La dieta dimagrante

Spesso quando si usa il termine “dieta” si sottintende “dimagrante” ma la parola (senza aggettivi qualificativi) significa un’altra cosa. Nell’antica medicina greca la dieta era il complesso delle norme di vita (alimentazione, attività fisica, riposo, ecc.) atte a mantenere lo stato di salute. Se si rispettasse alla lettera il significato del termine greco (dieta = modo di vivere) non servirebbe alcuna cura dimagrante per vivere sani e a lungo.

 

SONO PIÙ DI UN MILIARDO LE PERSONE OBESE

In tutta la storia dell’umanità non sono mai vissute contemporaneamente tante persone grasse quante ve ne sono oggi: una vera e propria epidemia di obesità. Secondo le statistiche (per chi ci crede) attualmente sulla Terra il numero di coloro che mangiano troppo è superiore al numero di coloro che mangiano troppo poco i quali, si calcola, siano oltre un miliardo.

L’eccesso di calorie assunte con il cibo, rispetto a quelle spese nell’attività quotidiana, è il maggior responsabile dell’accumulo di grasso. Si tratta di un fenomeno preoccupante per tutti i Paesi economicamente più avanzati (ma ora anche per alcuni in via di sviluppo) tanto che l’obesità è stata definita “malattia pandemica” il cui incremento esponenziale costituisce un’emergenza sanitaria senza precedenti. A partire da una trentina di anni fa, in molti settori, la tecnologia ha fornito strumenti capaci di ridurre l’attività fisica e rendere il lavoro più sedentario mentre contemporaneamente sono diventati più disponibili cibo a basso prezzo e ad alto contenuto energetico.

Negli Stati Uniti, il Paese che viene spesso citato come la capitale mondiale del grasso, il 61% della popolazione è in sovrappeso, e il 27% è obesa. L’Italia con il 40 per cento di grassoni si trova al quarto posto fra i Paesi al mondo per numero di persone sovrappeso e obesi perfettamente allineata, a parità di demerito, con la Francia. Si tratta di veri e propri malati, perché di obesità, ma anche di semplice eccesso di peso si può morire. Ad allarmare gli epidemiologi e i medici in generale non sono soltanto la dimensione del problema ma le proiezioni per il futuro dello stesso, tenuto conto che in Italia alla fine dell’altro secolo si era registrato un incremento del 25% dell’obesità in un solo triennio.

Già dodici anni fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva previsto che l’obesità sarebbe stata la malattia cronica più importante del Ventunesimo secolo. Nonostante si tratti di una malattia facilmente curabile (basta mangiare di meno per guarire) tuttavia i risultati sono, nella maggioranza dei casi, deludenti. Il malessere non è solo legato alla difficoltà di ottenere la perdita di peso e di mantenere questa condizione ma anche all’impossibilità di conservare attivo il ruolo della motivazione terapeutica: ragion per cui la quasi totalità dei pazienti, di fronte all’insuccesso, abbandona il rapporto con il medico e con esso qualsiasi controllo della malattia e delle sue complicanze.

Per stabilire se una persona è obesa oppure no, non serve fare misurazioni particolari: lo si stabilisce “ad occhio”. Ma per classificare in modo scientifico la popolazione in fasce caratterizzate da diverse aspettative di vita e differenti rischi per la salute si fa ricorso a quello che viene chiamato “indice di massa corporea” (BMI = Body Mass Index). Esso è dato dal peso corporeo, in chili, diviso per il quadrato della statura, espressa in metri. Si considera sottopeso un uomo (o una donna) il cui BMI sia inferiore a 18,5; è invece normopeso un soggetto con BMI compreso fra 18,5 e 25; sovrappeso o obese sono la persone il cui BMI è superiore rispettivamente a 25 e a 30.

