Effetto farfalla

L’espressione “effetto farfalla” nasce dal titolo di un seminario tenuto il 29 dicembre del 1979 dal fisico e meteorologo Edward Norton Lorenz (1917-2008) del Massachusetts Isti­tuite of Technology. In prima battuta il meteorologo americano invece di una farfalla parla­va dell’effetto gabbiano, poi però si rese conto che bastava il battito d’ali di un esile lepi­dottero a provocare effetti meteorologici enormi. Egli aveva scoperto che piccole variazioni di temperatura e di pressione possono, a volte, generare conseguenze catastrofiche: il sem­plice battito d’ala di una farfalla in Brasile può produrre quel piccolo cambiamento del­le condizioni at­mosferiche iniziali che, una settimana dopo, potrebbe scatenare un tor­nado in Texas. Questa è la ragione per cui è così difficile fare previsioni del tempo a lungo termi­ne: non possiamo conoscere tutte le variabili in gioco con la precisione necessaria. Possia­mo magari prevedere con ragionevole sicurezza che pioverà fra qualche giorno, ma non siamo mai in grado di dire con quanta intensità lo farà e se pioverà o no fra un mese. Nacque così il suggerimento che portò alla teoria matematica del caos: un campo scientifico che ci ha fornito un intero nuovo modo di pensare sul mondo e che ha gettato nuova luce sulle sfide di Einstein alla scienza.

 

LE PREVISIONI DEL TEMPO

Bisogna aspettare gli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso perché la meteorologia diventi una scienza vera e propria e non arte raffinata frammista a un po’ di tecnica, come era stata fino ad allora. In quegli anni si resero infatti disponibili i primi computer di gran­de potenza che hanno consentito di impostare il problema delle previsioni del tempo su basi rigorosamente scientifiche, facendo direttamente ricorso alle leggi che governano la dinamica e la termodinamica dell’atmosfera. Tali leggi sono espresse da equazioni piutto­sto complesse le quali, sulla base delle condizioni atmosferiche iniziali fornite dalle reti di osservazione sparse in tutto il mondo, consentono di descrivere l’evoluzione futura della temperatura, della umidità e della pressione in qualunque punto dell’area di interesse. Nel 1963 il me­teorologo americano Edward Lorenz, ricordato sopra, ideò un modello molto semplice, una specie di giocattolo, in grado di elaborare le dodici equazioni di cui era stato fornito. Mentre Lorenz si era accontentato di dodici equazioni, il moderno modello globale calcola sistemi di oltre mezzo milione di equazioni.

Il sistema mondiale di osservazione del tempo è costituito da una rete di stazioni per il rilevamento simultaneo delle condizioni atmosferiche al suolo e da un’analoga rete per le osservazioni delle condizioni in quota. Le stazioni di superficie sono circa 9000 in tutto il mondo e misurano ogni tre ore i parametri più significativi per l’evoluzione del tempo, come nuvolosità, vento, pressione atmosferica, temperatura e umidità dell’aria, oltre a fe­nomeni in atto come uragani, nevicate e temporali. La rete mondiale per le osservazioni in quota è costituita da circa 800 postazioni in cui le misure sono effettuate da sonde munite di minuscoli sensori di temperatura, umidità e pressione. I palloni sonda, riempiti di elio vengono sollevati fino a 25-30 km di altezza. Durante l’ascesa le sonde diffondono a terra, via radio, i dati relativi. Dallo spostamento orizzontale subìto dai palloni durante l’ascesa, è possibile risalire anche alla direzione e alla velocità del vento alle varie quote.

Le reti di rilevamento mondiale coprono appena il 15 per cento del fabbisogno per una soddisfacente definizione dello stato iniziale del tempo, soprattutto perché il 75-80% della superficie terrestre è occupato da oceani e deserti. É questo uno dei più seri limiti per l’attendibilità delle previsioni del tempo; infatti è facile intuire che le proiezioni saranno tan­to più incerte quanto più imprecisa sarà la conoscenza delle condizioni meteorologiche ini­ziali.

