La difesa dell’ambiente

La tutela e la protezione dell’ambiente è diventata ormai un’esigenza di primaria importanza. Com’è noto, ogni essere vivente interagisce costantemente con l’ambiente in cui vive scambiando con esso materia ed energia e per questo motivo, una qualsiasi sua modificazione induce tutta una serie di ripercussioni sugli organismi viventi, e quindi anche sull’uomo.

Da alcuni anni, nell’opinione pubblica si è consolidata la consapevolezza della opportunità di salvaguardare l’ambiente. Si tratta di un impegno certamente indispensabile, ma come attuare nella pratica quest’opera che necessita di profonde conoscenze scientifiche? In realtà, molti di coloro che si proclamano difensori dell’ambiente, mostrano invece una scarsissima cultura scientifica assumendo posizioni che appaiono basate unicamente su atteggiamenti emotivi e irrazionali.

Svariate sono le tematiche relativamente alle quali i cosiddetti movimenti ambientalisti diffondono un preoccupante allarmismo. Di alcune di esse si è parlato nel sito dove si potranno leggere saggi relativi all’elettrosmog, all’energia nucleare, agli OGM, alle medicine alternative  e ad altri argomenti ancora.

 

L’EFFETTO SERRA

Un altro tema di grande attualità è quello che concerne le alterazioni del clima causate dall’uomo. Si sa che l’atmosfera contiene una piccola quantità di anidride carbonica, il gas che rappresenta l’alimento base delle piante e la cui formula chimica è CO2. La concentrazione di questo gas nell’atmosfera era rimasta immutata negli ultimi millenni grazie all’equilibrio che si era venuto ad instaurare fra produttori e consumatori in quanto, mentre le piante sottraevano questo gas dall’atmosfera, gli animali lo restituivano attraverso il processo della respirazione.

Negli ultimi 100 anni però la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata per azione dell’uomo il quale ha utilizzato in quantità sempre più massiccia i combustibili fossili. Cosa c’entra tutto questo con il clima? C’entra perché la presenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera ha un’influenza decisiva sulla temperatura del nostro pianeta. Cerchiamo di spiegare con parole semplici come ciò avvenga.

La radiazione solare che investe la superficie terrestre è in parte assorbita e in parte riflessa. La parte che viene riflessa è quella che appartiene al campo dell’infrarosso ossia alle radiazioni calorifiche. L’anidride carbonica assorbe soprattutto queste radiazioni provocando un riscaldamento dell’atmosfera simile a quello che si verifica nelle serre, per la presenza dei vetri che proteggono le colture: tale fenomeno infatti è chiamato “effetto serra”.

È questo un fatto naturale che, se non esistesse, le condizioni climatiche del pianeta sarebbero profondamente diverse e tali da non garantire le forme viventi. Esso è quindi una realtà che esiste indipendentemente dalle attività umane ma l’uomo contribuisce ad incrementare il naturale effetto serra immettendo nell’atmosfera grandi quantità di anidride carbonica derivante dall’impiego di combustibili fossili. A causa dell’intervento dell’uomo, l’insieme delle condizioni meteorologiche potrebbero quindi cambiare, ma i sistemi climatici sono estremamente complessi e le posizioni degli esperti sono spesso contrastanti.

Secondo alcuni scienziati un incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera si tradurrebbe in un aumento anomalo della temperatura del pianeta con conseguente fusione dei ghiacciai polari della Groenlandia, del Canada e dell’Antartide. L’acqua di fusione negli anni provocherebbe l’aumento del livello del mare con la conseguenza di vedere finire sott’acqua gran parte delle zone più popolate della Terra a cominciare da città importanti quali ad esempio Venezia, Amburgo, Londra e Tokyo. Solo i ghiacciai del Polo Nord non produrrebbero l’innalzamento del livello del mare ma al contrario il suo abbassamento e il motivo è semplice: essi si trovano nell’acqua e il ghiaccio quando fonde diminuisce di volume. I mari potranno però alzarsi ulteriormente per espansione termica in quanto i liquidi (come qualsiasi corpo) riscaldandosi si dilatano.