L’obesità non ha un effetto negativo solo sulla qualità della vita, ma influenza anche la forma stessa del nostro mondo. Ogni cosa oggi è leggermente più grande di quanto non fosse cinquanta anni fa. I sedili dei pullman, dei treni e degli aerei sono più larghi rispetto a quelli dei mezzi di trasporto di un tempo e le stesse automobili sono molto più spaziose e robuste di quelle che giravano nell’immediato dopoguerra, perché ora devono trasportare persone più voluminose e pesanti: le “topolino” e le “cinquecento” di una volta oggi sarebbero automobili riservate a pochi.

A prima vista la storia dell’obesità sembra semplice: siamo grassi perché mangiamo troppo e facciamo poco moto. E semplici sembrano essere anche le soluzioni: mangiare di meno, mangiare cibi di qualità e fare più esercizio fisico. Ma forse le cose non sono così lineari come sembra. Tanto per cominciare siamo sicuri che essere grassi dipenda esclusivamente dal fatto che si mangia troppo? Molte persone mangiano le classiche “due foglie di insalata scondite” e continuano ad ingrassare, mentre altre ingurgitano enormi quantità di cibo rimanendo magre. La vecchia scusa delle persone obese le quali davano la colpa del loro stato fisico al metabolismo forse ha un qualche fondamento.

Evidentemente non tutti gli individui sono uguali rispetto al cibo. Si tratta di un mistero che forse recentemente ha trovato soluzione: non è a causa della loro fragile volontà, della loro inconfessata ingordigia o della pigrizia se alcuni grandi obesi non riescono a dimagrire. È stato di recente individuato il “gene dell’obesità” la cui scoperta è stata fatta sperimentando sui topi. Esso sarebbe preposto alla produzione, da parte delle cellule adipose, di una proteina che avrebbe la funzione di informare l’ipotalamo (regione alla base del cervello sede di vari centri regolatori di specifiche funzioni) dello stato della massa adiposa. Sulla base di queste informazioni dall’ipotalamo partirebbero comandi atti a controllare l’equilibrio energetico influenzando il comportamento alimentare.

Studi scientifici molto approfonditi hanno avanzato un’ennesima ipotesi: si tratterebbe di un virus. Il dubbio è venuto ad un veterinario che studiava un’epidemia virale dei polli il quale scoprì che il virus causava un forte aumento della massa grassa dei volatili. Passando dai polli all’uomo si è notato che il 30% degli obesi ha anticorpi del virus umano corrispondente a quello dei polli mentre solo il 5% dei non obesi presenta gli anticorpi di quello specifico virus.

Ma non è nemmeno assodato il fatto che essere grassi sia necessariamente pericoloso per la nostra salute, come ci hanno indotto a credere. Sono obesi molti atleti e non solo i pesi massimi che si esibiscono sul ring, ma anche molti sportivi che praticano alcune specialità dell’atletica leggera, quali il lancio del disco o il getto del peso. Sono notevolmente sovrappeso anche atleti impegnati nella corsa e nei salti come alcuni giocatori di rugby o di pallacanestro. A proposito della pesantezza di questi atleti bisogna però tener conto che si tratta di individui in cui è notevole la massa muscolare la quale è più densa di quella grassa, per cui questi personaggi presentano un BMI elevato a causa della loro complessione fisica generale.

Per concludere è importante osservare che vi sono moltissime persone, molto più numerose degli obesi, che hanno un peso assolutamente normale ma sono in pessimo stato di salute. Prendiamo ad esempio i fumatori i quali sopprimono l’appetito proprio in conseguenza delle numerose sigarette che fumano. Riferendoci solo al peso possiamo forse affermare che un fumatore magro ha uno stile di vita più sano di uno con qualche chilo in più ma che fa esercizio fisico tutti i giorni? È quindi la fitness (cioè la forma fisica che si raggiunge mediante una corretta dieta e una regolare attività fisica) piuttosto che il peso a fornire una valutazione più precisa sullo stato di salute di una persona.