Nel 1892 il matematico francese Henri Poincaré (1854-1912) fece una scoperta che in seguito avreb­be trasformato la meteorologia da arte in scienza. Egli notò che alcuni siste­mi meccanici, come ad esempio il pendolo, le cui leggi del moto erano ben note fin dai tempi di Galileo, e avevano fornito equazioni esatte, presentavano a volte un comporta­mento inspiegabil­mente caotico. In precedenza il matematico francese fece un’altra sco­perta importante quando accettò la sfida del re di Svezia il quale offrì un ricco premio a chiunque avesse di­mostrato la stabilità o meno del sistema solare. Si trattava di affermare con certezza che i pianeti avrebbero continuato ad orbitare intorno al Sole per sempre o se c’era la possibilità che alcuni potessero cadere sul Sole o sfuggire alla sua gravità e perder­si nello spazio. Poincaré iniziò la ri­cerca mediante l’analisi del problema più semplice ossia quello che com­prendeva solo Terra, Luna e Sole, che oggi è chiamato “problema dei tre corpi”. Ebbene, egli si rese immediata­mente conto che tale problema era impossibile da ri­solvere matema­ticamente, a meno che uno dei tre corpi non fosse molto piccolo, ad esem­pio un satellite artificiale invece di quello naturale. Inoltre, certe configurazioni dei tre corpi erano così in­stabili e sensibili alle condi­zioni iniziali che le equazioni davano come soluzione un compor­tamento, oltre che irregola­re, anche imprevedibile.

Senza rendersene conto, Poincaré stava osservando una delle espressioni più bizzarre della matematica: quella che in seguito venne chiamata dell’«attrattore strano». Attrattore è una configurazione di equilibrio verso cui tende un corpo in movimento. Nel caso più sem­plice l’attrattore è un punto, per esempio una massa gravitazionale che attrae un corpo (da cui deriva, appunto, il termine di attrattore). Un caso leggermente più complesso è una curva chiusa, per esempio della Terra che si muove intorno al Sole e ancora più com­plesso è il caso di una superficie, come ad esempio della Luna che gira intorno alla Terra e di entrambe che girano intorno al Sole. Il matematico francese non dedicò ulteriore atten­zione alle curve che stava studiando, perché le riteneva troppo complesse per essere di una qualsiasi utilità. Oggi sappiamo che la soluzione di Poincaré era una manifestazione del caos.

Una settantina d’anni più tardi, come abbiamo accennato, il meteorologo Edward Lorenz del MIT, fece una scoperta che avrebbe cambiato per sempre il modo in cui gli scienziati consideravano il comportamento caotico. Egli costruì un modello per spiegare i sistemi me­teorologici usando tre equazioni accoppiate. Esse erano non lineari ossia erano tali che la loro rappresentazione grafica non era una linea retta. Le equazioni non lineari con­ducono spesso al caos. In una equazione lineare un mutamento di una variabile conduce ad un mutamento proporzionale in un’altra variabile. Se per esempio un oggetto costa cin­que euro, tre oggetti costeranno quindici euro. Nel caso di equazioni non lineari un muta­mento in una variabile ha invece effetti di grandezza diversa non proporzionale su un’altra variabi­le.

Lorenz risolse le sue complicate equazioni non lineari per i sistemi meteorologici e ne registrò i risultati in un grafico. Quello che ottenne fu un attrattore strano: una regione in cui tutte le traiettorie abbastanza vicine sono attratte verso il limite, ma in cui i punti ini­zialmente vicini si trovano poi separati esponenzialmente nel corso del tempo. L’attrattore strano di Lorenz assomiglia alle ali dispiegate di una farfalla.

Attrattore strano di Lorentz

L’attrattore strano è uno degli espedienti matematici che, come abbiamo detto, permet­te ai ricercatori di svela­re i segreti del caos. L’espressione fu coniata dal matematico e fisi­co belga naturalizzato francese David Pierre Ruelle (n. 1935), insieme con il matematico Floris Takens (1940-2010), dell’Università Statale di Groningen, in Olanda. In qualche si­stema caotico, quando si comincia a rappresentare le variabili del sistema stesso come punti su uno schermo di compu­ter, si rivela una sorta unica di disegno. Se ora si uniscono i vari punti con una linea, si trova che questa si incurva ripetutamente su sé stessa, quasi come se venisse attratta dalla figura geometrica che sta assumendo.