Anche senza arrivare a simili estremi, basterebbe un minimo aumento della temperatura perché si vedano scomparire i ghiacciai alpini che sono preziosi serbatoi d’acqua i quali vanno ad alimentare le falde acquifere della pianura proprio in estate quando piove meno. La scomparsa dei suddetti ghiacciai sconvolgerebbe pertanto il regime naturale delle acque, provocando una grave siccità e la desertificazione di vaste aree del nostro Paese nonché della stessa Europa.

Non tutti gli scienziati sono però d’accordo con quanto esposto sopra e pensano che le cose potrebbero andare in modo diverso. L’aumento di CO2 potrebbe provocare un aumento della vegetazione che a sua volta consumerebbe più anidride carbonica facendo diminuire la concentrazione della medesima nell’atmosfera e quindi lasciando sfuggire le radiazioni infrarosse con la conseguenza che, ad un periodo caldo, seguirebbe un’epoca glaciale. L’assorbimento di anidride carbonica sarebbe ancora maggiore da parte del plancton e dei molluschi perché questi ultimi la fisserebbero nei loro gusci calcarei, che, dopo la morte, finirebbero sui fondali oceanici.

Ma c’è di peggio perché la combustione di carbone e petrolio da parte delle fabbriche e delle case che li usano per il riscaldamento, oltre all’anidride carbonica, emette anche fuliggine (cioè impalpabili particelle di carbone) la quale, arrivando negli alti strati dell’atmosfera, impedirebbe a buona parte della radiazione solare di raggiungere la superficie terrestre con la conseguenza di un ulteriore abbassamento della temperatura su tutta la Terra. Venezia, Amburgo, Londra, Tokyo e tante altre città che si affacciano sul mare si troverebbero non solo sommerse dalle acque ma anche seppellite sotto una coltre di ghiaccio.

Come si è visto gli esperti non sono ancora riusciti a prevedere con sicurezza quale potrebbe essere l’effetto dell’inquinamento sul clima, ma su una cosa sono tutti d’accordo e cioè sul fatto che il clima attuale della Terra è il risultato di un equilibrio delicato a cui contribuisce in modo determinante la composizione dell’atmosfera. Cambiare questa condizione può portare a risultati non del tutto chiari, ma sicuramente gravi.

Possiamo pertanto paragonare la situazione in cui si sta cacciando l’uomo a quella di una persona inesperta che decidesse di mettere le mani nei delicati congegni di un orologio senza avere la minima conoscenza del suo funzionamento: non si sa se, dopo l’incauta operazione, l’orologio andrà avanti o indietro, ma sicuramente esso non funzionerà più bene.

Per il futuro le posizioni degli esperti sono quindi contrastanti: l’unico dato certo è che negli ultimi 100 anni la temperatura media globale è aumentata di mezzo grado centigrado. Per quanto riguarda invece le cause, gli effetti e le eventuali misure da adottare il dibattito scientifico è tuttora aperto.

 

LO SVILUPPO SOSTENIBILE

È documentato dagli studi geologici e paleontologici che nel lontano passato si sono verificate consistenti variazioni climatiche, ma qualche cosa di simile è successo anche in tempi storici senza che l’uomo abbia avuto alcun ruolo. Ora il clima sta cambiando ma l’ipotesi che l’uomo, con le sue attività, contribuisca a modificarlo non è per niente sicura ed in tale ambito le posizioni dei movimenti ambientalisti sono molto risolute tanto che semplici ipotesi di lavoro vengono spacciate per certezze scientifiche. Queste opinioni purtroppo hanno conseguenze importanti nelle decisioni politiche poiché comportano un aggravio finanziario non indifferente. Le stesse misure previste dal Protocollo di Kyoto, finalizzate alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, non sono unanimemente condivise dalla comunità scientifica, tanto che alcuni Paesi hanno rifiutato di sottoscriverle. Questo atteggiamento è anche motivato dal fatto che una riduzione delle emissioni di anidride carbonica significherebbe una riduzione della produzione di beni di consumo e quindi dello sviluppo economico del Paese.

