’acido carbonico e un suo sale acido come ad esempio il bicarbonato di sodio NaHCO3. La Ka‘ dell’acido carbonico è 4,1·10-7 a cui corrisponde pK=6,36.

Se si dovesse invece operare in condizioni di perfetta neutralità, la nostra soluzione tampone dovrebbe avere un pH = 7. Per preparare una tale soluzione potremmo scegliere, ad esempio, il sistema tampone H2PO4/HPO4 cui compete Ka” = 6,2·10-8 e quindi pK = 7,21. Dovremmo quindi mescolare in acqua il fosfato monosodico NaH2PO4 e il fosfato bisodico Na2HPO4, ma non in quantità uguali, altrimenti la soluzione risulterebbe a pH=7,21; mescolando invece in quantità opportune i due sali acidi indicati sopra, si ottiene la soluzione tampone con il pH cercato.

 

GLI INDICATORI DI pH

Per conoscere il pH di una soluzione si può far uso del piaccametro (misuratore di pH), uno strumento che fornisce una misura immediata e precisa dell’acidità della soluzione, oppure si può far ricorso a speciali sostanze dette indicatori chimici. Con alcune di queste sostanze forse senza rendersi conto hanno a che fare quotidianamente molte persone. Tutti avranno notato che il the schiarisce per l’aggiunta di alcune gocce di succo di limone: è evidente pertanto che in quell’infuso sono contenute delle sostanze colorate che a contatto dell’acido contenuto nel succo di limone (acido citrico) reagiscono trasformandosi in altre sostanze incolori. Se ora a questo the decolorato si aggiungessero alcune gocce di ammoniaca, sostanza notoriamente basica, l’infuso riacquisterebbe il suo colore scuro. Questa è anche una prova (casalinga) che le basi neutralizzano l’effetto degli acidi. Si sconsiglia tuttavia, dopo questo esperimento, di bere quel the.

Gli indicatori sono composti chimici di natura organica (il famoso tornasole, ad esempio, si ricava dai licheni, altri sono preparati artificialmente) con caratteristiche di acidi o di basi deboli. La loro struttura molecolare è molto complessa e pertanto, per studiarne il meccanismo d’azione li considereremo acidi deboli di formula generica HIn. La loro caratteristica peculiare è quella di avere la molecola HIn di colore diverso dallo ione In.

Gli indicatori vengono sempre usati in quantità minime per non turbare, con la loro presenza, gli equilibri di dissociazione presenti in soluzione, che sono poi quelli di cui si deve valutare il pH.

Immaginiamo, per fare un esempio, di dover operare con un generico indicatore acido di formula HIn, con Ka = 10-5 mol/L, e la cui forma indissociata sia di color rosso mentre l’anione In  sia di colore giallo. Esso darà luogo in soluzione al seguente equilibrio:

HIn + H2O   ⇄  In + H3O+

      Questo equilibrio è regolato dalla concentrazione di H3O+, cioè dal pH della soluzione. Se in soluzione sono presenti gli ioni H3O+ in quantità notevole, l’equilibrio scritto sopra risulterà spostato a sinistra e prevarrà il colore rosso delle molecole indissociate; se in soluzione vi sarà un eccesso di ioni OH questi abbasseranno la concentrazione degli ioni H3O+ dell’equilibrio, il quale conseguentemente si sposterà verso destra e si noterà il colore giallo dello ione In.

All’equilibrio di cui sopra, è possibile applicare la legge di Henderson-Hasselbach:

                          [In]
pH  =  pK + log ————
[HIn]

     Da questa equazione si ricava immediatamente il colore della soluzione al cambiare del pH. Se l’indicatore fosse posto in una soluzione a pH = 5, poiché anche il pK dell’indicatore è 5, il logaritmo del rapporto [In]/[HIn] sarebbe uguale a zero e il rapporto [In]/[HIn] varrebbe 1: il colore sarebbe quindi arancione (misto fra rosso e giallo).

Se lasciassimo invece cadere una goccia di questo indicatore in una soluzione a pH=7 il colore della soluzione sarebbe giallo. Infatti:

[In]
log ——— = pH – pK = 7 – 5 = 2.
[HIn]

Poiché 2 è il logaritmo di 100, abbiamo che [In]/[HIn] = 100 e quindi la concentrazione della specie ionica di colore giallo risulta 100 volte maggiore dalla concentrazione della specie molecolare di colore rosso.

Una soluzione con pH minore di 5 risulterebbe colorata, per la presenza del nostro indicatore, in rosso.

Comunemente si usa dire che gli indicatori servono per indicare l’acidità o la basicità di una soluzione, ma ciò non è esatto. Gli indicatori sono in grado solo di specificare se la soluzione in cui vengono immersi ha un pH maggiore o minore del pK dell’indicatore stesso. Quando il pK dell’indicatore è uguale al pH della soluzione si dice che si è sul punto di viraggio perché in corrispondenza di questo punto la soluzione cambierebbe colore per l’aggiunta di piccole quantità di acido o di base.

Nella pratica non è possibile cogliere con precisione il punto di viraggio in quanto, in prossimità di tale punto, è sufficiente l’aggiunta di una piccolissima quantità di acido o di base alla soluzione per scavalcarlo nettamente. Bisogna parlare allora più propriamente di campo di viraggio, cioè di un intervallo di pH del quale, il valore pH = pK, è il punto di mezzo.

Prof. Antonio Vecchia

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