Biologia: la problematica attuale

La biologia, a differenza di altre discipline scientifiche come ad esempio la fisica, la chimica o la stessa geologia non può vantare una teoria generale sufficientemente strutturata nella quale inquadrare i propri oggetti di studio. Ciò è conseguenza del fatto che l’argomento di cui si occupa questo settore del sapere è enormemente complesso e proprio per tale motivo da un po’ di tempo a questa parte si è fatta strada la convinzione che fosse più produttivo dal punto di vista della ricerca definire gli esseri viventi piuttosto che un concetto tanto ambiguo quale è quello della vita. Tuttavia anche fra ciò che è indubbiamente vivo e ciò che altrettanto inequivocabilmente non lo è esiste una gamma di situazioni intermedie. Una pietra sicuramente non è viva mentre un batterio è decisamente vivo, ma un seme che può svilupparsi solo in ambiente adatto o un virus che può riprodursi solo all’interno di una cellula ospite li possiamo considerare vivi o no? Entrambi possono essere definiti entità potenzialmente vive ma possono anche essere distrutte prima che riescano ad esprimere una condizione di vita autonoma. In seguito a queste difficoltà di impostazione metodologica e dei criteri di spiegazione scientifica la biologia contemporanea sembra riproporre, in termini aggiornati, l’antica contrapposizione fra vitalismo e meccanicismo. Accenniamo brevemente alle conseguenze che queste idee hanno avuto in passato nell’ambito della ricerca scientifica.

 

MECCANICISMO CONTRO VITALISMO

A partire dai filosofi dell’antica Grecia si sono affrontate più volte nel corso dello sviluppo storico delle scienze biologiche due teorie contrapposte affinché fosse spiegata la natura delle forze che governano i fenomeni vitali. Esse, come abbiamo accennato, sono conosciute con i nomi di vitalismo e meccanicismo e si ispirarono la prima, alle idee di Aristotele, e la seconda, alla teoria atomistica di Democrito. La questione oggi potrebbe venire sintetizzata con la seguente domanda: “la biologia può essere spiegata in termini fisici e chimici oppure per spiegare i fenomeni della vita si deve far ricorso a qualche intervento soprannaturale?”

La teoria vitalistica considerava gli esseri viventi qualcosa di sostanzialmente diverso dalla materia inerte e passiva, ovvero entità che, a differenza ad esempio degli oggetti del mondo minerale, non si potevano interpretare completamente in base ai principi della chimica e della fisica. Si sapeva che processi chimici e fisici si svolgono anche all’interno degli organismi viventi e sono alla base di tutte le trasformazioni che vi si realizzano ma si riteneva che tali processi non fossero sufficienti da soli a dare una spiegazione appropriata ai fenomeni della vita. I processi vitali dovevano essere guidati da qualche cosa di specifico, ovvero da un principio organizzatore presente solo negli esseri viventi detto forza vitale che li indirizzava verso vie prestabilite. I vitalisti si erano formati questo convincimento osservando che molti fenomeni i quali caratterizzano gli animali (e anche le piante) erano diretti verso un fine preordinato; ossia sembrava che essi tendessero a difendere l’organismo dalle influenze nocive dell’ambiente, a migliorarne e prolungarne la vita e a metterlo nelle condizioni più adatte per riprodursi. Lo scoiattolo che fa scorta di cibo per sopravvivere durante l’inverno, le api che si dirigono sui fiori più colorati e profumati che sono anche quelli più ricchi di nettare, gli stessi alberi sui quali le foglie crescono in modo tale da non farsi ombra reciprocamente sembravano tutti progetti finalizzati ad un preciso obiettivo. Sulla base di queste osservazioni i fautori della filosofia vitalistica, anche se non erano in grado di stabilire in che cosa consistesse questa forza misteriosa, come si originasse e come portasse a compimento la sua opera, tuttavia la consideravano come espressione di un principio superiore. Quest’ultimo, estraneo alle leggi di natura, sarebbe stato tuttavia capace di strutturare gli elementi fondamentali degli organismi viventi in modo che cooperassero alla produzione di un determinato risultato tipico di ciascuna specie animale o vegetale.