Consapevoli di ciò, i Verdi parlano di “sviluppo sostenibile” senza rendersi conto che l’espressione è una contraddizione in termini. In altre parole sviluppo sostenibile non significa niente. Vediamo di spiegarne il motivo. Sviluppo significa “crescita”, mentre sostenibile significa “durevole nel tempo”. È possibile in uno spazio finito qual è quello del nostro pianeta una crescita durevole nel tempo? La risposta è no.

Consideriamo ad esempio la crescita demografica. Oggi nel mondo vi sono circa sei miliardi e mezzo di abitanti: un numero che si accresce ad un ritmo di circa l’uno e mezzo per cento all’anno. Fra meno di 700 anni gli abitanti del pianeta saranno 150.000 miliardi: uno ogni metro quadrato di superficie terrestre. È evidente che le cose non andranno in questo modo perché fra l’altro, in tali condizioni, non ci sarebbe cibo per tutti e invece che aumentare la popolazione diminuirebbe: anzi lo avrebbe fatto già da molto prima di quella data.

Per chiarire ulteriormente il concetto immaginiamo di mettere in una bottiglia mille batteri il cui numero si duplica ogni minuto che passa: dopo un minuto i batteri sarebbero duemila, dopo due minuti quattromila, e così via. Se l’operazione fosse iniziata alle undici e mezzo di sera a mezzanotte la bottiglia sarebbe piena di batteri i quali non si riprodurrebbero più e invece morirebbero. Supponiamo ora che a due minuti dalla mezzanotte, quando la bottiglia è ancora mezza vuota, i batteri scoprano la presenza di altre tre bottiglie vuote e ammettiamo pure che i batteri abbiano l’intuizione e la forza di trasferirsi in parte nelle tre bottiglie vuote: ebbene, nonostante il travaso, alla mezzanotte la prima bottiglia sarebbe comunque piena, la seconda sarebbe piena a mezzanotte e un minuto e le altre due un paio di minuti dopo la mezzanotte.

Tornando ora sulla Terra, bisogna convenire che lo sviluppo demografico non sarebbe sostenibile nemmeno se l’incremento fosse minore di quello in atto e non lo sarebbe nemmeno se ci fossero a disposizione altri mondi abitabili fuori dal nostro pianeta. La crescita demografica è destinata in ogni caso a fermarsi. Come avverrà questo arresto è un’altra questione, ma se i governi non interverranno con decisione, sicuramente non avverrà in modo tranquillo e indolore.

Lo stesso discorso vale per tanti altri prodotti della natura, come ad esempio per il petrolio, le riserve del quale prima o poi si esauriranno perché la Terra stessa ha dimensioni limitate. Insomma, nessuno sviluppo fondato su risorse finite può essere sostenibile. Tuttavia Verdi e ambientalisti insistono nel pretendere uno sviluppo sostenibile che mai potrà essere realizzato. Quale l’alternativa?

L’uomo ha a disposizione due grandi risorse. La prima è l’energia, purché non sia quella che si ricava bruciando il preziosissimo petrolio ma quella che si estrae dal nucleo dell’atomo attraverso la tecnologia moderna, che garantisce energia sicura per centinaia se non per migliaia di anni. La seconda grande risorsa degli esseri umani è il cervello ma solo se essi sapranno servirsene bene per esempio per sbarazzarsi al più presto possibile delle idee stravaganti dei Verdi e di tutti gli ambientalisti del mondo.

 

L’ANTROPOCENTRISMO

Come abbiamo visto, la salvaguardia della natura è importantissima per la nostra stessa sopravvivenza. Ma cosa è la natura? Per secoli l’uomo è stato abituato a pensare ad essa come a qualcosa di nettamente separato da sé stesso e dalle sue attività abituali: il bosco, il ruscello, il canto degli uccelli, il cervo che si abbevera alla fonte sono “natura”, mentre la città, l’ora di punta, la vacanza sulla neve “sarebbero” ambiti e attività esclusivamente umane. Tale luogo comune è da imputarsi ad una concezione antropocentrica, di cui è impregnata la cultura occidentale fortemente condizionata dagli scritti biblici in cui si legge: “L’uomo, ultima creatura comparsa sulla Terra, ha la completa signoria sugli animali, sulle piante e sulle altre risorse naturali, che sono state create per fornire cibo ed altri beni materiali alla stirpe di Adamo, la quale ha ricevuto il comando: crescete e moltiplicatevi, riempite la Terra e rendetevela soggetta e signoreggiate su tutti gli animali e le erbe.” L’uomo, come si vede, è considerato il “signore del Creato”, che verso nessun altro ha obblighi morali se non verso i propri simili e, se credente, nei confronti di Dio.