 

I FRATTALI

Mentre era in corso la ricerca sul caos e sugli attrattori strani il matematico francese Benoît Mandelbrot nato a Varsavia nel 1924 da una famiglia di ebrei lituani fece una sco­perta fondamentale che a tutta prima non sembrava avere nulla a che fare con il caos. La scoperta venne fatta quando, dopo essersi trasferito nel 1936 a Parigi dove si laureò pres­so l’École Polytechnique, si recò negli Stati Uniti per lavorare nei laboratori dell’IBM e per insegnare alla Yale University. L’idea scaturì in seguito ad una semplice domanda. Egli si chiese quanto fosse lunga la costa della Gran Bretagna dandosi anche la risposta: “Dipen­de!” Dipende cioè dal metro con cui la si misura. Da ciò derivò la teoria dei frattali.

La parola “frattale” (dal latino fractus che significa rotto o frammentato) è un’entità geometri­ca derivante da una costruzione che ripete in scala sempre minore la stessa for­ma iniziale. Ogni pezzettino dello schema, ingrandito, appare indistinguibile da quello visi­bile su una scala maggiore ed è quindi impossibile capire quale sia il fattore di ingrandi­mento sempli­cemente guardandolo. Questi schemi ripetitivi, indipendenti dalla scala, si manifestano spesso in natura, come ad esempio negli anfratti delle coste.

Queste sono un ottimo esempio di geometria frattale. Se volessimo ad esempio misu­rare la distanza fra due punti sistemati sulla linea di costa potremmo usare una sorta di grande riga lunga dieci kilometri: appoggiamo la riga a contatto con il primo punto, quindi l’appoggiamo un’altra volta nel punto in cui la prima termina e poi ancora finché non avre­mo coperto l’intera distanza. Con una riga di queste dimensioni la misurazione sarebbe ne­cessariamente approssimativa. Se ora misurassimo la stessa distanza con una riga lunga un kilometro saremmo più precisi e ot­terremmo una lunghezza maggiore perché percor­rendo il tratto di costa si potrebbero se­guire le sporgenze e le insenature maggiori. Se mi­surassimo la stessa distanza con una riga lunga solo un metro potremmo seguire tutte le sporgenze e gli anfratti minori che si incon­trano normalmente lungo una costa: si perver­rebbe in questo modo ad una distanza ancora superiore rispetto a quelle misurate in pre­cedenza. Ciò dimostra che più la nostra misurazione è precisa più lunga sarà la distanza fra i due punti. Ma anche con la riga di un metro non avremo l’effettiva di­stanza fra i due punti presi in esame. Una misura più completa e precisa sareb­be quella ottenuta usando il doppio decimetro che ci permetterebbe di tener conto anche di punti più ravvicinati, ma ciò ancora non sarebbe sufficiente. Per avere una misura reale della distanza fra i due pun­ti presi in esame si dovrebbero considerare le singole rocce, pietre, ciottoli e perfino gra­nelli di sabbia. Si perverrebbe in questo modo ad un valore infinito della distanza. Il fratta­le si potrebbe quindi definire come un oggetto geometrico che si ri­pete nella sua forma allo stesso modo in scale diverse, ovvero non cambia aspetto anche se visto con una lente d’ingrandimento.

Cosa accadrebbe se il percorso fra i due punti presi in considerazione fosse perfetta­mente rettilineo? La sua distanza, qualsiasi sia la riga usata per misurarla, sarebbe sempre la stessa. Una linea come sappiamo è unidirezionale ovvero è esprimibile con il numero 1; il piano è bidimensionale ovvero è esprimibile con il numero 2. Il frattale non è né una li­nea né un piano, ma la sua dimensione deve essere più di 1 e meno di 2. Per rendersene conto basta considerare un triangolo equilatero, dividere ciascun lato in tre parti uguali, considerare il terzo centrale di ciascuno come la base di un nuovo triangolo equilatero e ri­petere il processo all’infinito. Il risultato finale è una figura a forma di fiocco di neve, che ha un bordo che è una linea con un numero infinito di pieghe, tanto da riempire quasi, ma non del tutto, un’area piana. Qual è la dimensione di questa linea? Essa evidentemente ha un valore compreso fra quello di una linea (dimensione 1) e quella di un piano (dimensio­ne 2). Per la precisione essa è log 4 diviso log 3 che vale circa 1,2618. Questa curva asso­miglia alla costa sulla quale avevamo sistemato i due punti di cui volevamo conoscere la di­stanza: è frastagliata in modo che si ripete all’infinito in scale sempre più piccole. Se si ha la pazienza di misurare con la massima accuratezza la distanza fra due punti che abbiamo preso in esame si otterrebbe un valore di circa 1,25, stranamente molto vicino a quello teorico.