Nel secolo XVII alla teoria vitalistica si oppose la scuola francese dei meccanicisti, il cui maggiore esponente fu il filosofo René Descartes (in italiano Cartesio, 1595-1650); essa concepiva la natura come un insieme di fenomeni concatenati da ferree leggi deterministiche indirizzate a lasciare le cose immutabili nel tempo. I seguaci di questa corrente di pensiero erano tutti tesi a dimostrare che l’organismo lavora essenzialmente come una macchina: le braccia e le gambe – essi facevano notare – agiscono come leve, il cuore è una pompa, i polmoni un mantice, lo stomaco un mortaio con pestello e il cervello una specie di centrale operativa che riceve attraverso nervi sensitivi segnali dai recettori esterni (occhi, orecchie, naso, ecc.) ed invia risposte appropriate attraverso i nervi motori ai muscoli.

Nel secolo successivo, i semplici e ingenui modelli meccanicistici di Cartesio furono abbandonati e sostituiti dai modelli scientifici di cui anche attualmente la ricerca fa largo uso per spiegare il comportamento dei fenomeni naturali. Oggetto della disputa divenne quindi l’alternativa se la chimica e la fisica degli organismi viventi siano governate o no dalle stesse leggi che l’uomo applica in laboratorio. I vitalisti asserivano che le reazioni chimiche tipiche degli organismi viventi non potevano ottenersi al di fuori di essi mentre i loro oppositori, al contrario, erano convinti che le complesse attività dei sistemi vitali potessero essere ridotte a schemi più semplici e comprensibili.

Quale fra le due scuole aveva ragione? Difficile dirlo. Indubbiamente la posizione dei vitalisti risultava meno persuasiva: essi infatti non affermavano ciò che non potevano dimostrare, ma contemporaneamente il loro modo di pensare era anche sterile perché dire che la vita è spinta da una forza vitale è come dire che la macchina è spinta da una forza meccanica: una spiegazione che non spiega proprio niente. Però anche i meccanicisti avevano torto (il corpo non è una macchina né un semplice laboratorio chimico) benché nel tempo essi si fossero dimostrati concettualmente più efficaci dei vitalisti per avere considerato i fenomeni del mondo vivente alla stessa stregua di qualsiasi altra manifestazione naturale, ovvero eventi che rientrano nei confini del metodo scientifico della ricerca.

Essi ottennero anche una parziale vittoria sui vitalisti quando il chimico tedesco Friedrich Wöhler convertì una sostanza inorganica in una organica al di fuori dell’organismo vivente. Nel 1828 Friedrich Wöhler (1800-1882) notò che riscaldando il cianato di ammonio (una sostanza che a quel tempo veniva ritenuta di natura inorganica) il composto si trasformava in cristalli di urea, un prodotto di rifiuto che viene eliminato insieme con l’urina da molti animali fra i quali l’uomo.

In realtà la scoperta del chimico tedesco non fu così sconvolgente come potrebbe apparire a prima vista un po’ perché la sostanza da cui era partito non era veramente inorganica (i cianati si ottenevano a quell’epoca scaldando con ferro e potassa sostanze organiche come zoccoli o corna di animali) e un po’ per il fatto che la trasformazione del cianato di ammonio in urea era semplicemente il risultato di un cambiamento di posizione degli atomi all’interno della molecola.

Wöhler era stato allievo del chimico svedese Jons Jacob Berzelius (1779-1848) a quei tempi il più celebre chimico del mondo ed uno dei personaggi più influenti nel campo della ricerca scientifica. Egli era anche un tenace propugnatore della teoria vitalistica e dopo l’esperimento di Wöhler aveva immediatamente spento gli entusiasmi dei meccanicisti affermando che quello che si riusciva ad ottenere in laboratorio doveva essere considerato una semplice imitazione delle sostanze organiche. La concezione vitalistica di Berzelius era fortemente legata all’idea che i fenomeni della fisiologia del vivente possedessero un proprio finalismo che però non era intrinseco alla materia ma era dovuto ad una intelligenza superiore, trascendente, ovvero a Dio.

Le successive ricerche hanno dimostrato che praticamente tutte le sostanze organiche dalle più semplici alle più complesse come proteine, ormoni e lo stesso DNA si possono ottenere per sintesi ossia senza l’intervento di organismi vivi. Anche molte funzioni che si realizzano all’interno degli organismi viventi come ad esempio la fermentazione, la contrazione muscolare o la fotosintesi si sono rivelate, con il progredire delle indagini, risolvibili in laboratorio senza che si faccia ricorso all’intervento di forze incontrollabili. È vero d’altra parte che molti fenomeni inerenti gli oggetti viventi a tutt’oggi non hanno ancora trovato spiegazione chiara e coerente ma ciò dipende unicamente dalla conoscenza analitica dei fenomeni che per ora appare insufficiente. I meccanicisti infatti hanno fiducia che le domande relative alle proprietà più tipiche degli esseri viventi troveranno risposte in futuro con il progredire della ricerca.