 

LA DIETA DIMAGRANTE FUNZIONA

Per fare un esempio concreto descriverò la mia situazione personale. Poco più di un anno fa pesavo 95 kilogrammi e quindi, essendo alto un metro e ottanta, presentavo un BMI di 29,32, pertanto ero quasi obeso e con il corpo che si avviava alla forma cosiddetta “a mela” cioè con l’accumulo di grasso su addome e giro-vita; la forma “a pera” invece è più frequente nelle donne e si ha quando si determinano rotondità sui fianchi, sul sedere e sulle cosce. Considerato eccessivo il mio peso decisi di seguire una dieta dimagrante con un programma che mi ero prefissato da solo.

Nel convincimento che la dieta dimagrante migliore fosse quella che semplicemente riduce la quantità del cibo, prestando però attenzione a che le quote dei singoli principi rimanessero nelle proporzioni naturali, decisi innanzitutto di eliminare il vino (i superalcolici non li bevevo più da anni) quindi ridussi drasticamente le porzioni: se mangiavo il primo piatto escludevo il secondo e viceversa, inoltre dimezzai le dosi dei singoli piatti. In tutti i casi vi era una ciotola di insalata condita con pochissimo olio di semi di soia e un frutto che concludeva il pasto. Alla mattina facevo colazione con mezza tazza di latte parzialmente scremato con un po’ di caffé e fiocchi di avena.

Se avessi continuato per un anno una dieta del genere probabilmente sarei morto di fame. Pertanto ogni tanto trasgredivo e per esempio facevo un pasto al ristorante naturalmente limitando le porzioni, ma bevendo un bicchiere di vino spesso diluito con l’acqua. A volte mi concedevo un aperitivo leggermente alcolico, ma mai mangiavo qualcosa fuori pasto. Ripresi anche l’attività fisica che da molto avevo trascurato poiché passavo molto tempo al computer a scrivere o seduto in poltrona a leggere. Decisi quindi di uscire di casa due volte al giorno per fare una passeggiata a passo sostenuto di un’oretta. Tornato a casa ero costretto a tre piani di scale per raggiungere il mio appartamento dove trovavo una bicicletta da camera sulla quale pedalavo saltuariamente per alcuni minuti.

Per completezza di informazione devo confessare che ho consumato anche alcune scatole di un integratore alimentare che “brucia” i grassi, soprattutto quelli presenti nella regione addominale. Fino ad una decina di anni fa esistevano le pillole che agivano sul sintomo inibendo cioè la fame ed aiutando così il paziente ad attenersi alle istruzioni dietetiche; smessa la cura, però, l’appetito tornava come prima. Oggi esistono invece “farmaci brucia grassi”, prodotti che agiscono sui meccanismi che stanno alla base dell’accumulo dei chili di troppo attivando il metabolismo a livello periferico, ed è proprio di pillole di questo tipo che ho fatto uso.

La conclusione è che oggi peso 84 chili e, poiché la statura è rimasta la stessa, il BMI ora vale un po’ meno di 26. Sarei ancora leggermente sovrappeso ma della cosa non sono per nulla preoccupato, anche perché ciò che si è drasticamente ridotto è il giro vita che attualmente misura un po’ meno del limite massimo ammesso, che è di 102 cm (85 cm per le donne). Questa misura ridotta mi ha costretto a stringere di alcuni centimetri tutti i calzoni. Il mio peso forma era di 69 kilogrammi ma questo peso lo registravo quando avevo vent’anni e praticavo (a livello dilettantistico) molti sport fra cui il calcio, la pallacanestro, il ciclismo e alcune specialità di atletica leggera. A quel tempo con un BMI di 21,3 rientravo comodamente fra i normopeso.