I frattali non sono necessariamente delle curve: possono essere superfici o solidi molto intricati o anche forme in più dimensioni. La dimensione frattale misura quanto è scabro il frattale, e quanto esso riempie lo spazio; tale dimensione compare nella maggior parte delle applicazioni dei frattali, sia nei calcoli teorici, sia nelle prove sperimentali.

I frattali hanno percorso una lunga strada e adesso li si usa abitualmente come modelli matematici in varie scienze. Le applicazioni dei frattali sono vastissime, dalla struttura fine dei minerali alla forma dell’intero Universo. Vi sono persino applicazioni mediche: per esempio, la geometria frattale può essere usata per individuare cellule cancerose le cui superfici sono rugose e hanno una dimensione frattale maggiore delle cellule normali.

 

IL CAOS

La teoria del caos, come abbiamo visto, prese corpo all’incirca nello stesso momento in cui furono scoperti i frattali e infatti queste due teorie sono strettamente collegate. Le rappresentazioni grafiche degli attrattori strani, che sono legati alla dinamica caotica, in alcuni casi possono infatti essere dei frattali.

La mente dell’uomo rifugge dal caos e trova ordine anche dove ordine non c’è. Nella disposizione casuale delle stelle gli antichi videro costellazioni raffiguranti i personaggi del mito e nelle nuvole immagini di uomini o di animali. In alcune culture i fondi del caffè pre­dicono il futuro. Nelle viscere degli animali immolati l’aruspice scorge i destini dei popoli e i ministri del culto interrogano le loro divinità gettando i dadi.

Nell’Ottocento si fece stra­da l’idea che il caos potesse costituire l’oggetto di uno studio rigoroso e il matematico e astronomo francese Pierre-Simon marchese di Laplace e altri scienziati scoprirono le leggi dei giochi d’azzardo. L’esistenza di leggi che governano gli eventi casuali non appare subito evidente, ma, se si succedono a caso, gli avvenimenti hanno un andamento medio che è soggetto a precise leggi. Il lancio ripetuto di un dado, a meno che non sia truccato, do­vrebbe far sì che ognuna delle facce si mostri, in media, una volta su sei. Questo è un caso semplice, ma come facciamo a sapere se un susseguirsi di eventi è analogo a una se­rie di lanci di un dado, ossia è un fatto privo di qualsiasi significato o non piuttosto qualco­sa simile alla sequenza di basi azotate in una molecola di DNA? Il nostro interrogativo fon­damentale è pertanto il seguente: “Che cos’è precisamente il caos?”

La parola deriva dal greco chaos, con cui gli antichi designavano la sostanza originaria di cui era costituito l’Universo. Nel linguaggio quotidiano la parola si riferisce ad uno stato di estrema confusione e suscita in noi immagini di persone che corrono in tutte le direzioni o di oggetti che si muovono senza alcun ordine apparente; esso è quasi sinonimo di disor­dine o di casualità. Da un punto di vista scientifico il caos non è “caotico” nel senso lette­rale del termine perché dà luogo a schemi ordinati. La teoria del caos si è sviluppata in se­guito al lavoro del meteorologo americano Edward Lorenz che, come abbiamo visto, tentò di descrivere matematicamente un modello climatico per mezzo di un computer. In tale oc­casione notò che bastava arrotondare a tre cifre decimali invece che a sei (qual era la pre­cisione del computer) i parametri iniziali perché il programma producesse evoluzioni me­teorologiche del tutto differenti. Una piccola variazione di un sistema qualsiasi (fisico, bio­logico, economico) normalmente provoca una variazione proporzionalmente piccola del suo stato finale: per esempio, colpendo un po’ più forte una biglia questa andrà legger­mente più lontano di prima, quando la spinta era stata leggermente minore. In un sistema caoti­co, invece, piccole differenze nelle condizioni iniziali producono enormi differenze non pre­vedibili nel comportamento successivo. Un sistema può quindi comportarsi in modo caotico in certi casi e in modo non caotico in altri.

Il caos è un fenomeno che ha dato ori­gine ad una nuova disciplina della scienza in cui la causa e l’effetto non sono legati in modo lineare, cioè proporzionale. Prima di arrivare a una comprensione del caos si pensava che non solo l’effetto seguisse la causa, ma cause semplici producessero effetti semplici e cause complesse producessero effetti complessi. Il concetto che una causa sem­plice potesse dare luogo a un effetto complesso era del tutto inaspettata ed è ciò che i matematici chiamano “non lineare”.