 

RIDUZIONISMO E INTEGRISMO

Da un po’ di tempo a questa parte, soprattutto in seguito alle trasformazioni rivoluzionarie della fisica di inizio Novecento, che con la meccanica quantistica e la teoria relativistica di Einstein ha posto fine al determinismo della fisica classica, la storica controversia fra vitalismo e meccanicismo ha assunto un nuovo significato trasformandosi nella contrapposizione fra riduzionismo e integrismo (o organicismo). Quest’ultima dottrina deriva le sue posizioni dal vecchio olismo (dal greco òlos = tutto, intero) ossia da quella linea di pensiero che privilegiava nel vivente il momento dell’organizzazione complessiva rispetto a quello delle sue singole parti.

La biologia riduzionistica cerca di spiegare le caratteristiche degli esseri viventi in base alle proprietà delle sue parti componenti che vengono ulteriormente spezzettate finché non si riducono alle strutture più intime della materia. Gli integristi invece ritengono che l’organismo nel suo complesso presenti caratteristiche proprie non riconducibili alla somma delle sue parti isolate così come l’acqua possiede proprietà molto diverse da quelle dei suoi costituenti (cioè da idrogeno e ossigeno) che non contengono alcuna delle proprietà chimiche e fisiche del composto.

I riduzionisti pertanto per le loro indagini utilizzano la biologia molecolare, cioè quella branca della ricerca che si sforza di spiegare i fenomeni della vita in base al comportamento delle molecole le quali compongono gli organismi viventi; gli integristi a loro volta nella ricerca utilizzano la biologia evoluzionistica, che insiste sul ruolo della storia nella costruzione e nel funzionamento dei sistemi biologici.

La biologia riduzionistica si interessa quindi degli organi, dei tessuti, delle cellule e delle singole molecole e cerca di comprendere le funzioni dell’intero organismo in base alle sue strutture elementari; in altri termini i riduzionisti sono convinti che l’attività di un organismo è l’espressione delle sue reazioni chimiche. La biologia evoluzionistica si interessa invece delle collettività, dei comportamenti e delle relazioni fra i singoli organismi e fra gli organismi e l’ambiente che li ospita. Essa cerca inoltre di risalire alla causa dei caratteri esistenti attraverso lo studio dei fossili. Per gli integristi l’organismo, per essere compreso appieno, deve quindi venire inquadrato in elementi di ordine superiore (popolazione, comunità, ecosistema, biosfera). La biologia evoluzionistica si occupa pertanto di aspetti rigorosamente peculiari a sé stessa come sono ad esempio la sessualità, la comunicazione, l’adattamento, tutti concetti che non appartengono al mondo della fisica e della chimica.

Il biologo riduzionista isola invece gli elementi costitutivi di un sistema complesso che poi analizza uno alla volta, spesso in provetta, cioè in condizioni artificiali più facilmente controllabili: in questo modo egli studia le funzioni e le strutture che sono alla base dell’organismo vivente.

Le attuali due diverse scuole di pensiero pur essendo divise soprattutto nell’impostazione teorica, nel metodo e nei criteri di spiegazione scientifica, non sono tuttavia fra loro antagoniste. In realtà oggi tutti i biologi utilizzano i metodi chimici e fisici per studiare i processi vitali ma, nello stesso tempo, tutti i biologi sostengono l’importanza dei condizionamenti e delle funzioni dei livelli superiori che dirigono lo svolgimento delle funzioni a livello inferiore. In altri termini, i biologi ritengono che gli esseri viventi, come i corpi inerti, obbediscano anch’essi alle leggi della fisica e della chimica, ma gli organismi, in aggiunta, debbano soddisfare altre leggi, ovvero quelle che regolano la riproduzione, la nutrizione, l’ereditarietà dei caratteri, ecc. le quali non hanno alcun senso nel mondo inanimato. Fra le due scuole di pensiero vi è quindi uno sforzo comune che mira alla ricerca di una definizione più razionale e completa del fenomeno estremamente complesso che si chiama “vita”.

Prof. Antonio Vecchia

Reply