Ora il problema è quello di mantenere le misure raggiunte ma sono sicuro di riuscirci, anzi forse anche migliorerò leggermente il peso forma. In ciò sono confortato dal fatto che mi sono avventurato in questa sfida con molta convinzione ed oggi non mi costa fatica mantenere il ritmo alimentare intrapreso. Sono fiducioso anche per il fatto che quando trent’anni fa decisi di smettere di fumare non ebbi poi alcun ripensamento. A quel tempo smisi per una scelta volontaria e non per una necessità dettata da un problema di salute o da una difficoltà fisica di qualche tipo. Avevo semplicemente deciso di non fumare più e nonostante la sofferenza fosse durata per un anno non ebbi cedimenti di alcun genere: era la prima volta che decidevo di smettere di fumare e fu anche l’unica volta che lo feci. Questo è anche il motivo del mio ottimismo, a cui si aggiunge il fatto che la riduzione del cibo, come detto, non comporta più in me alcun sacrificio.

 

CHI È MAGRO VIVE PIÙ A LUNGO

L’appello: «rimani magro e vivrai più a lungo» viene dagli Stati Uniti, dove, come si sa, oltre il 60% della popolazione è nettamente sovrappeso e fra questi vi è una buona percentuale di adolescenti; si prevede che fra vent’anni quasi tutti gli Americani adulti saranno obesi. L’obesità è una patologia complessa capace di interferire negativamente sullo stile di vita dei pazienti e non soltanto sulle loro abitudini alimentari.

L’eccesso di peso può causare alterazioni anatomiche e funzionali di vari organi e apparati e le complicazioni che ne derivano sono numerose. Fra queste vi è il diabete di tipo II (quello mellito non dipendente da insulina) che compare in età adulta e la cui frequenza è quasi tre volte maggiore nelle persone obese. La malattia può comportare patologie dei principali vasi del cuore, del cervello e degli arti inferiori. Il diabete è anche causa di molti decessi per infarto e ictus, disfunzioni renali e retinopatia (a rischio di cecità).

L’eccesso di peso predispone inoltre a malattie cardiovascolari perché accresce il volume del sangue, il quale a sua volta comporta un maggiore lavoro del cuore provocando l’ispessimento, con conseguente allargamento, del ventricolo sinistro. Per l’elevata assunzione di lipidi e sale gli obesi sono anche ipertesi: è noto che l’ipertensione può causare alterazioni sclerotiche delle arterie, insufficienza cardiaca ed emorragia cerebrale. L’abbondanza di lipidi nel sangue può provocare inoltre formazione di trombi. I cambiamenti endocrini ormonali associati all’obesità sono stati collegati anche ad un aumento di rischio oncologico. Le donne obese, ad esempio, sono a rischio di tumore alle ovaie e forse al seno, mentre tra gli uomini aumenta il rischio di cancro alla prostata. Le cattive abitudini alimentari spiegano anche la superiore incidenza in questi soggetti di tumori del colon-retto. Altre malattie associate all’obesità sono l’artrosi a livello di colonna vertebrale, ginocchia e anche, la calcolosi biliare e lo stress.

La cosiddetta “cucina mediterranea” caratterizzata da pane, pasta, patate, frutta (che forniscono carboidrati semplici e complessi), olio d’oliva (che contiene grassi insaturi) da pesce e formaggi (che apportano le proteine) non è una dieta dimagrante però, se ben controllata, rappresenta una dieta assolutamente positiva e salutare, se il cibo è assunto equilibrando al meglio le sue diverse componenti e se si adotta parallelamente uno stile di vita che preveda un adeguato dispendio energetico attraverso una costante attività fisica. Gli acidi grassi insaturi di cui abbondano i cibi mediterranei riducono il colesterolo LDL (dannoso) e aumentano il colesterolo HDL (benefico) ma soprattutto sono altamente protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari.

Tra gli obesi si riscontra spesso scarsa autostima e depressione che forse derivano da traumi subiti da bambini quando venivano presi in giro per la loro stazza fisica. Se con l’età gli aspetti psicologici spesso si superano, crescono invece gli effetti del sovrappeso a carico di scheletro e muscoli. Dolori articolari, vertebrali e osteoartrite con rischio di fratture per il carico eccessivo che le ossa degli arti inferiori devono sopportare, sono molto diffusi. A tutto ciò si deve aggiungere l’inconveniente di un peso eccessivo sulle vie respiratorie che può causare apnea durante il sonno e facilità di addormentarsi, stando semplicemente seduti in poltrona, per ridotta ventilazione polmonare.