Attualmente stanno prendendo piede le filosofie di ispirazione ambientalista che si contrappongono all’antropocentrismo assoluto. Esse estendono le norme etiche al di là di ciò che è umano e sostengono la necessità di attribuire agli animali i diritti che generalmente sono riconosciuti agli uomini. La particolare attenzione nei confronti degli animali è stata riportata nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale” in cui si legge che l’uomo non può arrogarsi il diritto di sterminare gli animali o di sfruttarli. Ogni animale – si legge nel testo – appartenente ad una specie selvaggia ha il diritto di vivere libero nel suo ambiente naturale ed ha il diritto di riprodursi. Peraltro tale risoluzione non è mai stata ratificata dai diversi Paesi del mondo anche perché, ad una attenta analisi essa si è dimostrata incoerente e lacunosa.

Chiunque di noi condividerebbe le affermazioni contenute nel documento se ci si riferisse all’orso, al panda o al cagnolino di casa, ma se si pensasse alle zecche, alle zanzare (comprese quelle che trasmettono la malaria) o forse anche ai ratti delle chiaviche, allora in molti non se la sentirebbero di sottoscrivere questa dichiarazione. Eppure anche zecche, zanzare e topi sono animali a tutti gli effetti.

Quando poi si passa al tema della sperimentazione sugli animali, il discorso si fa decisamente ideologico. Gli animalisti dicono che si potrebbe evitare di sperimentare sugli animali in quanto esistono altre tecniche attraverso le quali si potrebbe giungere agli stessi risultati ma in realtà in campo medico non esistono metodologie valide in grado di sostituire la sperimentazione sugli animali. Gli sperimentatori operano con professionalità evitando ogni abuso e ricorrono a queste tecniche solo quando ritengono che siano assolutamente necessarie. Nello stesso tempo essi sono consapevoli dei limiti di validità degli esperimenti condotti sugli animali che, per quanto possano apparire atti di inutile crudeltà, rappresentano tuttavia un male necessario fino a quando non si troverà un’alternativa altrettanto efficace.

Senza la sperimentazione sugli animali molti progressi effettuati in campo medico non sarebbero stati possibili. Negli ultimi anni del 1800, ad esempio, si scoprì che la rimozione del pancreas provocava nei cani sintomi simili a quelli del diabete nell’uomo. Gli studi successivi portarono alla scoperta di una proteina a cui fu dato il nome di insulina la quale, iniettata in cani a cui era stato asportato il pancreas, eliminava i sintomi del diabete; successivamente la terapia venne estesa all’uomo. Il sacrificio di molti animali è sempre stato finalizzato a salvare migliaia di vite umane e nessuno, nemmeno gli animalisti, pensano che sarebbe stato meglio vedere tribolare e morire i propri congiunti per risparmiare le sofferenze a cavie e cani.

Certo, ci sono stati anche degli errori, il più eclatante dei quali porta il nome di talidomide un farmaco che è stato usato dalle donne europee in gravidanza come tranquillante. La sostanza era stata sperimentata sulle cavie senza che si riscontrasse in loro alcun danno, ma pur essendo il patrimonio genetico di questi animali molto simile a quello umano, non è tuttavia identico. Il farmaco invece influiva sullo sviluppo del feto umano provocando deformità degli arti. Del danno ci si accorse troppo tardi quando erano nate alcune centinaia di bambini con gli arti pinniformi.