I sistemi caotici appaiono in molti luoghi in natura. Un esempio è quello della vita o di ogni altra struttura presente sul nostro pianeta o nell’Universo intero. Si tratta di fenomeni di tipo casuale o determinato? Il DNA, ad esempio, ha avuto origine per caso o la sua for­mazione doveva necessariamente concretizzarsi in accordo con qualche prescrizione mate­matica? Le domande relative alla natura dell’Universo sono state poste per la prima volta agli inizi del Novecento, quando la fisica moderna ha cominciato a diventare una teoria in gra­do di spiegare le complessità del mondo fisico intorno a noi. A quel tempo la fisica fu rivo­luzionata da due teorie originali e inattese. La prima fu la relatività; l’altra la meccanica quantistica.

La relatività generale fu opera di Albert Einstein il quale nel 1917 concluse il suo lavoro che era iniziato nel 1905 con la formulazione della relatività ristretta. Le due teorie descri­vono il comportamento dei corpi molto grandi e molto veloci: si tratta di teorie determini­stiche che forniscono risposte a domande sorprendentemente complicate sull’Universo senza alcuna considerazione di casualità. Se un fisico conosce la velocità, la massa, la for­za e gli altri parametri fisici è in grado di risolvere un’equazione e di ottenere una risposta esatta relativamente all’oggetto di studio. Il caso o la sorte non svolgono alcuna parte in queste teorie.

La meccanica quantistica è invece la teoria dell’infinitamente piccolo e descrive il com­portamento di elettroni, protoni ed altre entità che compongono la microstruttura della materia. Essa si basa sulla osservazione che un corpuscolo di piccole dimensioni, come ad esempio un elettrone, non sia solo una particella, ma anche un’onda. In conseguenza di questa doppia natura delle particelle subatomiche le equazioni newtoniane del moto che regolano il comportamento degli oggetti di grandi dimensioni, come ad esempio le palle da biliardo o i pianeti, sono inapplicabili nel mondo quantistico dove vengono sostituite da al­tre regole e altre relazioni matematiche. Queste regole descrivono una realtà microscopica che sembra a tutti gli effetti completamente casuale. Il fatto che l’elettrone presenti una doppia natura, particellare e ondulatoria, non ci consente di immaginarlo girare intorno al nucleo atomico. Dell’elettrone è possibile conoscere solo la probabilità che si trovi in vici­nanza del nucleo.

Uno degli elementi fondamentali della teoria quantistica è l’equazione d’onda: una fun­zione matematica il cui quadrato fornisce una distribuzione di probabilità della posizione della particella subatomica. Si giunge in tal modo al concetto di orbitale che sostituisce quello di orbita dell’elettrone intorno al nucleo atomico. L’orbitale è una regione di spazio intorno al nucleo in cui l’elettrone ha una probabilità apprezzabile di trovarsi in un istante dato. Gli orbitali sono quindi distribuzioni di probabilità spaziali: ci forniscono cioè una re­gione dello spazio tridimensionale in cui l’elettrone potrebbe trovarsi. La teoria quantistica ha quindi una natura essenzialmente probabilistica. Questo fatto è in stridente contrasto con la natura puramente deterministica della teoria relativistica e questo è anche il motivo per il quale Einstein si oppose all’idea della probabilità come descrizione del mondo. Per­ciò, posto di fronte agli aspetti probabilistici intrinseci nella teoria quantistica, fece la sua famosa affermazione: “io non crederò mai che Dio giochi a dadi col mondo!”

 

ESEMPI DI SISTEMI CAOTICI

In natura gli esempi di caos comprendono ogni sorta di fenomeni dall’infrangersi turbo­lento di un’onda sulla costa alle fibrillazioni cardiache che segnano l’inizio di un attacco cardiaco. Si possono inoltre rintracciare comportamenti caotici nell’evoluzione delle masse d’aria atmosferiche sulle quali, come abbiamo visto, proprio per tale ragione le previsioni del tempo non possono, nemmeno in linea teorica, avere caratteristiche di certezza. Anche alcune reazioni chimiche potrebbero presentare un andamento caotico. Il tempo e la misu­ra di una reazione dipendono in modo molto forte dalle condizioni iniziali. Per esempio, una reazione chimica si svolgerà in modo uniforme se le condizioni sono quelle giuste, mentre un mutamento lieve – anche solo impercettibile – nelle condizioni iniziali, potrebbe trasformare quella stessa reazione in un’esplosione.