Una ricerca condotta alcuni anni fa negli Stati Uniti su un campione di oltre centomila donne ha mostrato un minore rischio di morte prematura per la fascia con BMI inferiore a 20. Rispetto a questa entità il rischio cresceva del 20 per cento per valori di BMI compresi fra 20 e 25 e del sessanta per cento per valori tra 25 e 30; per valori superiori a 30 il rischio aumentava del cento per cento. In una seconda ricerca condotta su un numero molto elevato di uomini e donne è risultato che il più basso rischio di morte per qualsiasi causa si aveva con un indice di peso corporeo compreso fra 19 e 22.

Mentre alcuni esperti discutevano sull’entità dei rischi legati al sovrappeso altri ritenevano che non fosse tanto l’eccesso complessivo di grassi, quanto piuttosto la loro localizzazione nel corpo a fare aumentare la probabilità di danno alla salute. I grassi addominali, tipici di una struttura del corpo definita “a mela” sarebbero più dannosi di quelli concentrati nella parte bassa del corpo tipici di una struttura “a pera”. Ciò dipenderebbe dal fatto che le cellule del grasso addominale possiedono una maggiore capacità di scindere i lipidi, causando in tal modo un pericoloso innalzamento di glucosio e trigliceridi nel sangue.

Studi condotti su individui sottoposti ad una riduzione volontaria del peso hanno mostrato che già un calo del solo 10 per cento produceva significative cadute dei livelli di trigliceridi e di zuccheri nel sangue, compensato da un aumento delle proteine ad alta densità capaci di ridurre il tasso di colesterolo e di proteggere l’organismo contro le malattie cardiovascolari.

Oggi la vera cura dell’obesità si chiama prevenzione. Che cosa significa prevenzione in termini di gestione della salute personale? E cosa comporta concretamente questo modo di fare nella vita individuale? La prevenzione consiste in una seria educazione alimentare e in un costante esercizio fisico. Bisognerebbe insegnare, fin dalle scuole elementari, il valore e i segreti dell’alimentazione perché mangiare è un problema di cultura. Fare prevenzione alimentare significa principalmente due cose: che l’individuo si fa carico in prima persona della propria salute in senso lato, e, contemporaneamente, che sceglie, in maniera autonoma, quale percorso seguire per ottenere il migliore risultato. Fino ad ora la delega alla soluzione del problema veniva affidata al medico ma negli ultimi tempi l’incarico a decidere quale via seguire gli è stata progressivamente ritirata e sostituita da una nuova, diffusa, consapevolezza individuale.

Il medico diventa una persona con la quale discutere del problema ma viene spogliato del principio tradizionale di autorità assoluta: scegliere in prima persona la cura più adatta diventa una modalità sempre più importante attraverso cui si esprime il rapporto dell’individuo con la propria salute. Autocura significa, contemporaneamente, utilizzo della medicina e dei ritrovati della ricerca scientifica anche senza l’intermediazione del medico, ricorso a prassi e terapie alternative a quelle tradizionali, gestione globale e personalizzata della salute.

La tendenza verso la responsabilizzazione individuale non significa che tramonti il ruolo del medico ma certamente vengono riformulandosi i ruoli, i doveri e le competenze chiamate in causa nel rispondere al bisogno di salute. Per stare bene esistono alcune strade privilegiate e ciascuno è libero di scegliere tra opzioni diverse quelle più adatte a sé, alle proprie aspirazioni, al proprio carattere, al tempo di cui dispone, alle esigenze economiche e al gusto personale. L’esempio del percorso che ho seguito per perdere alcuni chili si adatta ad un particolare stile di vita fatto di alimentazione, attività motoria, consumo di prodotti per il corpo, ecc.: ma quello che vale per il sottoscritto non è detto che debba valere per chiunque.

Prof. Antonio Vecchia

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