La scienza non è infallibile perché è prodotta dagli uomini che non sono perfetti e, per quanto il metodo di indagine sia molto scrupoloso e prudente, a volte si commettono errori. D’altra parte nemmeno ciò che è naturale è necessariamente buono: esistono tante cose perfettamente naturali che sono estremamente dannose non solo per l’uomo ma anche per molte altre specie viventi. In natura nessuna specie può sopravvivere senza arrecare danno all’ambiente o ad altre specie e a volte la lotta per la sopravvivenza è furibonda e feroce.

Mi raccontava un ufficiale dell’esercito, che durante la guerra era stato in campo di concentramento, dove c’era pochissimo da mangiare e quel poco era completamente privo di proteine, di essere riuscito a catturare un topo che si era cucinato e quindi mangiato sotto gli occhi dei compagni di sventura i quali lo osservavano con invidia mentre consumava quei pochi grammi di proteine. Credo che nemmeno l’animalista più convinto in preda ai morsi della fame non esiterebbe un solo istante ad uccidere un animale per nutrirsene.

Il concetto di natura incontaminata che racchiude in sé una moralità superiore è un’utopia che non ha riscontro nella realtà. In natura accadono in continuazione cose inaudite e fatti raccapriccianti ben superiori a quelli di cui è capace l’uomo più crudele. La mantide religiosa, ad esempio, mangia il maschio durante l’atto sessuale; i fuchi vengono allontanati dall’alveare dopo che uno solo di loro ha fecondato l’ape regina e lasciati morire di fame; vi sono alcuni insetti che depongono le uova fecondate all’interno del corpo di altri animali in modo che, quando queste si schiudono, le larve abbiano a disposizione carne fresca di cui nutrirsi; e la lista di atti atroci presenti in natura potrebbe allungarsi all’infinito. Gli animalisti dovrebbero spiegarci quale differenza morale vi è fra simili comportamenti e quelli di uno scienziato che sperimenta su di una cavia un nuovo farmaco che potrebbe salvare la vita di migliaia di bambini.

 

L’AGRICOLTURA BIOLOGICA

Per concludere è opportuno spendere qualche parola sulla cosiddetta “agricoltura biologica”, cioè su quella particolare tecnica di coltivazione che non fa uso di fertilizzanti e pesticidi chimici di sintesi. Essa sostituisce i fertilizzanti e gli antiparassitari classici con la concimazione organica che utilizza il letame prodotto dagli animali allevati o il compost ricavato dagli scarti vegetali e combatte i parassiti con particolari tecniche dette di “lotta biologica”; procede infine al diserbo a mano o con mezzi meccanici.

I prodotti biologici oggi godono di grande popolarità fra i consumatori anche perché le loro virtù reali o presunte vengono decantate dagli ambientalisti, dai media e dalla stessa pubblicità che ne esalta i pregi. Ma è proprio vero che i prodotti dell’agricoltura biologica sono migliori di quelli dell’agricoltura tradizionale? Secondo l’opinione di molti nutrizionisti i prodotti dell’agricoltura biologica hanno una sola caratteristica accertata: sono molto più costosi di quelli ottenuti con le tecniche agrarie più moderne. Nessuno infatti ha mai documentato in modo scientifico che i prodotti dell’agricoltura biologica presentino dei vantaggi per la salute rispetto a quelli ottenuti utilizzando i progressi compiuti dalle conoscenze delle scienze agrarie e l’impiego di antiparassitari. Forse che l’abuso di vino ottenuto da uve maturate su vitigni cresciuti con le tecniche imposte dall’agricoltura biologica fa meno male di quello prodotto dalla fermentazione di mosti di uve “normali”?

Non solo la presunta superiorità qualitativa dei prodotti biologici è priva di qualsiasi base scientifica, ma il loro utilizzo potrebbe essere addirittura rischioso per la salute. Per difendersi dagli aggressori naturali le piante producono esse stesse spontaneamente dei pesticidi che poi rimangono intrappolati al loro interno mentre i pesticidi che vengono spruzzati sui vegetali sono poi eliminati con un energico e ripetuto lavaggio.