Si nota il caos anche nello sviluppo di popolazioni animali al pascolo: fino a quando lo spazio a loro disposizione è vastissimo, lo sviluppo degli animali si accresce regolarmente ad ogni stagione e il flusso e ri­flusso del­la loro crescita continuerà ogni anno con regolari­tà. Quando però le di­mensioni dello spa­zio disponibile sono ridotte la popolazione di erbi­vori al pascolo continuerà a cresce­re fino ad esaurire tutte le risorse di cibo disponibili dopo di che comincerà a decli­nare fino a quando le erbe non avranno avuto la possibilità di tornare ai livelli anteriori. Anche se l’equazio­ne non sarà più lineare l’oscillazione di tale popolazione di animali al pascolo po­trebbe an­cora essere descritta da un’espressione ma­tematica relativamente semplice ma con il pas­sare degli anni le fluttuazioni di una tale po­polazione potrebbero subire profondi mutamen­ti. Una possibilità è che le oscillazioni rallen­tino gradualmente fino alla situazione in cui il numero degli erbivori diventi stabile di anno in anno. Se però la popolazione pre­sentasse delle oscillazioni più grandi, come nel caso del pendolo, tali oscillazioni si alterne­rebbero anno dopo anno fino a disgregarsi nel caos. Ogni anno si avrebbe un numero di­verso di animali al pascolo e la popolazione da­rebbe l’impressione di aumentare o diminui­re a caso.

Lo stesso fenomeno potrebbe verificarsi nelle contrazioni cardiache, nell’andamento di mercati economici e nel moto di corpi del sistema solare. E, come abbiamo visto, perfino il comportamento di un pendolo, normalmente tanto regolare e prevedibile da essere utiliz­zato per la regolazione degli orologi può diventare caotico se il punto di sospensione di­venta oscillante.

Fino a poco tempo fa gli scienziati credevano che tali fenomeni fossero controllati da leggi così complesse e indeterminabili che non valesse la pena di occuparsene. Oggi però sono stati compiuti notevoli passi avanti nella formulazione di una comprensione matema­tica del caos, e molti scienziati credono che tali progressi potrebbero svelare ben presto i misteri degli attacchi epilettici, permettere una maggiore precisione nella predizione dei flussi di marea e di eruzioni vulcaniche e addirittura dare origine a una nuova rivoluzione in fisica.

Attualmente si trova il caos in ogni ambito della scienza. Esso, come abbiamo visto, ha avuto ini­zio nel tentativo di fare accurate previsioni del tempo ma ora lo troviamo nel moto delle stelle all’interno delle galassie, nelle orbite dei pianeti e dei satelliti nel sistema sola­re, nel crescere e contrarsi delle popolazioni animali, nel funzionamento del metabolismo all’inter­no delle cellule e nel battito del cuore. Lo si trova anche nel comportamento delle particel­le subatomiche, nel funzionamento dei macchinari, nel flusso turbolento dei liquidi nei tubi e degli elettroni nei circuiti elettrici. Ma il modo più semplice è riprodurlo matema­ticamente, tramite simulazioni al calcolatore. I modelli del comportamento caotico non presentano grandi difficoltà: si tratta di ripetere semplici formule matematiche nume­rose volte di fila, anche se l’operazione richiede spesso una considerevole rapidità computazio­nale, per ripe­tere il calcolo moltissime volte.

Quindi, riassumendo, la teoria del caos ci mo­stra che, per quello che sappiamo, il nostro Universo è completamente deterministico, ma non prevedibi­le. Questa mancanza di preve­dibilità non è il risultato di una vera casualità: la natura de­terministica dell’Universo implica che esso segue re­gole perfette e ben definite, alcune delle quali forse an­cora da scoprire. L’imprevedibilità sorge dall’impossibilità di riuscire a cono­scere con infini­ta precisione le condizioni iniziali per l’evoluzione di qualsiasi sistema che non sia sempli­cissimo. Ci sarà sempre un minu­scolo errore nei dati iniziali che si ingiganti­rà portandoci a previsioni sba­gliate.

Prof. Antonio Vecchia

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