È noto che fra tutte le specie naturali sopravvivono quelle che possiedono caratteri vantaggiosi: ad esempio fra le piante saranno favorite quelle che meglio resistono all’attacco di batteri, funghi o roditori e che pertanto accumulano sostanze tossiche per tenere lontani i nemici. Si potrebbero citare molti esempi a cominciare da alcune specie di piselli selvatici che, se ingeriti, producono una paralisi irreversibile. Vi sono poi alcune piante che accumulano sostanze urticanti per evitare di essere mangiate dagli animali. Le mandorle amare invece, per difendersi dall’attacco dei roditori, rilasciano cianuro quando vengono frantumate. È interessante l’accorgimento che, per non essere mangiata dagli erbivori, ha escogitato una specie arborea la quale vive in Africa. Questa pianta possiede dei rigonfiamenti entro i quali albergano nidi di formiche. Poiché, tranne ai formichieri, a nessuno piace trovarsi la bocca piena di insetti mentre mangia, la pianta viene evitata dagli erbivori. Si tratta di uno strano esempio di simbiosi in cui il vegetale offre alle formiche rifugio e cibo in cambio di difesa dall’attacco di altri animali.

In definitiva tutte queste sostanze, importanti per la sopravvivenza delle piante, sono indesiderabili per l’uomo. Le piante coltivate, per non creare danno all’uomo vengono selezionate in modo da avere un contenuto molto ridotto di tossine naturali, ma in questo modo diventano anche più deboli e bisognose di cure: la selezione naturale e quella operata dall’uomo vanno in direzioni opposte.

Le sostanze naturali prodotte spontaneamente dalle piante non sono affatto meno tossiche di quelle artificiali e in certi casi il mancato utilizzo di pesticidi può determinare lo sviluppo di muffe che producono le cosiddette aflatoxine [da A(spergillus) fla(vus) e tossina dove l’Aspergillus flavus è un fungo]. Si tratta di sostanze che per loro natura sono innocue ma che, in seguito a trasformazione epatica, divengono potenti cancerogeni. Sostanze di questo tipo sono abbastanza diffuse ed è più probabile che esse alberghino nei prodotti biologici anziché in quelli tradizionali. Alla luce di queste considerazioni appare quanto mai irrazionale affidarsi ai prodotti biologici soprattutto quando, credendo di fare opera saggia, essi vengono somministrati ai bambini nelle mense scolastiche.

Negli ultimi tempi si è affiancata all’agricoltura biologica quella biodinamica. Si tratta di un tipo di agricoltura che si propone degli obiettivi che non sono molto diversi da quelli della agricoltura tradizionale. Alcune delle pratiche che vengono raccomandate per mantenere la fertilità della terra sono scontate e banali, altre del tutto inutili.

Fra le tecniche di coltura efficaci vi è il sovescio, ossia la pratica agraria che consiste nel sotterrare particolari piante erbacee allo scopo di arricchire il terreno di alcuni elementi chimici nonché la cosiddetta “rotazione agraria” che consiste nell’avvicendamento di colture diverse su di un medesimo appezzamento di terra affinché esso sia sfruttato razionalmente: si tratta di una pratica quanto mai opportuna, perché vi sono alcune piante che sottraggono al terreno determinati elementi chimici ed altre che degli stessi elementi lo arricchiscono.

Altre tecniche però sono del tutto insensate e inutili. Fra queste vi è quella di spruzzare il terreno con i cosiddetti “preparati biodinamici” che si ottengono da letame, sali minerali e sostanze vegetali in diluizione omeopatica cioè tale che i principi attivi della soluzione scompaiono del tutto e pertanto sul terreno viene sparsa solo acqua fresca. Un altro elemento che avvicina questo tipo di agricoltura all’astrologia invece che alla scienza è l’importanza che essa dà alle cosiddette “forze cosmiche”, cioè al fatto che una buona coltura dipenda dalla particolare posizione degli astri.

Per concludere possiamo affermare, senza pericolo di smentita, che nessuno ha mai dimostrato come l’agricoltura biologica e quella biodinamica producano risultati migliori di quella tradizionale. Viceversa appare certo che, se nel mondo l’agricoltura venisse tutta convertita in biologica e biodinamica, la carenza di cibo diventerebbe ancora più drammatica di quanto non sia attualmente.

Prof. Antonio Vecchia

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